Progetto teatrale di Mario Perrotta
in vari luoghi del Salento dal 30 settembre al 2 ottobre 2016
Nel momento in cui scrivo, 3 ottobre 2016, si celebra in Italia la giornata delle vittime dell'immigrazione, moltissime annegate nel Mar Mediterraneo, senza nome e senza tomba. Una giornata di particolare commozione preceduta da un trino spettacolo di Mario Perrotta, titolato Versoterra - A chi viene dal mare, dipanatosi in tre giorni in terra di Salento (dal 30 settembre al 2 ottobre), avendo come centro focale la città di Lecce. Ai tre spettacoli invero, frutto d'una nota trasmissione radiofonica sull'emigrazione italiana del dopoguerra, Emigranti Express, realizzata dallo stesso Perrotta per Radio Rai 2, è stato associato il testo Lireta non cede, di Lireta Katiaj, diario d'una ragazza albanese di Valona, finalista del Premio Pieve Saverio Tutino 2012, drammatizzato e diretto pure da Perrotta. Ma andiamo per ordine. I tre spettacoli potevano essere visti in tre giorni diversi o come ha fatto chi scrive vederli nel corso d'una intera giornata, dall'Alba al Tramonto alla Sera, in tre suggestivi siti salentini, raggiungibili in pullman e poi a piedi. Per chi non è abituato ad alzarsi alle quattro e mezza del mattino certamente è come ricevere una mazzata. Ma per certi eventi si fa questo e altro, pure indossare abiti di lana e giacche a vento in un autunno ancora mite e ritrovarsi a San Foca, sulla marina frastagliata di Melendugno, nel piazzale polveroso di quello che un tempo era l'ex-CPT (Centro di Permanenza Temporanea) Regina Pacis, raffigurato qui da una fatiscente palazzina bianca su cui s'imprimevano all'inizio le immagini di coloriti barconi, nere sagome di migranti in fila indiana, massicce catene e lettere scritte con caratteri minuti e si leggeva chiara in alto alla facciata la nostra patria il mondo. Poi mentre il cielo si tinge di tutti i colori del rosso, ecco giungere dall'Adriatico stancamente a piccoli gruppi le figure di almeno una trentina di figuranti/attori/attrici, calarsi nei panni di migranti, indossare abiti asciutti e gridare tutti, come gli antichi navigatori-scopritori di nuovi mondi, la parola terra. Si forma anche una piccola band di otto elementi che suonerà sino alla fine motivi dolenti quasi da marcia funebre, ma anche motivi fracassosi in stile Bregovic, come si udivano nel film Il tempo dei gitani di Kusturica. Lo spettacolo dura poco più di un'ora e ognuno avrà il tempo di prendere la parola e dire i motivi per i quali ha rischiato la pelle per giungere nel nostro paese. Sono motivi i più disparati che hanno il sapore del già visto, letto e udito a causa dei media che fanno a gara per diffondere le notizie più bizzarre con ricchezza di particolari. Il sole comincia ad alzarsi e illumina uomini e cose, compresi quei migranti che spariscono lentamente nella vegetazione della costa e che ritroveremo nella seconda parte del progetto. Che inizia già nel pomeriggio dopo un lungo e non tanto facile percorso in pullman e dopo aver attraversato a piedi più di due chilometri del verde Parco di Porto Selvaggio con la sua bella pineta che giunge sin sulla costa dello Jonio col sole che tramonta, lì dove dei palazzinari famelici avrebbero voluto edificarvi ville e villette: obiettivo fallito per l'opposizione dell'assessore Renata Ponte rimasta uccisa nel 1984. Sul dissestato percorso finale s'incontrano i migranti che abbiamo visto prima, identificabili ognuno con un cartoncino bianco con su scritto in un latino maccheronico la professione che ha scelto ( o che è stato costretto ) a fare: puttana, spacciatore, danzatore, elemosinante, operaio, raccoglitore di pomodoro, ladro, magnaccia e così via. Si giunge poi in uno spiazzo scoglioso dove convergono quattro nutriti gruppi di spettatori che osservano sospesi su quattro diversi alberi quattro distinti migranti che raccontano la difficoltà ad ottenere un permesso di soggiorno: un modo per stare in una sorta di limbo, né di qua né di la del territorio italiano. Le musiche sono coinvolgenti e le coreografie di Maristella Martella, corporali pure ginniche fanno muovere l'intero gruppo disteso a terra come se volesse nuotare con veloci movimenti di braccia e gambe, mentre un ragazzino di colore lancia sul mare un voluminoso mappamondo gonfiabile e giungono nuotando ombre umane per raccontare nuove storie. Si riparte alla volta dell'Insenatura Acquaviva di Marittina, frazione di Diso, simile ad un piccolo porticciolo a scaloni, accostabile al "pertuso" di Ginostra, quasi un anfiteatro a semiluna, che lambisce le bianche acque salmastre, dove ci si poteva sedere risultando più riposante rispetto agli altri due siti in cui ci si doveva arrangiare o stare all'in piedi. Quasi a contatto con la riva la scena è solo una piattaforma in legno sulla quale Paola Roscioli per un'ora e venti si cala nel corpo di Lireta Katiaj raccontando con molto patos la vita di questa giovane donna albanese, sfoderando in alcuni momenti eccellenti doti canore dagli accenti brechtiani, accompagnata dai suoni stranianti del violoncello di Samuele Riva e dalla chitarra di Laura Francaviglia. Diciamo solo che Perrotta s'è innamorato subito di questo testo, che a suo dire è una storia archetipa che contiene in se i cromosomi d'una Medea dei nostri giorni che vuole andar via dal suo paese costi-quel-che-costi. Io ho conosciuto questa giovane donna, adesso 39enne, dagli occhi luccicanti come punte di spilli, assieme al marito Salvatore ( in realtà si chiama Carmelo) durante il tragitto in macchina da Bari a Lecce e sono rimasto impressionato dal suo modo di esprimersi in perfetto italiano con argomenti che riguardavano la sua povera famiglia numerosa d'origine, nove figli, una stupenda madre ricca di fantasia e un padre disoccupato e violento che l'ha fatta smettere di studiare, costringendola a sposare un uomo non scelto da lei e che rischierà la vita almeno tre volte in mare, una volta con la sua bambina di tre mesi, per emigrare in Italia, il paese che ha sempre amato. Una donna volitiva, dal carattere forte, che dopo tante vicissitudini ha trovato un po' di pace in Sicilia, a Modica, dove vive col marito da ben 15 anni, gestendo insieme una piccola impresa di serigrafia, assieme a quella bimba che è cresciuta e va all'università e una famiglia che s'è arricchita d'un secondo figlio maschio. Ecco dunque un altro successo per Mario Perrotta dopo il progetto Ligabue conclusosi l'anno scorso a Gualtieri e dintorni, scegliendo questa volta il progetto Versoterra, organizzato dall'associazione culturale Permàr e dalla cooperativa Coolclub col sostegno di vari enti pugliesi pubblici e privati e distribuito nel suo territorio e nella sua terra d'origine. Dei 50 artisti coinvolti tra attori, musicisti, danzatori, videomakers e fotografi, vanno almeno ricordati: il regista di percorso Ippolito Chiarello, il progetto musicale e arrangiamenti di Claudio Prima ed Emanuele Coluccia, gli attori e le attrici Helen Anokwute, Gabriele Avantaggiato, Dario De Mitry, Chiara De Pascalis, Angelica Di Pace, Antonio Guadalupi, Paul Ng'ang'a Karami, Agyaemang Clement Paul Kosono, Simone Maci, Patrick Kochwa Marende, Piergiorgio Martena, Richard Gathiomi Murigu, Elisa Murrone, Eliane N'Cho, Diego Perrone, Giulia Piccinni, Maria Chiara Provenzano, Artur Safonov, Paolo Stanca, il gruppo dei musicisti Rachele Andrioli (voce), Rebecca Bove (voce e violino), Vincenzo Gagliani (percussioni), Igor Legari (contrabbasso), Vera Longo (violino e voce), Maurizio Pellizzari (chitarra elettrica e voce), le danzatrici e i danzatori Alessandra Ardito, Livio Berardi, Stefano De Benedittis, Eugenia Gubello, Laura De Ronzo, Fatoumata Piconese e Manuela Rorro, Hermes Mangialardo (videomapping) e Sabrina Beretta (costumi).
Gigi Giacobbe