sabato, 02 novembre, 2024
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CRISI DI NERVI - regia Peter Stein

Gianluigi Fogacci in "Crisi di nervi", regia Peter Stein. Foto Tommaso Le Pera Gianluigi Fogacci in "Crisi di nervi", regia Peter Stein. Foto Tommaso Le Pera

Tre atti unici di Anton Čechov
Regia Peter Stein
L’orso con Maddalena Crippa, Sergio Basile, Alessandro Sampaoli
I danni del tabacco con Gianluigi Fogacci
La domanda di matrimonio con Alessandro Averone, Sergio Basile, Emilia Scatigno
Assistente alla regia: Carlo Bellamio. Scene: Ferdinand Woegerbauer
Costumi: Anna Maria Heinreich. Luci Andrea Violato
Produzione: Teatro Biondo Palermo / Tieffe Teatro Milano
Teatro Biondo di Palermo dal 10 al 19 maggio 2024

www.Sipario.it, 18 maggio 2024

I grandi registi non tagliano una virgola dei testi che mettono in scena. Era così per Strehler, Visconti, Ronconi e la stessa cosa vale per Peter Stein artefice di memorabili spettacoli come l’Orestea di Eschilo di 9 ore a Gibellina (1995), la Pentesilea di Kleist all’Ortigia Festival di Siracusa (2002), i Demòni di Dostoevskij di 12 ore al Napoli Teatro Festival (2010) e quella serie di lavori ritenuti maggiori di Cechov. Adesso giunto a 86 anni, il regista tedesco di Berlino, pare voglia divertirsi, giocare col Teatro come aveva fatto Mejerchol’d nel 1933 quando mise in scena uno spettacolo intitolato 33 svenimenti, composto da tre scherzi di Cechov: L’anniversario, L’orso e La domanda di matrimonio, con la differenza qui che Stein inserisce I danni del tabacco al posto de L’anniversario. Sono tre gioiellini di drammaturgia in cui i personaggi che vi compaiono diventano delle maschere grottesche, introdotti quasi sempre da musichette ruffiane come quelle d’un valzer o d’un tango. Sembra pure che in questi suoi vaudeville alla francese, Cechov continui la tradizione della comicità di Gogol e anticipino gli stilemi su cui poggerà il Teatro dell’assurdo di Ionesco e compagni. Leggendo la vita di Cechov si coglie sempre un senso di insofferenza nei riguardi del prossimo, compresi i suoi cari e la donna che sposerà, l’attrice Olga Knipper, come quando scrivendo al suo editore Suvorin gli dice che lui se ne starà a scrivere in campagna e se la moglie vuole vederlo saprà dove trovarlo. Insofferenza che si coglie nettamente in tutte e tre gli atti unici, proposti da un gruppo di sei attori bravissimi, capitanati da Maddalena Crippa (gli altri sono Sergio Basile, Gianluigi Fogacci, Alessandro Sampaoli, Alessandro Averone, Emilia Scaligno), tutti meritevoli di salire sugli scudi, in grado di restituirci, grazie pure ai costumi di Anna Maria Heinreich, gli odori dello zarismo e farci sentire all’interno del Biondo di Palermo, diventato per 100 minuti quel tempio teatrale che era ed è l’Aleksandrinskij di San Pietroburgo. Il merito certamente è di Stein, un maestro della scena cui bastano pochi elementi (come quelli di Ferdinand Woegerbauer) per farci entrare nel vivo delle vicende che si rappresentano. Una sorta di muro nero e nove sedie e un tavolo pure nero per L’Orso con protagonista Elena Ivanovna Popova, una ricca vedova inconsolabile, agghindata con un lungo abito nero plissettato quello della Crippa, che ha giurato dopo la morte del marito, sia pure ampiamente cornificata da lui, di non uscire di casa e di non legarsi più a nessuno, nonostante le insistenti preghiere del vecchio Luka (vestito da Basile con lunga barba bianca e divisa acconcia di servitore) perché abbia nuovi incontri. Uno status che cambierà allorquando Grigorij Stepanovic Smirnov (Sampaoli) un possidente di mezza età, rozzo vestito con pelli d’orso, si presenta alla Popova per riscuotere un debito sostanzioso che la vedova si rifiuta di pagare subito, ma solo dopo un paio di giorni. I due bisticciano in maniera palese, addirittura ad un tratto pare che la querelle possa risolversi in un duello con le pistole, rivelando il carattere forte della donna che tanto piace allo Smirnov, al punto di innamorarsi di lei all’istante e chiederla in sposa con bacio finale. Per ciò che riguarda I danni del tabacco, Stein ha scelto non il monologo del 1886/89 ma quello del 1903, anche se in concreto le differenze sono minime. Qui la scena minimale vede un leggio in primo piano, dietro c’è una parete di colore grigio con accanto una lavagna con su scritto TABAC e naturalmente c’è lui, Ivan Ivanovič Njuchin, capelli lisciati con scrima in mezzo quello di Fogacci, lunghe basette con folti peli ai lati del viso, chiuso dentro un frac vecchio di trent’anni, pronto per la sua conferenza sui danni del tabacco. Dopo un felice inizio il poveraccio si rivelerà essere un tapino, un esserino sottomesso dalla moglie dispotica, avara e sempre di cattivo umore, esprimendo il desiderio di fuggire lontano da lei e da una vita scialba e meschina e di voler dimenticare ogni cosa.  Ad un tratto addirittura si strapperà di dosso quell’abito da cerimonia, lo stesso utilizzato per il suo matrimonio e che gli è sempre servito per le sue conferenze. Giunto alle conclusioni, sbirciando con l’occhietto che la moglie è arrivata, indosserà di nuovo quel frac e chiederà al pubblico di riferire a quell’arpia che la conferenza sui danni del tabacco ha avuto luogo. Sul terzo pezzo, La domanda di matrimonio, i nervi sono a fior di pelle sin dal primo momento, da quando il giovane e ricco Ivan Vasil’evi   Lomov di Alessandro Averone, giunto a casa di Stepan Stepanovič Cubukov (Basile con gli stivali e con vestito cachi e berretto) gli chiede in moglie la figlia Natal’ja Stepanovna di Emilia Scatigno, che all’inizio appare in grembiule da lavoro. Lo spazio è delimitato da una parete bassa dai colori biancastri rigata di blu su cui è appoggiato un divano imbottito color bordeaux e ai lati sono situati due tavolinetti in stile antico. Tutto il lavoro è incentrato su alcuni equivoci, complici una serie di difficoltà fisiche del giovane pretendente che si mette a litigare con la ragazza per un appezzamento di terreno che ognuno dice d’essere di loro proprietà e per possedere due cani dai nomi curiosi, Azzecca quello di lui e Acchiappa quello di lei, sui quali ognuno argomenta che l’uno sia migliore dell’altro e viceversa, sino a quando alla fine Lomov cadrà svenuto-quasi-morto, e scoprire lei che lui era venuto per chiederla in sposa,  con un finale di felicità domestica che vede i protagonisti bere coppe di champagne. Spettacolo godibile e lunghi e festosi applausi del pubblico del Teatro Biondo di Palermo.    

Gigi Giacobbe

Ultima modifica il Domenica, 19 Maggio 2024 23:45

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