di Friedrich Schiller
regia: Peter Stein
scene: Ferdinand Wögerbauer
costumi: Moidele Bickel
musica: Arturo Annecchino
con Klaus Maria Brandauer
Berlino Kindl-Brauerei, dal 19 maggio al 4 ottobre 2007
Nel Wallenstein di Schiller (1798) Peter Stein non solo realizza un' opera titanica (dieci ore, tutte d' un fiato; più di cento comparse; una quantità di attori di eccellente livello, con un Klaus Maria Brandauer che spicca per intensità e duttilità); ma realizza un meraviglioso spettacolo in cui l' avanguardia infine coincide con il più assoluto realismo: il registro della recitazione di un testo sterminato, una trilogia in versi giambici, è sempre medio o medio-basso; la composizione delle figure, stilizzate e sobrie nell' arredo, è inesauribile; la quantità e la precisione dei cambi di scena e dei movimenti dei singoli, una roba da brividi: pittorici interni borghesi (la vicenda è ambientata durante la guerra dei Trent' anni, 1618-48, tra austriaci e svedesi, tra cattolici e luterani), stupore, eccitazione, folgorazione, gioia. Tutto ciò colloca Schiller là dove non è, almeno per noi italiani, a cominciare da Benedetto Croce, e dove dovrebbe essere, tra i sommi; e ve lo colloca nella dimensione sua propria, quella di un tragico moderno: per Lukacs, non più tragedie erano le opere di Schiller, ma drammi, conflitti tra un' inclinazione alla totalità da una parte (Shakespeare) e all' unità dall' altra (Sofocle), un' unità che fissa l' individuo nel tipo, o nell' astrazione. A proposito di conflitti Wallenstein è ai vertici: ed ecco che il ritmico passo di Stein - che tende a farsi concitato nel finale - quel passo musicale (con l' ausilio di Arturo Annecchino), e la varietà nella linearità mettono a fuoco, nel dramma di Schiller, più dei sette canonici «tipi di ambiguità». Wallenstein è la storia di due discutibili tradimenti. Il protagonista è il generale dell' esercito austriaco e cerca un' alleanza con il nemico svedese a dispetto del suo imperatore.
È il ritratto di un uomo al quale (nella realtà storica) Keplero aveva fatto un oroscopo che incrociava Saturno e Giove, mescolava un lato esitante e tenebroso e una chiarezza di visione da condottiero, se non da dittatore, il dittatore che si temeva sarebbe diventato. A sua volta Wallenstein viene tradito dai suoi fedelissimi e naufraga il (forse nobile, forse ignobile) suo tentativo di porre fine alla guerra - per sé tenendo la Boemia. Il testo si può leggere come: 1) disegno di uno schema socio-antropologico a piramide, storicamente determinato e nello stesso tempo immutabile: una contraddizione tipica del medico militare Schiller, conservatore in politica, rivoluzionario nella sua arte (la piramide è costituita dai soldati, dall' élite degli ufficiali, da Wallenstein e dall' imperatore: di qui l' importanza cruciale del primo atto con l' accampamento della truppa, da Stein mirabilmente risolto in un' immagine di tende nella neve e scene di tregua nella battaglia, con donne e bambini); 2) contrasto tra autorità e libertà («nel dominare dimentica del tutto d' esser servo, quasi il suo grado fosse dono naturale»); 3) contrasto tra storia e natura (la fatalità astrologica di cui sempre parla Wallenstein); 4) contrasto tra politica e amministrazione, o vita quotidiana (di cui si fa portavoce proprio Wallenstein che di fatto non è un politico); 5) contrasto tra Stato e individuo o parte di uno Stato; 6) contrasto fra potenza e grandezza (un equivoco sul quale prospera la cultura del nostro tempo); 7) contrasto, di cui ho detto, tra totalità e unità; 8) contrasto tra tragedia e dramma, come nascita dell' eroe moderno. Wallenstein non è un Napoleone, mai preso tra due fuochi, o due lealtà, o idealità possibili; ma era in anticipo su un Garibaldi o su un Lawrence d' Arabia, come condottieri che rompono gli indugi e si lanciano allo sbaraglio o, direbbero Schiller e il suo regista, all' avventura.
Franco Cordelli