di Emma Dante
con Carmine Maringola in Acquasanta- capitolo I; Claudia Benassi, Stéphanie Taillander, Onofrio Zummo in Il castello della Zisa – capitolo II, Elena Borgogni e Sabino Civilleri in Ballarini – capitolo III
scene di Emma Danta e Carmine Maringola
costumi di Emma Dante, disegno luci di Cristina Fresia
coproduzione di Compagnia Sud Costa Occidentale, Teatro Stabile di Napoli, Crt Centro di Ricerca per il Teatro di Milano
con la collaborazione del Théatre du Rond Point di Parigi
2 aprile 2011 al Comunale di Casalmaggiore (Cremona)
Che l'amore sia umore? Che l'amore sia il rantolo di un vecchio, la saliva biancastra del mozzo o l'eiaculazione rubatagli sulla nave? O ancora che sia la bava di Nicola, secrezione di un autismo che si compie in convulsioni, soffocato dall'amore di due suore? L'amore è corpo guardato attraverso le lenti degli occhiali che Emma Dante fa indossare ai personaggi della Trilogia degli Occhiali. Tre capitoli, tre situazioni che per segni ricorrenti si richiamano in un rimando continuo che è forse l'aspetto più intrigante della messinscena di Emma Dante. Ricorrente è il riferimento al tempo che viene computato nei primi due episodi: Acquasanta e Il castello della Zisa attraverso il caricare i timer sospesi in un caso e nell'altro nel montare due bambole carillon. Nel terzo capitolo Ballarini il tempo è una danza a ritroso nella storia d'amore dei due protagonisti, che ballano la loro nostalgia, il loro amore appunto. Segno ricorrente è anche la sospensione, l'essere agiti di una fisicità marionettistica che si esplicita nel movimento da pupo siciliano di Carmine Maringola, il mozzo di Acquasanta, innamorato del mare, uno che non c'è tutto, sospeso a corde con all'estremità delle ancore, un bell'ossimoro visivo in cui la leggerezza dello sguardo nei confronti del mare si contrappone all'essere ancorato a terra, dimenticato dai suoi, un racconto in cui le parole si sposano al corpo, ma raccontano, laddove la parola negli altri due episodi è destinata a farsi suono, fonema o poco più. E' movimento nervoso, involontario, autistico quello di Nicola (Onofrio Zummo) che curato da due suore tanto premurose come soffocanti: Claudia Benassi e Stéphanie Taillandier ne cercano la partecipazione emotiva, ne gestiscono il corpo, destinato a sussultare nervoso e sordo nel cadere e rialzarsi come le croci sospese che le due suore fanno ballare insieme a giocattoli di un'infanzia lontana, ma fermata nell'autismo di Nicola. I due vecchi di Ballarini: Elena Borgogni e Sabino Civilleri si muovono, all'inizio, in una tremebonda danza che si scioglie pian piano, in un procedere a ritroso nel tempo e in un crescendo di passione per poi ripiombare immancabilmente nel presente e chiudersi nella morte. C'è poi il riferimento costante a quegli umori del corpo: saliva, catarro, sperma e sudore che sembrano essere l'esigenza di espettorare un disagio dell'anima che si traduce in disagio del corpo. La Trilogia degli Occhiali di Emma Dante dà l'impressione di un'antologia dei topoi della regista palermitana a cui manca la forza delle più riuscite regie per immagini dell'artista, qui per così dire più morbida e ironica, meno tragica e più comica, laddove la comicità può finire per essere più drammatica del tragico. Si a come l'impressione – assistendo alla Trilogia degli Occhiali - di un tentativo (magari ancora da mettere a fuoco) di muoversi in una direzione di leggerezza, in un gioco comico che possa con tremendo realismo raccontare il simbolico che c'è in ogni storia raccontata nello spazio astratto della scena.
Nicola Arrigoni