Jacques Offenbach
Benjamin Bernheim: Hoffmann
Kathryn Lewek: Stella/Olimpia/Antonia/ Giulietta
Christian Van Horn: Lindorf/Coppelius/ Dr. Miracle/ Dappertutto
Kate Lindsey: La musa/ Nicklausse
Marc Mauillon: Andres/ Cochenille/ Frantz/ Pitichinaccio
Michael Laurenz: Spallanzani
Jerome Vernier: Crespel/ Meister/ Luther
Philippe Nicholas Martin: Hermann/ Peter Schlemil
Regia: Mariame Clement
Direzione musicale: Marc Minkowski
Orchestra : Wiener Philharmoniker
Salzburger Festspielen 19 luglio-31 agosto 2024
Questi “Contes” avrebbero meritato uno migliore sforzo di immaginazione che rendesse lo spirito surreale che li anima. La Clement si limita ad un crudo realismo, angoli di strada malfamati, muri scrostati, impalcature per operai, carrelli della spesa abbandonati.... La Clement e’ parigina. La citta’ degli splendori del Grand’Opera. Ma si direbbe che abbia voluto mutarne il segno: ha fatto il Grand’Opera del trash e del grottesco. E’ una scelta. E neanche si puo’dire che sia priva di senso. I tempi cambiano. Il trash avanza. Il Grand’Opera era sontuoso e ricco di scene. Questo della Clement invece si sviluppa su una unica scena (con piccole modifiche e aggiustamenti) sempre scabra, essenziale. E non e’ questione di risparmio. Anche questa e’ una scelta. Viene in mente Montale. Quanto ai cantanti devo dire che mi sarei aspettato qualcosa in piu’ da Bernheim: l’aria di Kleinzach, sebbene ben cantata, mancava di quella frustata e di quella cesura tra il Klein e il Zach che ne fa il pregio e la verve grottesca. Per il resto, onesto, nulla da ridire. Quanto alla Lewek non si puo’ non apprezzare la versatilita’ con la quale interpreta i suoi quattro personaggi, un tour de force ammirevole, ma Olympia ha perduto la dolorosa fragilita’, la languida malinconia che precede il suo collasso. Accentuandone l’ anima meccanica, la Clement ne compromette l’essenziale: la sua natura di automa con un animo di donna. Meglio, la Lewek, nel ruolo di Antonia, innamorata, combattuta, e fatalmente spinta verso la morte dalla sua passione per il canto. Si direbbe una Orfeo all’inverso. Durante l’atto di Antonia, il terzo, la Clement ha avuto l’idea di riempire la scena di cameramen e giornalisti, come volesse alludere al divismo che uccide. Idea plausibile, ma non molto originale. Mediamente bene il Van Horn nei suoi quattro personaggi, benissimo in Lindorf - di cui restituisce tutto il perfido perbenismo, convincente negli altri, buona presenza e mai una incertezza. La Wiener - diretta da Minkowski, che di Hoffenbach e’ uno specialista- ha accompagnato da par suo, con precisione ed equilibrio, gli sviluppi sulla scena. Perfetta la esecuzione della ‘barcarole’. Lec Contes sono una delle opere piu’ rappresentate della storia del teatro. Per la loro fantastica leggerezza e per la perdurante modernita’. Per la sua natura di opera aperta, adattabile a tutti i tempi. Ma, viceversa, sono anche i tempi che fanno la qualita’ dell’opera. E per quanto discutibili, questi Contes, di questi tempi, non sono affatto da buttar via. Attilio Moro