di Carlo Goldoni, con Alessandro Albertin, Daniele Bonaiuti, Katiuscia Bonato, Giulia Briata, Nicola Ciaffoni, Emanuele Fortunati, Matteo Fresch, Manuela Massimi, Giuseppe Nitti, Silvia Paoli, Pierdomenico Simone, Gianmarco Maffei; scene Paolo Fantin; costumi Carla Teti; disegno luci Alessandro Carletti; regia Damiano Michieletto, produzione Teatro Stabile del Veneto, Teatro e Umanesimo Latno Spa con la distribuzione di Arteven
al teatro Ponchielli, Cremona, 19 marzo 2013
E' possibile rileggere Goldoni in maniera rispettosa, intelligente, senza perderne lo spirito, ma anzi guadagnando in gioco e in visione sul presente e sui meccanismi senza tempo dell'amore. E' possibile farlo se a mettersi alla prova è un regista audace e spregiudicato –ovvero che va oltre il giudicato - come Damiano Michieletto che ha saputo fare de Il ventaglio di Carlo Goldoni un terreno di sfida in cui drammaturgia e inventiva, recitazione e ritmo, lingua e immagine sono un tutt'uno. Il ventaglio di Goldoni è affidato a una recitazione molto fisica, che sa tenersi in delicato equilibrio fra comicità e un pizzico di inquietata drammaticità. Eccolo il ventaglio simbolo d'amore, ma anche di gelosia, oggetto magico che fa venir fuori la passione fino ad arrivare alle pistolettate e ai capricci fra servi, il tirarsi i capelli fra servette e signore/cittadine. E allora il ventaglio è personaggio in carne ed ossa, è un po' Cupido e un po' Puck, recita Shakespeare e cita il Piccolo principe, ha le fattezze danzanti e leggere di Giuseppe Nitti, è colui che pone il microfono ai personaggi perché si raccontino, dicano del loro amore infranto per Giannina (Silvia Paoli), dell'amore omosex di Evaristo il tennista (Daniele Bonaiuti), della mail in cui Crispino (Nicola Ciaffoni) scopre di aver perso la sua lei. Questi inserti sul meccanismo di intrecci amorosi, di passioni ed equivoci, mirabilmente tessuto nella pièce di Goldoni, tiene, non perde in vivacità, ma acquista in inventiva, in racconto, si fa presente e coinvolgente e fa di Goldoni un nostro contemporaneo senza dare il senso di una sovrastruttura posticcia. Gli intrecci disegnati, raccontati scritti dal Ventaglio/Puck sull'enorme lavagna che domina la scena trovano azione in scena, qualche sedia e i colori sgargianti di un'umanità pop col conte di Alessandro Albertin a ostentare la propria protezione e a combinar guai oltre che a pietre un pranzo, la gelosia di Candida (Giulia Briata), piuttosto che le pretese dell'oste Coronato (Pierdomenico Simone), o ancora le pretese del barone (Emanuele Fortunati), piuttosto che l'ostentata signorilità di Katiuscia Bonato e l'allampanato Matteo Fresch, oppure la provocante Susanna di Manuela Massimi. Ogni personaggio è ben caratterizzato, vive di una propria fisicità e mimica, è un'identità cui l'occhio dello spettatore si abbandona e abitua, ma non è carattere, è tipologia umana eppure credibile in gesti e mossette, in una ridicola quanto fresca e gaia inadeguatezza gioiosa nei confronti dell'andare ondivago e imprevedibile di amore. Alla fine — come sempre in Carlo Goldoni — tutto torna, l'amore trionfa, o meglio l'amore mette tutti in mutande, ci mette a nudo, ci mostre inermi nei confronti di quella passione che tutto travolge e tutto vince. Buio in sala e la compagnia si presenta in accappatoio si gira e compone il titolo della commedia, regalando al pubblico un Ventaglio che sarà difficile dimenticare, ma soprattutto realizzando uno spettacolo che dimostra come la lettura registica di un capolavoro sia possibile, credibile, condivisibile laddove si mette alla prova nel cerchio chiudo della drammaturgia, senza paura di forzarla, ma con la consapevolezza che pure sempre la storia raccontata dall'autore deve arrivare al pubblico divertendo con intelligenza. Ed è questo che hanno fatto Damiano Michieletto e i suoi attori.
Nicola Arrigoni