di Vitalino Trevisan
regia: Giuseppe Marini
con Ugo Pagliai, Paola Gassman, Paola Di Meglio, Alessandro Albertin
Scene: Antonio Panzuto, Costumi: Gianluca Falaschi, Luci: Pasquale Marri, Suono: Marco Podda, Assistente alla regia: Michela Degano
Teatro Stabile del Veneto
Teatro Verdi, Padova 16 dicembre 2012
Wordstar(s) di Vitalino Trevisan rimarca favorevolmente l'attenzione che lo Stabile del Veneto sta dedicando alla drammaturgia contemporanea che, come ricorda Giuseppe Marini regista dell' allestimento "sebbene poco incoraggiata, quando non decisamente maltratta, mostra, malgrado tutto, importanti segnali di vitalità da cui si stagliano delle punte avanzate di cui vale la pena occuparsi". Punte come quelle che raggiunge il testo dello scrittore vicentino capace di creare un ponte tra presente e passato, tra i grandi classici e le nuove sperimentazioni, tra Beckett e WordStar il più diffuso programma di scrittura prima dell'avvento di Microsoft Word.
Obsoleto come il sofware si spegne sul palcoscenico un vecchio Samuel Beckett (Ugo Pagliai) che vive i suoi ultimi giorni tra il ricordo della moglie Suzanne (una lodevole Paola Gassman), dell'amante Billie (PaolaDi Meglio) e un'estenuante riflessione sull'atto dello scrivere.
Non solo un omaggio al poliedrico autore irlandese quindi, ma innanzitutto una meditazione sulla parola, che diviene allo stesso tempo nucleo e strumento del racconto.
Una parola che fluisce negli intensi ed emozionanti monologhi, che Ugo Pagliai snocciola con ironia e passione, capaci di superare con la loro forza il pregnante aspetto meta-testuale e comunicativo della piece per scoprire la delicata e talvolta brutale riflessione sul tema della vecchiaia che essa contiene.
Solo e scoraggiato il Beckett di Trevisan trova nella convincente regia di Marini la dimensione terrena di un uomo stanco e vicino alla fine che affoga le proprie pene nell'alcool, non si veste al mattino e passa tutto il tempo chiuso in una casa sospesa in un'atmosfera degna del più Assurdo dei Teatri e dominata dal fluire monocanale dei suoi pensieri inframezzati qua e là dal chicchericcio post-mortem della devota Suzanne e delle civettuola Billie.
Tra un gesto quotidiano e un bicchierino di wisky si consuma la tragedia dell'attesa.
Al protagonista, tra gli applausi di un caloroso pubblico, non resta che aspettare, come i personaggi del suo dramma cui rimanda l'imponente albero spoglio della scenografia, uno sconosciuto Godot.
Micol Lorenzato