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SINDACO DEL RIONE SANITA' (IL) - regia Carlo Giuffré

Il Sindaco del rione sanità Il Sindaco del rione sanità Regia Carlo Giuffré

di Eduardo De Filippo
con Carlo Giuffré, Piero Pepe, Aldo De Martino, Alfonso Liguori
musiche originali: Francesco Giuffré
scene e costumi: Aldo Terlizzi
regia: Carlo Giuffré
Napoli, Teatro Diana, dal 21 novembre al 9 dicembre 2007
Roma, Teatro Quirino, fino al 13 gennaio 2008
Milano, Teatro Manzoni, dal 3 febbraio al 1 marzo 2009

La Repubblica, 6 febbraio 2009
Avvenire, 6 febbraio 2009
Corriere della Sera, 11 febbraio 2009
Corriere della Sera, 6 gennaio 2008
Avanti, 27 novembre 2007
La Stampa, 20 dicembre 2007
Il Messaggero, 22 dicembre 2007
Avvenire, 19 dicembre 2007
Il Mattino, 23 novembre 2007
Giuffré sindaco sulle orme di Eduardo

Ottima prova dell`attore e regista nella popolare commedia che anticipava la crisi della criminalità a Napoli

E’ una figura straordinaria e presa direttamente dalla vita quella del Sindaco del Rione Sanità di Eduardo De Filippo: il suo Antonio Barracano svolse veramente negli anni Cinquanta, sotto altro nome, il ruolo di protettore dei poveri, sostituendo i tribunali da camorrista, abile nel praticare l`arte di arrangiarsi, con un`autorità garantita da un passato di apparente innocenza davanti alla legge, anche se lo sentiremo vantarsi del contrario. Ma l`arte di Eduardo ne traveste la non immediata comparsa in scena, caricandola di magie, dal rituale della sua vestizione alla ostentata capacità di fargli risolvere una lite per debiti con un gioco di prestigio, mentre nel contempo lo vediamo dibattere le sue teorie col professore Della Ragione che da anni lo assiste e vantarsi per il suo losco passato proprio con chi lo contesta, prima del drammatico finale. Questo settantacinquenne a un tempo vero e leggendario era uno dei personaggi preferiti da Eduardo e ben si comprende che possa entusiasmare il di poco più anziano Carlo Giuffré, regista e interprete al suo sesto fortunato incontro con un`opera del Maestro proprio nel momento drammatico e sanguinoso in cui Napoli è travolta dal problema della criminalità che già questo testo fa balenare. Nelle belle scene di Aldo Terlizzi, che via via da ariose diventano soffocanti come l`atmosfera che vi si respira, l`azione attraversa con ispirata agilità molte facce grazie alla regia acutissima e attenta sia alle ore della giornata che ai tipi di personaggi, dai familiari alla servitù, ai tanti passanti in cerca di aiuto, finché il sindaco di Carlo Giuffré non si installa autoironico e a un tempo molto convinto del suo ruolo, saggio e ignorante a un tempo, orgoglioso di un passato d`illegalità e sempre in polemica con il Professore del bravo Alfonso Liguori, che gli serve da coscienza, finché non si lascia prendere dal sentimento e finisce ucciso. Risuonerà allora da fuori uno sparo di vendetta non previsto dal testo, a sancire praticamente che l`illegalità del buon governo ha già ceduto il campo alle stragi. E della bella serata vanno ancora ricordati, nel foltissimo impeccabile gruppo, almeno Piero Pepe, Roberta Misticone, Massimo Masiello.

Franco Quadri

Un Giuffré da premio Oscar
L`ottuagenario attore in una splendida interpretazione de «Il sindaco del Rione Sanità»

Non sempre, ma ci sono ancora delle magnifiche serate di teatro. Quella che ci offre sulla scena del Manzoni quello straordinario attore che ha nome Carlo Giuffrè (ottanta primavere meravigliosamente portate) protagonista dell`eduardiana «II sindaco del rione Sanità» è da considerare tale. Per la memorabile interpretazione, per il rigore della messinscena, perché ci troviamo davanti a una commedia che se la seguiamo con attenzione da essa si può cogliere un messaggio profondo. La commedia risale al 1960. Qualcuno la considera la migliore dell`autore napoletano. Forse non è così. Forse c`è qualche battuta o qualche scena di troppo che porta al bozzettismo e certo il finale lascia qualche perplessità; certo è una commedia magistrale, abilissima nella suspense, con finali d`atto sorprendenti. Quello che Eduardo intende raccontare è il sogno di un`utopia. Quella di Antonio Barracano, un uomo che cerca di amministrare una giustizia che porti correzione e rimedio alle intollerabili storture di quella ufficiale. Il suo compito sembra quello del giustiziere (tuttavia non è proprio da vedere come un padrino anche se ha intorno una sorta di corte) e dunque con modi alquanto spicci s`incarica lui di sopperire alle manchevolezze della legge. Nel rione esercita una giustizia autorevole e autoritaria nella convinzione di poterla amministrare bene per il fatto di averne conosciuto di persona gli aspetti nel corso di un passato tutt`altro che limpido. L`autore, e qui sta la genialità, lo pensa però come personaggio in crisi o insufficiente. E questo avviene contrapponendogli la figura di un dottore, Fabio Della Ragione, che dopo aver condiviso gli intenti e la pratica facendosi medico clandestino della guapperia al servizio di don Antonio ora non crede più a nulla e vorrebbe andarsene lontano. Ha capito il dottore l`inutilità dell`impresa, alla sua incapacità di arrestare il male che dilaga e quando don Antonio Barracano muore, lascia esplodere la rabbia covata in tanti silenzi e dà sfogo alla sua esigenza di verità. Lo spirito di questa commedia simbolista, molto diversa da altre eduardiane, è amaro ma non disperato. E la commedia Carlo Giuffré la riporta a noi con molta pulizia, evitando ogni colore locale, come se il protagonista fosse un personaggio non eduardiano ma pirandelliano. E il suo Antonio Barracano s`imprime nella nostra memoria per la limpida, intensa, cattivante interpretazione che egli ne dà. Evocato il personaggio in maniera del tutto interiore, con la dignità che traspare dai gesti minimi. Ma tutto il cast (ben diciassette gli attori in scena) è degno di lode. E i migliori senza dubbio Piero Pepe, Alfonso Liguori, Aldo De Martino e i due giovani Massimo Masiello e Roberta Misticone.

Domenico Rigotti

La camorra vista da Eduardo

Commedia amara che mette in luce l' illegalità che si erge a giustizia in nome dell' ignoranza, della povertà, della sfiducia verso le istituzioni, «Il sindaco del rione Sanità» del 1960 di Eduardo De Filippo disegna una vicenda umana e civile squallida. Una commedia che non è un «anti Gomorra», come sostiene Carlo Giuffrè che la sta portando in scena come mirabile protagonista e guidando una compagnia di ottimi attori, ma una delle facce di Gomorra, quella rivisitata alla luce del «realismo» di Eduardo nel quale i reietti, la sotto cultura, il triviale, l' asociale, il delinquenziale si sublimano raggiungendo l' abiezione estrema dei «simpatici» parassiti della grande arte russa, offrendo un ritratto spietato della decadenza della società, che continua nella sua corsa a peggiorarsi. A poco valgono i ripensamenti finali, quasi posticci, del medico socio e complice del Sindaco per far sì che la giustizia abbia il suo travagliato corso. Ed è al limite di tanta spietatezza che ritroviamo la pietà dell' autore: il personaggio del camorrista Sindaco che dispensa buoni consigli, pacifica e regola la malavita si allarga e si dilata ben oltre il reale dato della camorra in un personaggio ricco e denso, miserando e grandioso, carogna e saggio, violento e dolce: un uomo con le sue molte miserie e le poche nobiltà. Teatro Manzoni, fino al 1° marzo

Magda Poli

Giuffré erede insuperabile

Alla fine della replica cui ho assistito Carlo Giuffrè s' è rivelato della stessa pasta del protagonista de Il Sindaco del rione Sanità di Eduardo De Filippo. Nel lamentare che i politici non vanno più a teatro, era come se facesse sua la morale di Antonio Barracano: in quel frangente Giuffrè non era più il Sindaco, era colui che si rivolge al sindaco per ottenere giustizia ovvero, nella fattispecie, protezione. Quell' uomo all' antica, quell' attore d' altri tempi, crede ancora nell' autorità dei politici, sa bene che gli artisti, in particolare di teatro, senza politici non vanno lontano: essi sono, per Giuffrè, come i mecenati per Orazio o per Torquato Tasso, se i mecenati sono benevoli si vive e l' arte prospera, l' arte reca al prossimo il bene che può dopotutto recare. Che poi in platea ci fosse, proprio quella sera, Fausto Bertinotti, era strano fino a un certo punto. Bertinotti è uno tra i pochi che a teatro ci vanno. «Mi sono commosso» ha detto il presidente della Camera. «Ma non per ciò che dice Eduardo. Mi sono commosso per la bravura di Giuffrè. Io sono per l' innovazione, ma quando la tradizione è così, quando è a questo livello, mi inchino». Aggiungo che questo grande attore (ma non meno sapiente regista) alla soglia dei suoi 80 anni ha compiuto una trasformazione meravigliosa: egli ha superato il maestro. Non ho timore di dire che Carlo ormai è un attore più grande di Eduardo. Eduardo aveva una mimica magnetica, di conturbante rilievo. Carlo recita da fermo, o con piccoli gesti, sottili, quasi impercettibili. Eduardo era un attore drammatico, a volte perfino dionisiaco. Carlo è un attore apollineo, pacato, il cui pathos appare riassorbito nella sapienza della vita, negli anni che gli è toccato vivere. Insomma, usa meno mezzi e ottiene gli stessi risultati.Non a caso, a tanto è pervenuto con il personaggio del cosiddetto Sindaco, un dispensatore di equilibrio, cioè di saggezza. La commedia, del 1960, è perfino bella, o quasi bella. Dico quasi perché Eduardo, come sempre, non regge i tre atti, non giunge a un giusto scioglimento della trama che ha fin lì sviluppato. Nel primo tempo, nel quale sfilano i personaggi, il drammaturgo è magistrale: egli limita il suo lavoro alla descrizione, al ritratto. In questo avvio, si ride di cuore e c' è l' eclatante scena della vestizione di Barracano, prima in vestaglia, poi in mutande e canottiera, poi, ritualmente, in bretelle gialle e sgargiante cravatta a fiori, scelta dal figlio. Nel secondo atto le cose si complicano. Emerge la sostanza umana del Sindaco, la prossimità dell' autore al personaggio, la cui morale privata è integerrima (egli arriverà al sacrificio di sé), ma la cui morale pubblica è discutibile, è semi-mafiosa, è lui che dispenserà giustizia visto che non si può «ricorrere alle autorità». Ma dove davvero la commedia cade è nel terzo atto, quando il Sindaco interviene come giudice in una disputa altrui. Facendo assassinare Santaniello (che rifiutava la sua ingerenza) da due sicari che non si sa chi abbia mandato fin lì, se non lo stesso drammaturgo, Eduardo distrugge il suo personaggio, gli toglie perfino le sue più o meno eque ragioni. Il fatto è che Eduardo pone i termini di una contraddizione che non sa né tenere né sviluppare. È costretto a prendere una scorciatoia, a scegliere una via di fuga, di tipo melodrammatico. Inutile dica quanto mirabili siano gli attori (in specie Piero Pepe, Aldo De Martino, Roberta Mistione) che recano lo spettacolo alla sua indiscutibile eccellenza.

Franco Cordelli

Eduardo, un'amara commedia

E' in scena in questi giorni al Teatro Diana di Napoli "Il sindaco del rione Sanità", uno dei capolavori di Eduardo De Filippo portato sulle tavole del teatro napoletano da Carlo Giuffrè. La commedia in tre atti fu scritta da Eduardo De Filippo nel 1960. Lo stesso Eduardo racconta che il protagonista della commedia prende spunto da un personaggio reale, che viveva nel popolare rione Sanità di Napoli. Ecco la trama: Antonio Barracano è un uomo che gestisce la "sua" legge nel rione Sanità ed è per questo che viene riconosciuto come "sindaco" del quartiere. Dispensa consigli, pareri e risolve i problemi della povera gente, ma proprio per compiere un gesto di particolare eroismo viene ferito a morte nel tentativo di sedare un conflitto familiare. Probabilmente è questa una delle commedie più amare di Eduardo, che mette in risalto problematiche della società napoletana caratterizzate da un'illegalità sempre più diffusa. Da segnalare, però, che le pagine eduardiane, oggi, risentono di un'afflizione paternalistica, per come sono permeate di un aguzzo sentore commediografico, che rimanda a rimproveri, ammonimenti e a richiami datati. Carlo Giuffrè riesce a mettere in scena, in modo corretto, uno dei personaggi più difficili e complessi di Eduardo De Filippo. Riferisce Fabrizio Testi, tra l'altro: "Carlo Giuffrè è uno di quegli attori 'miracolati' (rari, quasi estinti) che hanno ricevuto la grazia della naturalezza, della giustezza istintiva, dell'espressione a tono trovata senza sforzo". Tutti gli altri attori reggono bene la scena, tranne qualche "stecca vernacolare" di chi non è padrona della lingua napoletana. Carlo Giuffrè lo ricordiamo tener testa nel film "La pelle" a Burt Lancaster e qui si diverte a riecheggiare per ammiccamenti e toni, in qualche segmento scenico, Eduardo, indubbio talento teatrale, che ebbe a lavorare con la bravissima Titina e con il grandissimo, immenso "momo", superiore Peppino. Lo spettacolo è in scena sino al 9 dicembre. Un appuntamento da non perdere.

Maurizio Vitiello

Giuffrè, il sindaco del rione capolavoro

La Napoli avviata verso gli anni sessanta sente ancora le ferite della guerra, ed è indecisa su chi detiene la vera autorità. Nella sfiducia verso le istituzioni (in tribunale si vince solo corrompendo), il popolare rione Sanità, dove tutte le attività per sbarcare il lunario sono lecite, affida i contrasti tra i suoi abitanti al giudizio insindacabile di un malavitoso che dalla propria vita turbolenta ha imparato l'importanza della conciliazione: vendicarsi di un torto significa infatti attirare una rappresaglia, e quindi costringere alla reazione i propri figli e i figli dei figli, fino alla fine dei tempi. Curioso notare come questa morale, che don Antonio Barracano espone lucidamente, riecheggi quella del Giulio Cesare di G.B. Shaw, anche lui uomo che dalle mille guerre combattute ha imparato l'importanza della pace. Come (dopo di lui) il don Vito Corleone della saga di Puzo, don Antonio diventò assassino per un'atroce ingiustizia subita. Poi scappò in America, donde tornò ricco e quindi in grado di comprarsi l'assoluzione definitiva. Adesso chi è nei guai ricorre al suo prestigio e alla saggezza dei suoi settantacinque anni. A casa sua si può curare un ferito d'arma da fuoco evitando le domande del Pronto Soccorso; ottenere dall'usuraio la remissione di un debito vessatorio; chiedere addirittura il permesso di ammazzare il proprio genitore.

Eduardo de Filippo scrisse Il sindaco del rione Sanità, che alcuni, tra cui Andrea Camilleri (cui provo la forte tentazione di associarmi), considerano il suo capolavoro, verso la fine della carriera, assegnando a se stesso una parte molto diversa da quelle dei poveracci un po' trasognati nelle quali il pubblico era più abituato a vederlo comparire; e per interpretarla adottò una maschera dura, con un occhio semichiuso, una smorfia fissa, una parrucca di capelli fitti, dei tic vocali come suoni inarticolati, da uomo che si vanta di essere rimasto, riguardo alla cultura degli altri, un primitivo. Combatteva il cliché della propria consueta fragilità fisica, problema che non ha Carlo Giuffrè, in passato costretto semmai a cercare di costringere il proprio fisico imponente nella remissività dei vari Luca Cupiello. Non avendo necessità di trasformarsi, questa volta il grande attore può recitare ancora più in scioltezza del solito, lasciando che il senso di potere esercitato da don Antonio fluisca da lui come una manifestazione naturale, accettata senza discussione da tutti.

Sotto la sua direzione impeccabile i molti personaggi (ben diciassette interpreti, un vero lusso oggigiorno) si spiegano e si piegano, impegnati nelle loro crisi individuali, con mirabile verosimiglianza. Giuffrè ha accorpato i primi due atti, lasciati nella loro integrità, in circa due ore che volano via in un momento, e ha tagliato un po' il terzo (40'), rinunciando qui a qualche gemma ma sottolineando con un colpo di rivoltella da dentro il pessimismo della conclusione dell'autore: morto Barracano, le sue disposizioni saranno disattese, e l'intervento della giustizia ufficiale provocherà quella violenza che lui si era sforzato di evitare. Magnifico spettacolo, comunque. Le scene e i costumi di Aldo Terlizzi sono esemplari, e in una compagnia senza punti deboli emergono alcune prestazioni maiuscole, come quella di Piero Pepe come il padre snaturato, di Alfonso Liguori come il dottore vittima-complice di don Antonio, e dei due ragazzi Massimo Masiello e Roberta Misticone.

Masolino d'Amico

Un magnifico Giuffrè al servizio del "Sindaco"

Conosciamo Carlo Giuffré: attore, regista, sessanta magnifici anni di carriera (teatro e cinema) alle spalle, una sicura bellezza fisica che, mantenendosi nel tempo, si è trasformata in carisma sapiente. E Napoli, in questo caso la Napoli eduardiana del Sindaco del rione sanità, commedia compiuta e fra le più belle di un De Filippo che rende omaggio alla propria città sventrata dalla guerra, eppure vitale nel dibattersi fra concetto di Stato e concetto di Autorità. Il "sindaco" del titolo è Antonio Barracano, uomo a tutto tondo. Il quale, coadiuvato da un amico medico, Fabio Della Ragione, amministra l'intero rione Sanità secondo principi pacifici e il più possibile oggettivi, ma al di fuori e al di sopra della giustizia ufficiale. Nei panni di questo personaggio potente, assolutamente riuscito, Giuffré attore offre una prestazione indimenticabile. Tale impronta di assolutezza la trasferisce, da regista, all'intera messinscena, che regola da gran mangiafuoco in tutte le sue parti, trasferendo altresì la propria forza interpretativa a tutti i componenti del cast. E prendono vita, nella prima parte (che somma due atti) come nella seconda, questioni di pensiero e di vita, di passione e di dolore, d'incoercibile dissidio e faticosa concordia. Ottima esperienza. Scene e i costumi di Aldo Terlizzi. Al Quirino fino al 13 gennaio. Da non perdere.

Rita Sala

Con Eduardo teatro anticamorra
Carlo Giuffrè rivisita a Roma «Il Sindaco del rione Sanità» di De Filippo, aspra commedia contro il degrado di Napoli

Chi da spettatore è uscito esacerbato dalla visione della tragedia napoletana di oggi in Gomorra di Saviano- Gelardi, ha l'occasione di risalire al 'prima' di tanto orrore. Nel 1960 Eduardo De Filippo scrisse Il Sindaco del rione Sanità, e dissero che con questa commedia aveva imbracciato l'impegno civile e allegorico. La rappresentò come sempre in prima persona, vestendo i panni e la personalità di Antonio Barracano, 'uomo d'onore', protettore dei deboli in nome di una giustizia che essi, egli diceva, non avrebbero ottenuto dallo Stato. Eduardo vedeva realisticamente una deriva criminale, spinta dalla fame del danaro, e insieme profetizzava una guerra per bande. Carlo Giuffrè, in preda non da oggi alla stessa ansia, ripropone la commedia che, allestita dal napoletano Teatro Diana, si avvia per una lunga tournée. È a Roma, al Quirino dove anche Eduardo 47 anni fa la rappresentò. Questa specie di «come eravamo» fin da allora sollevava problemi: quello, per dirne uno, del confine tra la 'maestà' della legge positiva ma farraginosa e la facile praticabilità dell'altra amministrata secondo il 'codice' camorristico senza fronzoli procedurali. Antonio Barracano ha conosciuto la prima, da omicida, aggirandola e uscendone assolto grazie a falsi prezzolati testimoni.
E si è guadagnato nel rione Sanità il carisma di giudice che risolve i contrasti, anche quelli degenerati in sparatorie, ascoltando i contendenti e pacificandoli. A fin di bene – questo il fascino sinistro del personaggio – per bloccare la catena di vendette. Ha al fianco, collaboratore suo malgrado, un medico che ha rinunziato ad un futuro di luminare e provvede al pronto soccorso quando le armi lasciano il segno e gli ospedali sono da evitare. Il Sindaco, fra i casi sottopostigli, incappa nell'odio viscerale fra un padre e un figlio, divisi da interessi e incomunicabilità. Ma l'impegno eccessivo che Antonio, di buoni sentimenti, mette nel riconciliarli gli procura una coltellata letale. Una svolta, su cui non diciamo di più, con la quale sembra tornare la vera giustizia, per un soprassalto di coerenza del medico.
Ma anche Giuffrè ha il suo soprassalto di interprete interiormente partecipe e introduce in coda nel copione una minuscola variante, fuori scena, che ci fa ripiombare nel terrore attuale. La scrittura di Eduardo – criticato da taluno nel '60 per manierismo mélo – esce invece da questo spettacolo rinvigorita nell'impasto di commedia e tragedia che l'interprete avvolge in un velo di toccante malinconia. E l'atto teatrale si nobilita: ridiamo, con qualche brivido di coscienza. Da regista, Giuffrè fa risaltare gli stessi valori nei compagni, i veterani e quelli che si faranno. Applausi frequenti, calorosissimi alla fine.

Toni Colotta

Così crolla l'utopia del «Sindaco» «

Fa comodo a tutti un Antonio Barracano che se ne va all'altro mondo per collasso cardiaco dopo avere speso una vita intera per limitare la catena dei reati e dei delitti. Avrebbe dovuto spenderla per allargarla. Come spenderò i miei ultimi anni. Io faccio il referto medico come mi detta la coscienza». Così, fra l'altro, recita la battuta di Fabio Della Ragione, quella che chiude «Il sindaco del Rione Sanità». Ed è la battuta decisiva: non solo perché dà conto del caso, unico nella produzione eduardiana, di un testo che (sfociando, addirittura, nell'uccisione del personaggio protagonista) rifiuta in maniera radicale la consueta ricomposizione finale dell'«ordine costituito», ma anche e soprattutto perché illumina come meglio non si potrebbe il tema centrale della commedia: lo scontro fra l'utopia e la realtà, fra l'illusione e il disincanto. L'utopia è quella di Antonio Barracano, convinto di poter garantire ai poveri e agli ignoranti la giustizia che mai otterrebbero dallo Stato dei ricchi e degli addottorati; e convinto, altresì, di riuscire con ciò a spezzare, sul versante dell'illegalità, la spirale perversa degli sgarri e delle vendette. Il tutto accompagnato dall'illusione che l'uomo possa riscattarsi dalla propria miseria morale. Il disincanto, invece, è per l'appunto quello di Fabio Della Ragione, che, dopo aver aiutato per trentacinque anni Barracano nella sua «assurda» impresa, si rende conto che l'uomo non è uomo, giacché non sa, come vorrebbe il «sindaco», capire «ch'è venuto il momento di fare marcia indietro e la fa». Adesso lui, Fabio, che per trentacinque anni ha ricucito in segreto le pance e in segreto ha estratto proiettili da gambe, braccia e spalle per impedire l'«ufficialità» dei crimini e quindi le inevitabili ritorsioni, si rifiuta di mentire, e decide di rivelare che il «sindaco» è morto non per collasso cardiaco, ma per la coltellata tiratagli da Arturo Santaniello. Amarissima conclusione, amara, ripeto, come in nessun altro dei testi di Eduardo. E Carlo Giuffré - regista e protagonista dell'allestimento de «Il sindaco del Rione Sanità» che la Or.I.S. presenta al Diana - acquista un gran merito nel sottolinearla, con un'invenzione tanto semplice quanto significativa: l'«esecuzione» del panettiere da parte di una coppia di killer del defunto Antonio Barracano, che sollevano dalla sedia Santaniello, lo portano dietro le quinte e lo finiscono con due colpi di pistola. Del resto, che l'utopia del «sindaco» fosse destinata a crollare Giuffré l'aveva anticipato, con acume non minore, conferendo al contesto degli altri personaggi connotati grotteschi e, spesso, scopertamente comici: come potevano, quei fantaccini nevrotici ed esagitati, accedere alla «redenzione» sognata per loro da Don Antonio? Insomma, Carlo Giuffré riesce, con intelligenza e perizia rare, a far emergere dalle pieghe del discorso anche ciò che Eduardo non voleva o non poteva dire. E in breve, dietro questo Antonio Barracano c'è il Nicolino che non torna del «Natale in casa Cupiello» firmato da Giuffré nel '98, a sua volta antesignano della Rosa Priore che, secondo Toni Servillo, non s'affaccia dal balcone a salutare Peppino. A questo punto, potrebb'essere perfino superfluo rilevare la prova straordinaria che, sul filo del rigore e della misura, Carlo Giuffré fornisce in quanto attore: il suo «sindaco» diventa il frutto di una strategia espressiva che attinge, come doveva, la perfetta fusione di generosità, risentimento e semplicismo in cui s'inscrive il personaggio. E degli altri, al di là degli squilibri nel cast, citerei i veterani Piero Pepe (Arturo Santaniello) e Aldo De Martino (Pascale 'O Nasone) e, fra i più giovani, Alfonso Liguori (Fabio Della Ragione), Massimo Masiello (Rafiluccio Santaniello) e Roberta Misticone (Rita). In definitiva, davvero credo che occorra ringraziarlo, Carlo Giuffré: poiché, ben oltre lo spettacolo in sé, ci ha dato una lezione di anticonformismo. E lo sa l'iddio del teatro se in questa città simili lezioni servano.

Enrico Fiore

Ultima modifica il Mercoledì, 02 Ottobre 2013 09:22

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