Tre atti unici di Anton Čechov
regia Peter Stein
L’orso con Maddalena Crippa, Sergio Basile, Alessandro Sampaoli
I danni del tabacco con Gianluigi Fogacci
La domanda di matrimonio con Alessandro Averone, Sergio Basile, Emilia Scatigno
assistente alla regia Carlo Bellamio
scene Ferdinand Woegerbauer
costumi Anna Maria Heinreich
luci Andrea Violato
produzione Teatro Biondo Palermo / Tieffe Teatro Milano
Palermo, Teatro Biondo dal 10 al 19 maggio 2024
Elegante crisi di nervi e risate al vetriolo. Al teatro biondo di Palermo in coproduzione con il Teatro Menotti di Milano è andata in scena la prima assoluta di Crisi di nervi - Tre atti unici di Anton Cechov per la regia di Peter Stein. I tre famosi atti unici di Anton Checov: l’Orso, I danni del tabacco e La domanda di matrimonio sono tre variazioni sul tema dell’umana ipocrisia in salsa borghese che il famoso drammaturgo russo scrisse ispirandosi alla commedia francese e al vaudeville molto in voga in Francia alla fine dell’Ottocento e con l’intento di rifarsi dell’insuccesso delle sue due prime opere. Fu forse proprio il suo risentimento o sentimento di frustrazione a produrre la sferza tagliente e la lucida, inclemente ironia con cui i personaggi sono messi alla berlina mentre cedono alla crisi di nervi provocata dal cedimento delle apparenze e non c’è bisogno di scostare troppo il tappeto per accorgersi di quanto l’ipocrisia che li accomuna non sia lontana da quella rilevabile nell’attuale società che come allora è preda di ingordigia e cupidigia, falsità e incapacità emotiva. Sono tre schizzi della nevrotica umanità borghese che nell’insieme hanno il ritmo sferzante della farsa giocato da una regia nitida, di estrema pulizia formale ed elegante rigore estetico dato dalle scene di Ferdinand Woegerbauer e dei costumi di Anna Maria Heinreich e dalle luci di Andrea Violato. Il primo è “L’orso” e si apre con una scena dominata dal nero coerentemente al tema del lutto: nero il bellissimo costume che avvolge una statuaria e giocosa Maddalena Crippa, vedova che si dice inconsolabile facendo voto di fedeltà eterna davanti al ritratto del defunto marito del quale però elenca le mancanze e le infedeltà patite e nero il mobilio, le pareti e ogni dettaglio, danno subito il senso di un sentimento tanto esternalizzato quanto falso nell’essenza che infatti nel breve giro di tempo che incrocia l’ingresso di Alessandro Sanpaoli nei panni di un creditore di bella presenza determinato a non muoversi finché non ottiene ciò gli spetta, si rovescia nel suo opposto erotico dove si capovolgono intenzioni e dichiarazioni mentre il povero servitore, impeccabilmente agito da Sergio Basile, si agita perdendo via via la compostezza iniziale. In questa grammatica registica è la chiave interpretativa di questo primo e tutti e due gli atti unici che seguono. “I danni del tabacco” è il titolo e il tema del secondo schizzo affidato ad un assolo di Gianluigi Fogacci che incarna perfettamente un borghese ottocentesco dilaniato tra ciò che deve o dovrebbe dire e pensare e ciò che in realtà pensa e desidera cioè non la salute da conservare al riparo del vizio, come il dettato della sua conferenza dovrebbe esprimere ma un desiderio distruttivo provocato dalla coercizione di una moglie dominatrice tanto assente quanto agente di questo divertente rovesciamento che il Fogacci gioca con gustoso senso del comico e dell’assurdo. “La domanda di matrimonio” è il terzo momento dove la tensione farsesca si moltiplica per tre nell’agone irresistibile di Alessandro Averone che nei panni di un signorotto intenzionato a risolvere il suo privato con l’ipotesi di impalmare una “non brutta e brava massaia” dalla cospicua rendita (la simpaticissima e scoppiettante Emilia Scatigno) con un matrimonio d’interesse non riesce a reggere il gioco che lui stesso si era imposto, preda della timidezza prima e dell’intemperanza e ipocondria poi. La triangolazione della tensione comica fa perno su un’altra impeccabile interpretazione di Sergio Basile che in un personaggio all’opposto di quello interpretato nel primo atto unico, mette in moto una diabolica situazione dove tutto si rovescia e si ribalta senza sosta, scatenando un putiferio divertentissimo e coinvolgente. Il dato comune a tutti i personaggi dei tre atti unici sta nel goffo indossare il ruolo che si sono prefissi come abiti messi al rovescio che mostrano le pecche e le cuciture malcelate del gioco sociale dove gli stereotipi del maschio e della femmina fanno acqua ad ogni passo nel gioco al massacro che sottende il matrimonio e le relative convenzioni sociali. Le note di regie precisano che “l’estrema comicità, l’esasperazione e gli eccessi di crudeltà utilizzati dall’autore, possono funzionare soltanto se accompagnati da un sottofondo realistico e psicologicamente giustificato” e mi pare che in questa prospettiva tutto si tiene nella coerenza surreale di uno spettacolo godibilissimo da non perdere e che nella forza liberatoria della risata provocata dalla maestria di tutti gli interpreti regala un momento di impeccabile teatro mentre il mondo là fuori continua la sua farsa. Alla Sala Grande del Teatro Biondo dal 10 al 19 marzo e poi al Teatro Menotti di Milano dal 23 maggio al 9 giugno 2024. Valeria Patera