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TEMPESTA (LA) - regia Roberto Andò

Renato Carpentieri e Vincenzo Pirrotta in "La Tempesta", regia Roberto Andò Renato Carpentieri e Vincenzo Pirrotta in "La Tempesta", regia Roberto Andò

di William Shakespeare
Traduzione: Nadia Fusini
Adattamento Roberto Andò e Nadia Fusini
Regia di Roberto Andò
Scena: Gianni Carluccio
Musiche originali: Franco Piersanti
Flautista: Roberto Fabbriciani
Light designer: Angelo Linzalata
Suono: Hubert Westkemper
Costumi Daniela Cernigliaro
Interpreti: Renato Carpentieri, Giulia Andò, Filippo Luna, Vincenzo Pirrotta, Paolo Briguglia, Fabrizio Falco, Paride Benassai, Gaetano Bruno
Collaborazione artistica Alfio Scuderi
Aiuto regia Luca Bargagna
Scenografi realizzatori Giuseppe Ciaccio, Sebastiana Di Gesù, Carlo Gillè
Assistente ai costumi Agnese Rabatti
Il regista ringrazia per la collaborazione Alex Vella.
Produzione: Teatro Biondo Palermo
al Teatro Biondo di Palermo dal 7 al 16 dicembre 2018

www.Sipario.it, 9 dicembre 2018

È uno spettacolo quello creato da Roberto Andò per La tempesta di Shakespeare al Teatro Biondo di Palermo che coinvolge la mente e il cuore, con quei tomi sul proscenio prima dell'inizio e subito dopo con l'Ariel di Filippo Luna che scende giù in sala con in mano una minuscola caravella e obbedendo agli ordini del suo padrone Prospero gonfia le sue gote e ci soffia sopra per creare l'idea del titolo. È uno spettacolo ricco di richiami culturali in cui Andò, grazie pure alla cristallina traduzione di Nadia Fusini, creando i due un godibile adattamento, sembra voler rendere omaggio a figure a lui care, come Harold Pinter, condensando l'isola di Prospero in una sola stanza (The Room), diventata qui un acquitrino con millecinquecento litri d'acqua, calata giù dal cielo o spinta da marosi turbolenti, in cui chi vi cammina solleva evidenti spruzzi; agghindando Ariel come un personaggio sbucato fuori da una performance di Bob Wilson dal viso infarinato o biaccato oppure vestendo il Prospero del carismatico Renato Carpentieri col pensiero rivolto allo scrittore de Il Gattopardo, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, raffigurato nel suo primo film, Il manoscritto del principe. È uno spettacolo della riconciliazione e del perdono, in cui l'atmosfera è come purificata dopo un uragano e in cui si respira un'aura di pacificazione e di purificazione verso la natura e verso gli uomini. Il Prospero di Carpentieri con quella lunga tonaca bianca (i costumi sono di Daniela Cernigliano) più che un mago sembra un santone zen che si è quasi stufato di esercitare un potere tutto sommato effimero. Un potere che, grazie alle sue arti esoteriche, ha liberato vari spiritelli imprigionati da una strega, tra cui l'Ariel dello straordinario Filippo Luna, la cui faccia espressiva sbuca fuori più volte da piccole finestrelle sparse sulla scena di Gianni Carluccio, diventando l'esecutore dei suoi ordini e assoggettando ai suoi servizi l'unico abitante dell'isola, figlio d'una strega, il Calibano di Vincenzo Pirrotta, un homo selvaticus, spregevole e ingenuo, che qui appare all'inizio su un lettino d'ospedale, legato da una cintura di pelle e avvolto da una camicia di forza. Adesso Prospero, dopo dodici anni di esilio forzato per colpa del fratello Antonio (Paride Benassai) che lo ha spodestato del suo ducato di Milano, mettendolo su una barchetta assieme alla figlioletta Miranda dell'angelica Giulia Andò e poi approdato su un'isola deserta, capisce che quella nave che farà naufragare e su cui viaggiano il fratello usurpatore, il re di Napoli Alonso (Gaetano Bruno) con suo figlio Ferdinando (Paolo Briguglia), l'onesto consigliere Gonzalo truccato da vecchio quello del giovane Fabrizio Falco, gli servirà non per tanto per vendicarsi ma per far pentire i suoi nemici. Da buon padre propizierà l'unione di Miranda con Ferdinando, si riappacificherà col fratello, getterà alle ortiche la sua bacchetta magica, ripristinerà le funzioni navigatorie di quel vascello, libererà Ariel che continuerà a fare il Grillo parlante chissà dove, vestirà infine abiti civili lasciando la scena con una sigaretta accesa in bocca, somigliando a quella scultura di Leonardo Sciascia su un marciapiedi di Racalmuto, mentre Calibano, rimanendo l'unico abitante dell'isola si getterà sul suo lettino lanciando un urlo disumano. È uno spettacolo in cui Andò volge lo sguardo pure alla commedia dell'arte concedendo grande spazio al buffone Trinculo e all'ubriacone Stefano (gli stessi Benassai e Bruno che si esprimono in palermitano il primo, in napoletano il secondo) creando dei siparietti esilaranti assieme al Calibamo di Pirrotta che vorrebbe eliminare Prospero con l'aiuto dei due, non riuscendo nell'intento e puniti dal mago che li immergerà in un pantano putrido e puzzolento. Ed è pure uno spettacolo dove in modo prepotente Shakespeare esprime la sua visione di vita in sintonia con Calderon de la Barca per cui la vita è sogno e che l'uomo è fatto della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni e la nostra breve vita è circondato da un sogno. Pensieri e azioni che Andò rende visibili con artigiani effetti speciali, di stampo cinematografico (primi piani, campo corto e campo lungo...) facendo apparire i nobili naufraghi dietro tre vetrate che spariscono e ricompaiono, allo stesso modo di quegli elementi scenici (lettini, tavoli, libri etc..) che scendono e risalgono dalla graticcia, non dimenticandosi di quei tre coloriti spiriti capitanati da Iris (lo stesso Falco) che si esibiranno come tre astratti fantocci al suono delle musiche originali di Franco Piersanti. Successo al Biondo che ha prodotto lo spettacolo e a tutto il cast, quasi tutto siciliano, certamente di gran livello.

Gigi Giacobbe

Ultima modifica il Giovedì, 13 Dicembre 2018 00:04

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