da Euripide
adattamento e traduzione di Angela Demattè
regia di Andrea Chiodi
con Elisabetta Pozzi, Graziano Piazza, Valentina Bartolo e Alessia Spinelli
scene di Matteo Patrucco, costumi di Ilaria Ariemme
luci di Cesare Agoni, musiche di Daniele D’Angelo
produzione Centro Teatrale Bresciano
al teatro Sociale, Brescia, 9 settembre 2020
La pandemia, il ritorno parziale alle attività teatrali, la paura, il senso di incertezza, l’isolamento, il distanziamento dovuto al Covid sono aspetti che pongono ogni cosa sotto una lente di ingrandimento o lente deformante che condiziona ogni cosa, anche lo sguardo su un testo e la decisione di assumere quel testo come oggetto di azione e di pensiero scenico. Questo accade per le Troiane di Chiodi/Demattè, un lavoro che troppo risente della cronaca, che vorrebbe leggere la tragedia euripidea, l’attesa angosciosa delle prigioniere troiane, l’incertezza del loro futuro, l’essere in balia del nemico come specchio della comune condizione in cui ci ha posto il Covid: nemico invisibile per cui la vita si ritrova ad essere congelata, bloccata in un’attesa di guarigione e liberazione che hanno da venire. Andrea Chiodi utilizza le parole di Euripide con la contaminazione di Angela Demattè andando in cerca dell’incertezza, del sentirsi in balia del nemico, dell’altro, della cecità del destino. Al tempo stesso mostra – nel video che mixa fotogrammi di realtà- una sorta di miscuglio indistinto di alto e basso, comico e tragico che stordisce da un lato e dall’altro propone una naturale e straniante distanza, un’assuefazione al dolore. Tutto ciò si traduce nella figura di Alessia Spinelli seduta su un divano, col suo milk shake e computer sulle ginocchia, insensibile a ciò che vede, inattaccabile e assuefatta e forse stordita dalla violenza e dal dolore in video… difesa da una distanza che non permette empatia alcuna.
In questo contesto e in una stanza grigia a metà fra prigione e spazio della mente l’Ecuba di Elisabetta Pozzi è titanica, estraniata, fuori sesto e fuori contesto, è come se l’attrice non fosse lì, è come se stesse altrove, corifea di un thrénos che coinvolge il coro e le donne troiane in attesa di sapere quale sarà il loro destino: la vergine Cassandra sarà concubina di Agamennone, mentre Polissena verrà sacrificata sulla tomba di Achille. E se al legnoso Graziano Piazza spetta il compito di introdurre le diverse figure femminili, nelle Troiane di Euripide che altro non è che una sorta di rito funebre, l’attesa e la consapevolezza della condanna sono il termometro di un dolore e di un compiersi del tragico che hanno nella occhialuta e sgraziata Cassandra di Federica Fracassi e nella verginale e disperata Polissena di Valentina Bartolo due temperamenti recitativi diversi ma complementari che in fondo dialogano con la figura più incisiva dell’allestimento di Chiodi: quella ragazza corpulenta, sprofondata nel suo divano e disposta a farsi annichilire dalla luce azzurrina del suo computer. La Troiane di Andrea Chiodi svelano troppo apertamente il pensiero registico, sono il frutto – si crede – di un’emotività e di un’elaborazione scenica che sul corpo caldo della cronaca rischia di sanguinare di superficialità e di instant theatre. Ma dopotutto gli artisti sono anche questo: spugne di emozioni che gonfie devono riversare ciò che le riempie oltremisura. Forse per questo nelle Troiane Andrea Chiodi non ha trovato l’eleganza e la misura che caratterizzano il suo teatro e che rendono i suoi spettacoli interessanti da vendere, ma non per questo sempre riusciti.
Nicola Arrigoni