Progetto Teatrando presenta
ENRICO GUARNERI
NADIA DE LUCA
STORIA DI UNA CAPINERA
di Giovanni Verga
con la partecipazione straordinaria di Emanuela Muni
e con (in ordine alfabetico)
Rosario Marco Amato, Verdiana Barbagallo, Federica Breci
Alessandra Falci, Elisa Franco, Loredana Marino, Liborio Natali
regista collaboratore Giampaolo Romania
scene Salvo Manciagli
costumi Sartoria Pipi
regia GUGLIELMO FERRO
Roma – Teatro Quirino Vittorio Gassman 20 febbraio-3 marzo 2024
Le note di un piano, suonate a un ritmo lento e mesto. Il sipario si apre mostrando una scena cupa. Mura alte e possenti con poche aperture. Al centro, un grande arco a tutto sesto dove siede, su una poltrona sontuosa ma comunque austera, una suora: la madre superiora del convento delle benedettine. Ai lati, altri ingressi delimitati da sbarre. Non entra luce in questo ambiente. Tutto è buio e triste. I canti delle suore, vestite anche loro di nero eccetto le novizie, che indossano un abito bianco. Di lato, in prossimità della quinta alla sinistra della platea, sul proscenio, su una scrivania antica e intento a scrivere al lume fioco di una candela, siede un vecchino dalla testa tutta imbiancata. Chi è costui? Il padre della protagonista di Storia di una capinera, interpretato da Enrico Guarneri. Lo spettacolo in scena al Quirino, per la regia di Guglielmo Ferro, si distingue per questa novità teatrale, se così la vogliamo chiamare: e cioè che l’attore protagonista è sempre presente, anche quando non parla, anche quando non agisce. Magari è di lato, al di là dello spazio dove gli altri interpreti stanno recitando. Egli scrive, quando non interpreta i suoi lunghi monologhi: descrizioni di antefatti, di moti interiori dell’animo. Scelta, questa, tutt’altro che teatrale, eppure necessaria. Perché quando si decide di ridurre per le scene un romanzo di stampo verista – di Verga si sta parlando –, intriso di descrizioni minutissime, cos’altro si può fare? Ma così viene meno il ritmo, viene meno l’azione drammatica: il cuore di quanto dovrebbe accadere su un palcoscenico. E difatti, nello spettacolo di Ferro tutto ciò è nettamente mancato. Ma bisogna aggiungere anche un’altra notazione. In questa riduzione, la Storia di una capinera è sembrata più che altro la storia del padre della protagonista verghiana. Un’operazione tipica del teatro all’antica italiana, dove il lavoro sul testo era di competenza esclusiva del capocomico il quale, tagliando qui, allungando lì, sistemando alla bell’e meglio, stravolgeva il testo originale facendo in modo che ad emergere fosse solo lui: il protagonista dell’opera rappresentata. Gli altri personaggi: elementi di contorno, incarnazioni dirette delle sue parole. Il tutto senza porre attenzione allo spessore umano, sia del protagonista che di tutti i ruoli previsti dall’autore. Un’operazione tipica il cui solo scopo era di mettere in risalto le doti interpretative – reali o presunte – del mattatore. Questa Storia di una capinera è stata una pura operazione capocomicale, più che uno spettacolo messo in scena. Nessuna idea, nessun guizzo, nessun lavoro sui personaggi. Soprattutto, nessun ritmo. Di quadro in quadro, con una scenografia sempre fissa, tranne pochi elementi introdotti con macchinari a indicare il cambiamento d’ambiente, tutto era dominato da una stasi profonda e, sembrava, voluta. Ciò che si è riversato anche nella recitazione di Guarneri: impersonale, pallida, priva d’ogni pathos o di sentimento alcuno. Che noia! Pierluigi Pietricola