con Roberto Benigni
Roma, Piazzale Clodio, dal 20 aprile al 20 maggio 2007
MESSINA (gi.gi.).- Ormai è gente come Grillo e Benigni che sposta montagne e ghiacciai e fa notizia sui TG nazionali appena profferisce verbo. E che riesce con grande facilità a farsi capire da chiunque e ad entrare nella testa di chicchessia. Prova ne è questo one man show del toscanaccio Benigni nello Stadio San Filippo (stasera si esibirà al velodromo Borsellino di Palermo) con almeno sei-sette mila spettatori pronta ad applaudirlo ad ogni sua battuta su politici e gente di spettacolo della nostra Italietta, prima della sua lettura magistrale del V Canto dell’Inferno di Dante riguardante i lussuriosi. All’inizio entra saltellando Benigni al suono d’una birichina musichetta facendo capolino tra le quinte e iniziando a parlare in dialetto siculo, dichiarandosi contento d’essere a San Filippo “fra Sanlucioti e Zafferoti e tutti i paesi impietrati”. E poi, forse mentendo, aggiunge che “è la prima volta che sono in Sicilia e sono molto emozionato di trovarmi in una patria di lavoro e sentimenti; certo mi dispiace che il Messina sia andato in serie B, ma mi auguro che nel futuro possa vincere la Champion League”.- Poi ricordando gli incendi e le vittime che hanno investito il territorio messinese e la Sicilia occidentale, s’è dichiarato preoccupato per la categoria dei comici perchè il lavoro è scemato da quando non c’è più Berlusconi al governo. Ma per la par condicio ha bacchettato sia la destra ce la sinistra. Iniziando dalla notizia di questi giorni del nuovo partito della rossa Brambilla patrocinato dal cavaliere, coinvolti entrambi nel prossimo matrimonio tra Briatore e la Gregoraci. Dice cose scontate Benigni che chiunque può leggere sui giornali, ma è il modo come le dice che fa andare in sollucchero gli spettatori. Gli errori di Berlusconi alle ultime elezioni (“chi vota a sinistra è un coglione”) perse per 25 mila voti di coglioni: Tremaglia che non lo saluta più nessuno da quando quella sua legge ha consentito il voto agli italiani all’estero: l’unico è Storace che gli ha detto: “ ‘A Tremaglia ti potevi fare li cazzi tui”. E c’è quel poveraccio di Prodi che coccola Rita Levi di Montalcino, Andreotti e il drappello dei senatori a vita pregando Dio di farglieli campare almeno per 5 anni. “Mastella voleva la giustizia o niente: gliele hanno dato tutte e due”. E guai a toccargli D’Alema, perché per Benigni è come Fede per Berlusconi. Una cosa gli rimprovera. Aver dato alla sua barca il nome di “Icaro”. “E’ come chiamare un asilo nido Erode”. Ne ha per tutti Benigni. Bondi è un lumacone tutto unto e assieme a Vespa, Calderoni, Previti, Ferrara e Taormina presenti a “Porta a Porta” potrebbero fare una puntata di Star Trek. E poi i Furbetti del quartierino, Vallettopoli, il nostro re Vittorio Emanuele estremamente tirchio quando atterrato a Milano dice ai suoi sgherri di trovarli due puttane da spendere poco. E ancora Scaramella e Prodi spia del Kgb, come dire che Luxuria è una spia del Vaticano. Mele con i suoi spinelli e le sue squillo di sicuro parteciperà all’”Isola dei famosi”. E poi ancora Berlusconi che andando per vangeli non potrà mai trovare una frase come quella che Gesù disse a Pietro ( “Tu sei Pietro e su questa pietra fonderai la chiesa”) perché attorniato da tipi che si chiamano Fini, Casini, Schifani, Marroni…- E poi ancora Sircana con suo trans, Buttiglione senza sesso pare raggiunto il Nirvana. E poi eccolo Benigni osannare la Divina Commedia di Dante, l’opera di poesia più grande e più bella al mondo, intercalando aneddoti riguardanti il suo piccolo paese natio chiamato Vergaio e abitato da due-trecento anime. Si esalta Benigni parlando di Dante che “ci fa sentire unici, eroi, protagonisti, liberi”. “Dante ha scritto tutto per una donna. Virgilio rappresenta l’amicizia, Beatrice l’amore. Gli ignavi sono i peggiori, fanno schifo, sono quelli che non hanno fatto e detto niente, poi vengono i traditori. Bisogna avere orrore dell’indifferenza. Paolo e Francesca sono davvero esistiti, Romeo e Giulietta no” . Si commuove Benigni parlando di questo grande amore che ha coinvolto questi due amanti trafitti con un sol colpo di fioretto. Piange quasi quando termina il canto con “ e caddi come corpo morto cade”. Magari ci potessero essere dei professori amanti della Divina Commedia come Benigni. Avremmo di sicuro una gioventù migliore, meno superficiale, meno effimera, dei giovani perbene, consapevoli che la bellezza è verità.
Gigi Giacobbe
Caustico sui personaggi politici, l' attore diventa retorico e didattico quando affronta il divino Poema
Negli ultimi tempi, o anni, m' è occorso più d' una volta di non entusiasmarmi di fronte a Roberto Benigni, o di non condividere il suo lavoro. È una posizione imbarazzante, poiché il pubblico è «oceanico, ardente» (cito dal programma di sala), e si tratta di un pubblico sempre più numeroso. Per il suo «Tutto Dante», in scena sotto la monumentale tenda di piazzale Clodio, i biglietti sono esauriti fino alla fine delle repliche: un fatto, tra l' altro, che non può che rallegrare, una conferma che ormai ha più pubblico il teatro che non il calcio. Il caso di Benigni è analogo a quello di Gigi Proietti: non solo appartengono allo star system, ma sono due beniamini del pubblico: qualunque cosa facciano, dicano o rappresentino, si pongono al di là delle critiche, delle obiezioni, delle discussioni. Sui politici, che pure appartengono allo star system, hanno il vantaggio di unire le parti, ecco perché possono permettersi il lusso di criticarli, chiunque sia al governo. Al contrario, i politici, o gli spettatori super-ciliosi, questo lusso, o questo vantaggio, non possono permetterselo: i numeri danno torno alle obiezioni, la discussione è chiusa prima che sia aperta. Tuttavia, fatta questa premessa, un ragionamento lo voglio abbozzare. Proprio perché Benigni ha il talento che ha, proprio perché la prima parte del suo spettacolo (quasi un' ora dura questa prima parte, una lunga premessa) è scoppiettante, esilarante, a volte travolgente, proprio perché la prima parte ha questa forza di trascinamento, ciò che accade dopo lo considero poco meno che un crimine culturale. Lo spettatore va, dove? Va a vedere e a sentire, secondo titolo, uno spettacolo che riguarda Dante, la Divina Commedia, niente meno che questo! Alla prova dei fatti si trova di fronte a una esibizione dell' eterno Benigni caustico e spiritoso, fin che rimane nei dintorni di casa sua (nostra), Berlusconi e Prodi, Andreotti e Rutelli («il vertice di Forza Italia sembrava Star Trek»). E a un Benigni pedante, retorico, didattico quando entra nel vivo della questione, il vivo della questione annunciata. In questa seconda parte, la parola più spesso pronunciata da Benigni è «memorabile». Tutto ciò di cui parla è, secondo lui, memorabile. Che cos' è il libero arbitrio, cioè il pensiero, se non un dono memorabile? (Di chi non è detto, ma questo è superfluo). La sua «lectura Dantis», del quinto Canto, è tra le più scipite che si possano immaginare, si ascoltava Dante spiegato a un pubblico di bambini, un Dante tradotto per non udenti, non vedenti, non (più) senzienti. Inutile dire che il pubblico non applaude più a scena aperta, tace, non si sa se ammirato per l' alto sapere, se imbambolato, se stupito, se dormiente. In altri termini, Benigni usa Dante come Lavia usa Shakespeare («Misura per misura» all' Argentina). Questi colossi dello spettacolo acciuffano un grande nome del passato, e lo strattonano per nessun altro fine se non quello di fregiarsene, per essere cioè al centro della scena, ancora e sempre, con in più tutti gli alibi del mondo. In realtà i protagonisti sono loro, dunque non ci sono che loro. Questo pubblico che ha disertato gli stadi, secondo Benigni (o secondo Lavia), è un pubblico di infanti, e come tale lo trattano, abbindolandolo, gettandogli fumo negli occhi, il fumo della loro qualità di marziani, persone venute da un altro mondo, e che a un altro mondo appartengono.
Franco Cordelli