Mauro de Candia inizia i suoi studi coreutici giovanissimo. Dopo due brevi parentesi presso la Scuola di Ballo del Teatro alla Scala di Milano e la Scuola Rudra di Béjart a Losanna, nel 1998 entra a far parte dell'Accademia Princesse Grace di Montecarlo grazie alla borsa di studio "John Gilpin" attribuitagli dalla Principessa Antonietta. Nel 2001 lascia Montecarlo per stabilirsi in Germania dove diventa Solista principale del Balletto di Hannover diretto da Stephan Thoss. Nel corso della sua carriera di interprete ha la possibilità di confrontarsi con autorevoli coreografi del Novecento come Béjart, Kylian, Ek, Forsythe, Naharin e Goecke. È comunque Stephan Thoss ad avere un ruolo fondamentale nella sua carriera, creando appositamente per lui diverse pièces e rivisitazioni ballettistiche. Da subito attratto dalla coreografia, viene invitato a creare per compagnie come Introdans, il Balletto Reale delle Fiandre, Milwaukee Ballet, l'Augsburg Ballett, MaggioDanza, lo Staatsballett di Berlino, il Washington Ballet. Diverse sono anche le commissioni e le apparizioni e in prestigiosi festival come l'Edinburgh Festival Fringe, la Biennale Danza di Venezia, Le Temps d'Aimer di Biarritz, Bolzano Danza o il Festival Internazionale di Maracaibo. Già nel 1997 fonda a Barletta Arte&BallettO, organizzazione attiva nel panorama della danza italiana nell'ambito della formazione e promozione. È direttore didattico del corso di alto orientamento coreutico "FormAzione Tersicore", dell'ApuliArteFestival e del Premio Internazionale "ApuliArte". Dalla stagione 2012/13 è direttore del ballo del Teatro di Osnabrück in Germania. Nel marzo 2014 debutta come autore al Teatro Filarmonico di Verona riallestendo il suo balletto "Casanova" per la Stagione Opera e Balletto 2013-2014 della Fondazione Arena di Verona, per il quale firma anche scene, costumi e luci dello spettacolo.
Gentile Mauro, aprendo il tuo libro dei ricordi quando e come hai scoperto l'arte della danza?
La danza è un'esigenza che mi accompagna da sempre e che scopro giornalmente. Oggi, lavorando con i danzatori della mia compagnia e quelli di compagnie ospiti. Prima ancora invece come studente e poi come danzatore.
Che emozioni provi nel ripensare al primo giorno in sala danza, i primi insegnamenti, le prime emozioni in palcoscenico... Come si è creata ed evoluta la passione tersicorea che poi si è trasformata in professione?
Con la scoperta. Scoprire cosa il corpo può fare è l'emozione che mi ha accompagnato lungo il mio percorso di studente. Poi questa scoperta è diventata sempre più cosciente, sia emotivamente che intellettualmente, e mi ha portato a fare scelte mirate affinché giungessi al professionismo.
Le esperienze fino ad oggi maturate in compagnie prestigiose in quale modo ti hanno arricchito non solo sotto il profilo artistico ma anche umano?
Penso che la bellezza del nostro lavoro risieda nell'incontro con diverse menti. La diversità è un valore aggiunto nell'arte che non deve andar perso. È proprio questo che continua ad affascinarmi ancora. In ogni compagnia in cui ho lavorato ho avuto modo di apprezzare la profondità della diversità umana.
Com'è nata l'esigenza di creare un qualcosa di tuo? Quando hai iniziato la carriera di danzatore sapevi già di voler diventare coreografo in seguito?
Sin da piccolo mi piaceva mettere in scena spettacoli. In realtà uno dei miei sogni era quello di diventare un direttore di circo. Ho cominciato a coreografare per gioco, ancor prima di iniziare gli studi di danza. In maniera inconsapevole. Mettere dei passi in musica in linea di massima non è poi così difficile! Poi pian piano questo gioco si è fatto sempre più serio, perché sostenuto e incoraggiato da persone nelle quali ho sempre nutrito molta stima. Da lì ho cominciato a pormi domande e a vivere l'atto coreografico non più come un momento narcisistico – inizialmente non ne ero cosciente – quanto come momento di riflessione.
Da dove trai ispirazione per le tue coreografie?
Non c'è qualcosa di specifico che mi ispiri. A volte può essere un testo, a volte una composizione musicale. Più che altro ho bisogno di essere attratto da una sfida e da qualcosa di ignoto per trovare alla fine del processo creativo, forse, delle risposte, ma soprattutto ulteriori quesiti.
C'è un sottile filo che lega i tuoi lavori, anche tematicamente, oppure si distaccano completamente uno dall'altro?
Nel corso degli anni ho coreografato lavori particolarmente diversi tra loro, non soltanto per scelte musicali o drammaturgiche ma anche stilistiche. Ad esempio per alcune produzioni ho fatto uso delle punte vista la mia provenienza accademica. Cosa che non faccio con la mia compagnia.
Come ti poni a livello musicale nella narrazione e creazione?
Narrazione e musicalità rappresentano due aspetti importanti ma ben distinti della coreografia. Si può narrare anche senza raccontare una storia con personaggi concreti. Guidare dei corpi nello spazio attraverso una drammaturgia definita è, per me, narrazione. Penso a Cunningham, Lucinda Childs, o Balanchine. Farlo con cognizione di causa non è semplice. Non bastano "solo" passi più o meno belli esteticamente o virtuosistici e un paio di formazioni. Bisogna saper muovere lo spazio e creare tensione emotiva per chi danza e guarda. La musicalità invece è un aspetto altrettanto complesso. La musica è in primis fisicalità: non va scordato che anche il musicista esegue un movimento fisico per generare un suono. Trovare il giusto dialogo tra corpo danzante e corpo musicale, senza "inchinarsi" all'uno o all'altro è la sfida che accompagna ogni mio processo creativo.
Per il momento sei riuscito a seguire le tue sole esigenze, idee e anche sensazioni senza doverti strategicamente accostare a quelle dettate dal momento e dalla moda?
Non ho mai creduto alla moda come mezzo di evoluzione. Credo nella storia della danza e con questo intendo dire l'evoluzione portata da immensi Maestri. Ho avuto la fortuna di lavorare con grandi personalità che a loro volta portavano con se l'esperienza di altrettanti grandi Maestri. Penso che per far evolvere la danza e l'arte con coscienza, sia necessaria questa conoscenza. Se non altro intellettuale. Tante cose oggi spacciate per "nuove" venivano esplorate già negli anni '20. L'unica differenza tra oggi e allora sono i mezzi, oggi più evoluti di allora!
La tua seconda casa è la Germania, come ti trovi sotto il profilo sociale, culturale ed artistico?
Ho avuto bisogno di tempo per adattarmi e trovare i miei spazi, non solo artistici quanto personali. La Germania ha una storia ed una tradizione molto diversa dalla nostra. All'inizio non ero certo di riuscire ad integrarmi in questo Paese. Poi con il tempo, anche trovando le persone giuste intorno a me, ho costruito il mio habitat.
Hai lavorato recentemente con Pompea Santoro e con i suoi ragazzi, qual è il suo punto di forza e cosa ti rimane di questa esperienza?
Con Pompea avevamo in programma di collaborare già da molto tempo. In realtà se la mia carriera coreografica è iniziata molto presto è per "colpa" sua. Nel 2004, mentre Mats Ek riprendeva la sua "Carmen" ad Hannover, vedendo un mio lavoro ne parlò a Pompea, la quale mi chiese di inviarle un DVD. Dopo averlo visionato mi consigliò di inviarlo al direttore della compagnia "Introdans", perché pensava avessi talento. In realtà non volevo farlo perché non ritenevo in quel momento di essere coreograficamente pronto. Ad ogni modo lo feci e dopo un paio di mesi fui contattato ed ebbi la mia prima commissione da una compagnia di danza professionale. Ritornando al suo progetto: Pompea è una persona solare e positiva. Basti vedere l'energia e l'atmosfera che crea durante la lezione mattutina. Inoltre penso sia un'ottima guida "iniziatica" per i giovani danzatori. L'esperienza con i suoi ragazzi e ragazze è stata positiva. Fugace direi: avrei avuto bisogno di più tempo per lasciare loro non solo una sequenza di passi ma una coscienza corporea più profonda di quello che mi interessa nella danza. Ad ogni modo la resa in scena è stata positiva.
In veste di danzatore, quali sono stati i momenti che ti hanno particolarmente contraddistinto e gratificato?
Potrà sembrare retorico, ma ogni momento in scena è stato per me importante. Anche quelli meno positivi, perché ho potuto capire cosa non volevo e di conseguenza cosa per me fosse importante. Inoltre ogni creazione, coreografo, ogni danzatore e danzatrice con il quale ho lavorato mi ha lasciato qualcosa.
Parlami dei periodi trascorsi presso la Scuola di Ballo della Scala a Milano?
È stato un periodo breve. Studiavo nel corso tenuto dalla signora Ratchinskaja. Il ricordo più bello resta il fatto che la scuola di ballo fosse nel Teatro stesso. Quindi avevo la possibilità a volte di incrociare alcuni ballerini della compagnia.
Mentre al Rudra di Béjart a Losanna?
Béjart in assoluto! Carismatico e onnipresente in tutto e in tutti. E poi l'esperienza con diverse discipline come il canto, il kendu, il circo. Oltre alle esibizioni con la Guillem nel "Bolero", Baryshnikov e il solo di Paolo Bortoluzzi che ho avuto la possibilità di danzare nelle sette danze greche.
Invece all'Accademia Grace di Montecarlo?
Difficile riassumerla in poche righe. Senza Montecarlo e soprattutto Marika Besobrasova non esisterebbero le mie fondamenta artistiche.
In quale occasione hai ricevuto la borsa di studio "John Gilpin" dalle mani della Principessa Antonietta. Che ricordo hai di quel momento?
Nel dicembre del 1998. Non vi fu una cerimonia propriamente ufficiale. Incontrai la Principessa Antonietta in Accademia, nell'ufficio di Marika, insieme ad un suo assistente e chiaramente Marika. Fu molto gentile. Lo è sempre stata non solo nel corso dei miei studi in Accademia, anche dopo aver lasciato Montecarlo, ogni volta che sono ritornato ad esibirmi negli spettacoli di fine anno. Conservo ancora suoi regali e delle brevi lettere.
Per diversi anni hai ricoperto il ruolo di Solista principale al Balletto di Hannover diretto da Stephan Thoss. Stephan Thoss ha giocato un ruolo determinante nella tua carriera. Come ti piacerebbe dipingere a parole un Suo ritratto?
Intenso ed introverso. L'esperienza di Hannover è stata importantissima per la mia carriera non solo di ballerino ma anche di coreografo e successivamente di direttore.
Tante le commissioni in celebri festival. Quale serata e quale incontro ti è rimasta particolarmente nel cuore?
Anche qui difficile dire quale serata abbia un posto speciale. Per citarne solo alcune: ricordo la mia prima esibizione a Roma, nell'ambito del "Festival Invito alla Danza" diretto da Marina Michetti con il mio "Otello" (2004). Un momento sicuramente importante di visibilità in Italia. Ma anche l'esperienza ad Edinburgo e Biarritz sino alla commissione fattami da Ismael Ivo per la Biennale Danza 2008.
Come nasce l'idea del Premio Internazionale "ApuliArte"?
Volevo concludere il festival estivo "ApuliArteFestival" con un momento di "festa" ma anche di omaggio ad artisti del mondo della danza. Un duplice motivo per ringraziare loro e legarli, per di loro, a Barletta e al territorio pugliese per la prima volta in una notte. Nel corso delle edizioni abbiamo avuto diversi artisti che si sono esibiti e sono stati omaggiati: Marijan Rademaker, Monique Loudières, Jurgita Dronina, ma anche giovani espoir come Daniele Delvecchio (oggi ai Balletti di Montecarlo) o Alessio Scognamiglio (oggi ai Grands Ballets Canadiens).
Che esperienza è quella alla direzione del Teatro di Osnabrück?
Un'esperienza bellissima ed intensa allo stesso tempo. All'epoca non era assolutamente in programma la direzione di una compagnia di danza. Il mio lavoro di coreografo freelance stava andando molto bene ed avevo diverse commissioni in programma. Fu un mio amico direttore a dirmi che ad Osnabrück cercavano ancora un direttore. Conosceva il mio sovrintendente e gli parlò di me. Senza saperlo anche un'altra persona parlò di me al mio sovrintendente. Mandai una mail al mio sovrintendente e dopo due giorni mi chiese di incontrarlo. Nell'arco di un mese mi trovai ad avere l'incarico di direttore a partire dalla stagione successiva. Sei stagioni sono trascorse velocissimamente. Ho la fortuna di avere intorno a me un sovrintendente che sostiene la danza – cosa non necessariamente comune anche qui in Germania – ed un team molto affiatato a partire dalla mia manager e drammaturga Patricia Stöckemann e dal mio assistente Leonardo Centi. Il lavoro di direttore è molto più complesso di quello di coreografo. Sono responsabile nei confronti dei miei danzatori – ai quali devo proporre stimoli affinché anch'essi possano trovare la loro via artistica – ma anche nei confronti del pubblico. In tutto questo penso sia importante creare un profilo di compagnia in ambito nazionale e non solo. Da subito ho puntato sull'eredità della danza moderna tedesca, con la ricreazione di lavori della pioniera della danza moderna Mary Wigman. Le sue ri-creazioni sono state affiancate poi da lavori di autori contemporanei come Marco Goeocke o, nel caso della prossima stagione, Edward Clug. Il tutto cercando di trovare quel fil rouge tra passato e presente. Senza dimenticare autori giovani dell'attuale generazione come Samir Calixto, o persino l'italiano Stefano Mazzotta. La compagnia conta oggi dodici danzatori. Inizialmente avevo dieci danzatori. Con il mio arrivo ho rivisto e aumentato i salari. Quest'anno ho fatto acquistare il pavimento Harlequin che viene montato ogni volta che abbiamo spettacolo sul palcoscenico del grande o del piccolo teatro. I danzatori hanno la possibilità di creare dei loro lavori ogni stagione perché è altrettanto importante sostenere la creatività del futuro. E chi se non noi che abbiamo un teatro stabile, una compagnia di danza, può farlo? Oltre a tutto questo ho cercato di lavorare anche per e nella comunità: un sabato al mese persone a partire dai 16 anni possono prendere lezione con i danzatori della compagnia. Due volte al mese offriamo lezioni a persone over 60 anni, e abbiamo creato un "club di danza" per ragazzi dai 13 ai 18 anni curato da due danzatrici della compagnia. Patricia, avendo un passato di storico di danza, tiene degli incontri sulla storia della danza, coreografi, o presenta le nuove produzioni in programma durante il corso della danza. A fine stagione realizziamo anche un Gala di danza con la presenza di danzatori provenienti da compagnie puramente accademiche ad altre molto contemporanee. Alla base mi piacerebbe che il pubblico di danza fosse aperto a tutto e amasse la danza nella sua totalità come me! Devo dire che sino ad oggi ha premiato le nostre scelte: la scorsa stagione abbiamo chiuso con l'86% delle presenze, superando anche l'opera. Un grande risultato per la danza direi!
Quali sono stati e chi sono i tuoi maestri, non solo materiali ma anche ideali del presente o del lontano passato?
Coloro con i quali ho studiato e lavorato: da Marika Besobrasova per la mia determinante formazione ai coreografi con i quali ho avuto la fortuna di lavorare.
Qual è il balletto che hai più amato, in veste di danzatore, del repertorio e quello di danza contemporanea?
"Divertimento n. 15" di Balanchine, "Pas de Danse" di Mats Ek, "Il Lago dei Cigni" di Stephan Thoss e "Trio" di William Forsythe.
Ripercorrendo la storia della danza a chi riconosci l'eccellenza assoluta e perché?
A nessuno in particolar modo, ma a molti artisti e artiste. Ci sono contesti storici e geografici che non possono non essere presi in considerazione. Soprattutto, l'arte è internazionale per vocazione. Relegarla ad una sola verità, una sola eccellenza assoluta, sarebbe troppo riduttivo.
Come sono strutturate le tue lezioni/stage e cosa ti gratifica maggiormente nel ruolo di docente?
Da quando ho assunto la direzione della compagnia ho sempre meno tempo a disposizione per dare workshops. Ad ogni modo cerco di impostare la prima parte della lezione sulla coscienza e il risveglio del proprio corpo con se stesso, la musica e lo spazio, e nella seconda parte svolgo attività di laboratorio coreografico.
Il lavoro di coreografo mette a confronto le tue idee con quelle del danzatore come gestisci questo aspetto?
In primis ho bisogno di circondarmi di danzatori sui quali posso fare affidamento. Questo avviene soprattutto con i danzatori della mia compagnia. Ogni creazione è un processo condiviso: l'idea iniziale evolve insieme ai miei danzatori. Per me resta comunque importante avere all'inizio di ogni processo creativo una sorta di linea drammaturgica da seguire. Non deve essere chiara in toto, devo però avere già una "sensazione" di quello che sto cercando e che deve essere ricercato. Soprattutto, ho bisogno durante le prove di essere aperto e attento. È in quei momenti che accadono cose decisive per la costruzione della pièce. Cose che non si possono sapere ancor prima di entrare in sala ballo.
Che rapporto nutri con i luoghi e gli spazi della danza, anche quelli non convenzionali?
Ottimo. Non ho preclusione di nessun genere. Penso che ogni luogo abbia in sé una dinamica che può essere utilizzata e messa in movimento insieme ai corpi dei danzatori.
Quali sono i maggiori insegnamenti ricevuti da Marika Besobrasova?
L'ascolto del proprio corpo, l'osservazione, la visualizzazione.
Mi racconti di "Arte&ballettO"?
"Arte&BallettO" è nata con l'esigenza di cercare a Barletta quello che ai miei tempi non c'era: una struttura che fosse in contatto con il mondo della danza e che portasse a Barletta danza, sia in forma spettacolare che educativa. Negli anni sono nate iniziative molto importanti, dal festival estivo di danza, al corso per giovani danzatori. Soprattutto, abbiamo dato la possibilità a molti ragazzi di trovare la loro strada avvicinandosi con più facilità rispetto alla mia esperienza a grandi scuole e docenti di danza. Negli ultimi anni il lavoro si è andato sempre più modellando come progetto di rete e squadra sul territorio coinvolgendo attori locali al fine sensibilizzare gli stessi ad uscire dai loro contesti per affacciarsi a qualcosa di più grande e certamente complesso, ma altrettanto affascinante come la collaborazione e il dialogo con professionisti internazionali. Spero poter riuscire a rendere questa struttura sempre più autonoma, ovvero poter farla camminare un giorno senza di me. Sarebbe il mio sogno più grande!
Com'è nata e con quali obiettivi la tua compagnia "Pneuma Dance Theater"?
La "Pneuma Dance Theater" è stato un passaggio assai importante per la mia carriera di coreografo. Dal 2007 al 2011 ha rappresentato il "cantiere" all'interno del quale ho creato lavori e soprattutto cominciato a trovare una fiscalità che ho poi potuto sviluppare qui ad Osnabrück con più coscienza. Sono stati anni intensi, che ho condiviso con danzatori provenienti da diverse esperienze coreutiche e con i quali ho avuto la possibilità di portare il mio lavoro in importanti contesti nazionali ed internazionali.
Mentre il "Giovane Balletto Mediterraneo"?
Il GBM è nato come conseguenza del corso FormAzione Tersicore. Pensavo fosse importante per i ragazzi più maturi poter fare esperienze di palcoscenico. Il gruppo ha avuto la possibilità di esibirsi in contesti nazionali in Puglia ma anche in Veneto, Umbria e Campania. Negli ultimi anni, visti anche i tagli alla Cultura e i miei numerosi impegni, l'esperienza è stata accantonata ma spero poterla ripristinare a breve affidandola anche a qualcuno in grado di poterla far crescere senza la mia presenza costante!
Barletta e Berlino, due città a te molto care, senza fare confronti o distinzioni mi dai una loro definizione (anche per chi non le conoscesse)?
Barletta: storica e dinamica anche nelle sue controversie. Berlino: immensa eppure intima. Cosmopolita.
Quale magia assoluta possiede il tuo "Sud"?
La magia del sole, del mare e del caos.
La tua celebre coreografia "Meninos" è entrata nel repertorio della "Staatlische Ballettschule" di Berlino. Mi racconti questa creazione?
La creazione mi è stata commissionata dalla compagnia "Introdans" all'interno di un programma per un pubblico giovane. Avevo in mente da molto tempo le musiche della "Carmen" di Bizet da utilizzare per fare un omaggio alla Spagna. Ho creato questo lavoro in una settimana. I danzatori di Introdans conoscevano già il mio senso dell'umorismo e mi hanno assecondato senza problemi. Ci siamo divertiti molto in sala. Porto con me dei bellissimi ricordi! La Scuola di Berlino mi ha chiesto poi di acquisirla per la loro compagnia junior. Ho esteso per loro il cast a quattordici danzatori dai dieci iniziali. "Meninos" fa parte di una serata che vede anche coreografie di Wayne McGregor e Marco Goecke.
Per te cosa significa "bellezza"?
Vibrazione.
La danza e l'arte del teatro cosa racchiudono in sé di così magico e al contempo imprescindibile?
L'ignoto, la riflessione, l'emozione, l'effimero.
Michele Olivieri