venerdì, 08 novembre, 2024
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Conversazione con Luigi Maio.-a cura di Gabriele Benelli

Luigi Maio Luigi Maio

Come nasce la sua passione per L'Histoire du Soldat?
Ero molto piccolo quando ascoltai per la prima volta L'Histoire in disco: fu amore a prima vista, anzi, a 'primo udito' e, immaginandomi la favola sulle note di Stravinsky, rimasi poi insoddisfatto dalle vecchie messe in scena che tradivano la mia fantasia. Volli così appropriarmi di tutti gli strumenti per realizzare il Soldat che sognavo da bambino: ho studiato teatro, musica e scenografia quasi per gioco.

E con quel gioco ha realizzato quella che è stata definita da critici, studiosi e da Marie Stravinsky (nipote del grande compositore), l'edizione di riferimento di questo capolavoro. Ma L'Histoire du Soldat così come lei l'hai portata in scena ha subito un'evoluzione fino ad oggi? Se sì, quale?
Si dice "cavallo vincente non si cambia": sono anni che porto in Italia e all'estero la mia versione de L'Histoire che, dalla prima rappresentazione, è rimasta pressoché identica. Ho però modificato il personaggio della Principessa: inizialmente, pur interpretando tutti i ruoli alla Jekyll & Hyde, affidavo la parte femminile all'azione pantomimica di un'attrice, come già si faceva nelle passate edizioni. Poi ho sostituito l'attrice con una bambola, in omaggio a Roland Petit, che in Coppelia ballava con un identico pupazzo. Modellando il ruolo muto della Principessa sul mutismo 'plastico' di un manichino gonfiabile (con cui ballo Tango, Valzer e Rag-Time – le Tre Danze de L'Histoire), ho ridotto ulteriormente lo spettacolo nel segno d'un teatro anticrisi, secondo l'originale itineranza dell'opera (nata nel 1918 per girare in Svizzera su una sorta di «motocarro di Tespi»), stipando lo spettacolo in una semplice trolley, in pratica una sorta di «bagaglio a Maio».

Quanto ha influito l'Histore du Soldat sui suoi spettacoli successivi?
Se volessimo usare paroloni che riempiono la bocca, potremmo definire il Soldat stravinskiano l'archetipo paradigmatico del "Teatro da Camera": più semplicemente, si tratta di uno spettacolo povero di mezzi, scarno per necessità di sopravvivenza nelle ristrettezze del primo dopoguerra, un'opera in miniatura da cui nasce il "Kammerspiele", un teatro supportato da orchestra da camera, dove anche i musicisti in scena prendono parte all'azione drammaturgica, concentrando e riducendo sul palco le masse artistiche ereditate dal teatro ottocentesco... E così facendo, Stravinsky ci offre dal passato la soluzione per aggirare i limiti imposti oggi al teatro, alla musica e all'arte dalla crisi culturale ed economica. In tempi non sospetti, quando i budget erano più alti ed era facile stupire il pubblico con effetti speciali e scenografie sontuose, ho preferito realizzare opere agili per costo e allestimento, sull'esempio stravinskiano, dove l'unico effetto speciale è la precisa fusione tra testo e musica. Ora, sulla scia de L'Histoire, creo e offro spettacoli di richiamo al solo costo del cachet mio e dei musicisti, estendendo il repertorio di un teatro cameristico articolato e vario, veloce da montare come un semplice concerto, dove la cura del dettaglio e la concertazione di parole, note e azione scenica catturano anche lo spettatore più prevenuto.

E il Premio dei Critici di Teatro del 2005 e le lodi di Marie Stravinsky testimoniano il grande contributo che ha dato nel divulgare L'Histoire presso il grande pubblico, generando una vera tendenza anche tra i giovanissimi, che adorano vederla in scena fare il diavolo a quattro. A tal proposito una curiosità personale: c'è qualcosa di Dario Fo e del Mistero Buffo nel suo "vivere" i quattro personaggi dell'Histoire?
Quella di fare «il diavolo a quattro» è un'espressione azzeccata, che risale proprio ai Misteri Medievali: le confraternite più richieste per le Sacre Rappresentazioni dovevano ingaggiare almeno quattro funamboli in guisa di diavoli. Reclutarli era costoso, essendo essi al contempo giocolieri, trasformisti, attori e quant'altro: veri protagonisti della diablerie a cui si rifà Dante nei canti XXI e XXII dell'Inferno, una masnada infernale e carnascialesca che costituiva l'embrione del teatro a venire, ai cui interpreti era affidata la parte comica dei Misteri: è a loro che sono debitore, come lo è pure lo spassoso Zanni del grande Dario Fo.

Lei ha citato la Commedia dell'Alighieri, altro suo cavallo di battaglia: il noto medievista Francesco Mosetti Casaretto ha definito il suo Inferno da Camera, opera per voce e Trio musicale, il primo «Dante in 3D», grazie alla sua abilità di mutare voce e mimica rilevando i personaggi a tutto tondo. Cosa la lega tanto a Stravinsky quanto al Ghibellin Fuggiasco?
Come ho detto e scritto altrove, in Stravinsky vedo una sorta di Alighieri del '900: esule come il Ghibellin fuggiasco, il grande Igor ha compiuto un'operazione per certi versi analoga a quella di Dante; mentre il Sommo Fiorentino affidava tutti i personaggi (e i 12 'costosissimi' diavoli dei Malebranche!) all'economia della sola sua voce e delle sue terzine, il Sommo Sanpietroburghese riduceva l'intero impianto operistico a pochi elementi da camera, e affrancava L'Histoire du Soldat dalla parola cantata del teatro lirico, innestando alla partitura solo il testo ritmato; una sperimentazione molto più complessa e originale d'ogni futuro «rap». Mischiando la musica alta a quella 'plebea' del tango e del rag-time, Stravinsky codificava il nascente e rivoluzionario "Kammerspiele" così come Dante aveva codificato la lingua italiana sposando la canonicità della Commedia non al Latino, ma alle rime del «petroso» Volgare.

Lei ha elaborato una nuova concezione di teatro, portando un interesse trasversale nei suoi spettacoli. Ci ha lavorato molto. Sente che si tratta di una scommessa vinta?
Se penso agli incoraggiamenti dei miei insegnanti, al crescente affetto di un pubblico sempre più trasversale, entusiasta e numeroso, ai consensi e ai riconoscimenti della critica, alle lodi di Marie Stravinsky e ai numerosi ingaggi in Italia e all'estero, credo proprio di aver dimostrato il valore vincente del "Teatro da Camera": è Stravinsky a vincere con L'Histoire, io cerco solo di realizzarla come avrebbe voluto lui!

Infatti Marie Stravinsky la ha nominato rappresentante della "Fondazione Igor Stravinsky" di Ginevra per la sua Histoire du Soldat, divenuta – ribadisco – l'edizione di riferimento del capolavoro stravinskiano. Lei ha anche ricevuto il Premio dei Critici di Teatro quale re-inventore del teatro da camera: da dove nasce la sua passione per il "Kammesrpiele" e per quello che lei ha definito "Teatro Sinfonico"©?
Dalla scoperta di un repertorio che, seppur emblematico del '900, necessitava ancora di uno specialista. Ho così differenziato opere da camera come L'Histoire du Soldat di Stravinsky/Ramuz e Façade di Walton/Sitwell (il "Kammerspiele" o "Teatro da Camera" vero e proprio), da quelle dall'organico orchestrale come, ad esempio, Pierino e il Lupo di Prokofiev o il Peer Gynt di Ibsen/Grieg: quest'ultime fan parte di quello che chiamo appunto "Teatro Sinfonico"©.

Molti critici dicono che lei ha de-borghesizzato la cultura teatrale. Lo ritiene vero?
Nel Soldato di Stravinsky vedo un uomo privo di radici, che teme di agire, di scegliere, che non appartiene più alla cultura contadina ma che non è approdato ancora a quella elitaria, scivolato dalla divisa militare all'uniforme piccolo borghese, fante dell'esercito degradato a in-fante afflitto dal profitto, pallido portabandiera dell'ignavia che marcia verso luoghi peggiori dell'Inferno (Dante docet)... la sua disfatta è chiara metafora del grigiore contemporaneo, cul de sac della storia, come già profetava tutta una tradizione antiborghese, meta-teatrale, da Goethe a Tieck, da Grabbe a Lenau, da Hoffmann a Poe, da Baudelaire a Ibsen, da Dostoevskij a Mann, da Bulgakov a Pasolini... autori che amo e dai quali continuo a attingere e a imparare. Oggi più che mai il Teatro deve recuperare il suo ruolo didattico, divenire un «teatro dell'obbligo» come auspicava Karl Valentin: in tempo di guerra si uccidono corpi, in quelli di pace si macellano anime e carattere.

Quello de "il Musicattore", è un marchio originale che ha creato e registrato e che ben sintetizza la sua natura di attore, autore e musicista. Ma è stato anche definito "istrione", "mattatore", addirittura un "Gassman trasformista". Si riconosce in queste definizioni o le trova inesatte?
Ho sempre amato Gassman, è un onore una simile definizione! Ma, strizzando l'occhio al Medioevo, mi riconosco anche in quelle di "moderno trobadore" e "l'ultimo dei grandi saltimbanchi".

Il suo teatro sfugge alle categorizzazioni. Lei, il Musicattore, in quale genere si riconosce di più?
Se ti impegni a dimostrare che il "Teatro da Camera" costituisce un genere ben preciso è perché ti riconosci in esso: ho coniato il termine Musicattore, non solo per differenziarmi dall'abusato e riduttivo termine di "voce recitante", ma anche per identificare uno specialista di genere e settore, che si batte non solo perché venga riconosciuto al "Teatro da Camera" lo status di genere (e non di mera contaminazione), ma anche per sostenere l'importanza dell'esecuzione dal vivo dei brani di opere come L'Histoire du Soldat (contro la vecchia e brutta abitudine d'usare - talvolta - basi registrate) e suggerire, in un momento sempre più critico per le orchestre, un nuovo ambito lavorativo per giovani musicisti freschi di Conservatorio: il teatro di prosa. Fu perciò una grande soddisfazione quando l'apertura di "Music", prima rassegna di teatro musicale ospitata in una stagione di prosa (in cartellone al CTB grazie alla lungimiranza di Angelo Pastore), venne affidata al mio spettacolo Vespe d'Artificio – il Futurismo da Stravinsky a Petrolini!

Quanto di psicologico c'è nel suo lavoro?
Il Teatro è un rito, che si arricchisce nell'interazione con un pubblico sempre diverso: la componente psicologica gioca di sponda con la prestidigitazione di note e parole, nella totale complicità tra interprete e spettatore, al quale spesso affido il ruolo di comprimario privilegiato! Se questo è già impegnativo quando le parole sono in libertà, lo sforzo è maggiore se il testo si accompagna al pentagramma... ma la sensazione deve essere sempre quella della spontaneità. E questo è facilitato quando, oltre al vantaggio della doppia competenza di Musicattore, hai la fortuna di collaborare con grandi musicisti come ad esempio i Solisti del Carlo Felice o della Filarmonica della Scala e con direttori del calibro di René Bosc o di Alessandro Ferrari (che mi ha affiancato Domenica 8 Maggio a Milano).

È interessante come una parte rilevante del suo pubblico sia composto da bambini. Crede abbia attinenza la concezione del fanciullino pascoliano, lo sguardo senza pregiudizi e sovrastrutture che può comprendere al meglio la sua drammaturgia?
Pascoli era grandissimo poeta e altrettanto grande dantista: la sua fresca e profonda visione della Divina Commedia fa spesso capolino nel mio Inferno da Camera, un'opera che – come in tutti i miei spettacoli – si rivolge agli adulti rigorosamente accompagnati... dai figli! Spesso i bambini apprezzano l'aspetto più serio dei miei lavori, mentre i grandi partecipano alle mie rappresentazioni con lo spirito di un fanciullino che ha – finalmente! – trasgredito la tv e il pc!

Sicuramente sono stati in molti a disertare il piccolo schermo per applaudire lei, Bosc e i Solisti del Carlo Felice la sera del 5 Maggio.
Sembrava d'essere a un concerto Rock! Il teatro era così gremito che, scherzando con René e Marie, abbiamo parafrasato il titolo del Soldat in... Histoire du "Sold-Out"!

Ultima modifica il Lunedì, 23 Maggio 2016 22:16
La Redazione

Questo articolo è stato scritto da uno dei collaboratori di Sipario.it. Se hai suggerimenti o commenti scrivi a comunicazione@sipario.it.

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