Alfredo Sabbatini è un fotografo di moda specializzato nel glamour. Già reporter e poi anche ritrattista ha sperimentato diversi generi di espressione artistica. Nasce a Milano da Ezio Leone Zocchi ed Eva Sabbatini, creatrice di moda degli anni Sessanta e Settanta. Passa la sua infanzia in un atelier di Alta Moda. Frequenta elementari e medie nella Scuola Linguistica Europa di Milano. Grazie al secondo compagno della madre, Giorgio Mistretta, giornalista, inviato speciale per il "Corriere della Sera" e fotografo, inizia un apprendistato nell'ambito della comunicazione diventando reporter. Negli anni giovanili fa l'assistente in diversi studi di professionisti tra i quali Silvano Maggi, Franco Sheichenbauer, Michel Roi, Monty Shadow. Nel 1971 compie il suo primo "coast to coast" sulle orme di Kerouac. A quel primo viaggio seguono diversi altri, negli Stati Uniti troverà la sua prima moglie da cui avrà due figli. Fotografia sportiva, baseball e football americano, circo e concerti (prevalentemente jazz) saranno i suoi primi soggetti. Negli anni Settanta fotografa il boom dei Jeans. Nel 1974 vende la sua prima copertina al settimanale "Oggi", un ritratto inedito di Grace Kelly con tutta la famiglia Reale e in seguito con i settimanali "L'Europeo", "Amica" e firma copertine, servizi di moda, reportage, ritratti. Nello stesso anno inizia a fotografare per "Playboy": questa esperienza lo stimolerà ad iniziare una ricerca sul corpo e le sue forme che lo porterà a diventare uno dei più quotati e innovativi fotografi di lingerie, underwear, costumi da bagno e abbigliamento sportivo di tutti gli anni Ottanta e Novanta. In quel periodo realizza diverse campagne pubblicitarie e fotografa personaggi dello sport come George Weah (copertina di "Max" 1996), Deborah Compagnoni (campagna adv Parah) e l'intera nazionale di Basket italiana (campagna adv L.A.Gear). Nel 1993 l'incontro con Gheorghe Iancu. Grazie a questo legame Sabbatini frequenta tutti i teatri d'Europa e del mondo. Conosce e fotografa étoile come Luciana Savignano, Carla Fracci, Monique Loudieres, Alessandro Molin, Paul Chalmer, Wayne McGregor, Letizia Giuliani e Roberto Bolle, e registi/coreografi come Amedeo Amodio, Giorgio Strehler e Pierluigi Pizzi. Entra in collaborazione con il Teatro alla Scala di Milano e con la Scuola di Ballo della Scala, diretta da Anna Maria Prina. Nel 1994 per "Intimo Roberta" rivoluziona la campagna pubblicitaria mostrando il volto della modella di intimo, per la prima volta dalla nascita del marchio. Nel nuovo millennio prosegue i suoi lavori con oggetto il mondo della danza, fotografa il lusso e il glamour, lavora anche come art director e curatore di mostre ed esposizioni. Da ultimo, parallelamente alla sua attività di fotografo di moda e ritrattista, si è dedicato all'insegnamento della fotografia in originali non_workshop. Nel 2004 collabora con il Teatro alla Scala di Milano per organizzare il "Gala des Ètoiles" dove presenzia come fotografo ufficiale e produttore di Gheorghe Iancu nella "Salomè". Nello stesso anno diventa Direttore Artistico di "Candle Studio" del compositore Fabrizio Campanelli. Con "Nikon Corporation Italia" collabora all'organizzazione delle edizioni 2011, 2012, 2013 del Photoshow. Mostre e libri raffinatissimi rappresentano il suo linguaggio. Nel suo TeatroMagico, si respira immediatamente l'arte e la creatività, la passione e la molteplicità delle esperienze multimediali di questo artista e professionista completo, unico nel suo genere.
Carissimo Alfredo, partiamo con i ricordi legati alla tua infanzia e con il primo approccio all'arte della fotografia?
Il frutto non cade mai lontano dall'albero che lo ha generato, o almeno così si dice. Sono stato allevato in un mondo dove la creatività era pane quotidiano, mia madre Eva Sabbatini, una straordinaria e geniale creatrice di Moda, designer, giornalista e infine editore. Il mio mondo era un Atelier di Alta Moda, un Luna Park di idee assolutamente innovative e in continua evoluzione. Erano gli anni della ricostruzione dopo la Guerra, erano gli anni di un nuovo inizio. Indossatrici, modelle, fotografi erano all'ordine del giorno e gli ospiti di mia madre erano in buona parte Artisti e personalità di ogni genere. Ognuno portava con sé il proprio mondo, le proprie visioni e la propria originalità. Nulla e nessuno di mediocre. Giorgio Mistretta (secondo marito di mia madre), giornalista e inviato speciale per varie testate, amava muoversi da solo nei suoi viaggi e di conseguenza divenne anche un ottimo fotografo, questo gli permise di raccontare sia con le parole che con le sue immagini tutto quel che andava a 'scoprire' in giro per il mondo, e me ne rese partecipe. Furono genitori anomali Ogni giorno era una scoperta, impossibile non essere ipnotizzati e affascinati. Non avevo bisogno di sognare, vivevo già all'interno di un sogno e così ancora oggi. Quando il compagno di mia madre si rese conto che trascorrevo più tempo a guardare le sue Hasselblad che non a giocare con gli amichetti, decise di regalarmi una Kodak Instamatic in plastica grigia a fuoco fisso che caricava un rullo da 120. Dovevo solo inquadrare e scattare. Cominciai conquistandomi il privilegio di poter seguire il mio Maestro in alcuni dei suoi viaggi di lavoro. Le prime due regole imposte: 'Le foto devono essere diritte e non si devono tagliare le gambe alle persone'. Avevo nove anni e mi sembrava una cosa semplice. Ma era davvero difficile inquadrare con l'orizzonte diritto e non tagliare le gambe alle persone camminando all'indietro... Tre anni dopo, per il mio compleanno, mi regalò una Leica M3 con un 50 mm f.1:4 e la terza regola: 'Le foto devono essere a fuoco'. Dopo un altro anno mi regalò un 135 mm. E cominciammo a parlare del perché le regole vanno osservate e del quando possono essere infrante... Ancora al Liceo, mi presentai al cospetto di mia madre, seduta al suo gigantesco tavolo pieno di 'lavoro', e con tutto il coraggio raccolto le dissi tutto d'un fiato: 'Voglio fare il fotografo.' Mi guardò a lungo negli occhi, poi prese l'agenda, la sfogliò con calma e fece una scelta. Si tolse l'orecchino, con due dita, portò la cornetta del telefono all'orecchio che aveva liberato anche dai capelli con un gesto da vera diva e compose il numero: 'Silvano, sono Eva, mio figlio dice di voler fare il tuo mestiere, va bene se te lo mando oggi così comincia dai pavimenti?' Era Silvano Maggi, ottimo Maestro. Cominciai a pulire i pavimenti prima di poter passare ore di paura in camera oscura a caricare rullini con rocchetti di ferro che si inceppavano di continuo... La gavetta durò anni con Maestri di diverse nazionalità e culture, e infine la prima foto pagata e pubblicata: la copertina di "Oggi" dedicata a Grace Kelly fotografata a Montecarlo durante il '1° festival Internazionale del Circo' (1974). E poi tutta una vita in viaggio.
Sei celebre anche per le tue fotografie in cui racconti i protagonisti del balletto. Qual è stata la molla che ha fatto scattare la passione e l'interesse per la danza?
Grande influenza ebbe subito mia madre, sempre colpa di Eva. Studiò danza classica per molti anni, nella sua infanzia ballò anche durante la Guerra. Mi portò spesso alla Scala e dopo poco mi resi conto che ogni nota sembrava prodotta da quel movimento e da quella espressione, e cominciai a studiare il linguaggio del corpo, ascoltare le note profonde e vedere tutte le micro-espressioni del viso e delle mani. Quale meraviglioso linguaggio. Anni e anni di esercizio tra artisti di circo, musicisti, pittori, scultori, attori, registi, atleti americani... per farla breve, nel lungo viaggio nella fotografia di moda, dovendo avere come interpreti delle modelle, il mio problema era uscire il più possibile dagli stereotipi. Al di là delle professioniste davvero talented, cercavo anche dei soggetti che andassero oltre il modelling attitude. Quando all'inizio degli anni Ottanta iniziai una decennale collaborazione con Freddy La Danza e mi occupai di tutta l'immagine, mi resi conto di aver bisogno di più che brave modelle, dovevano essere bravissime. Quale Creatura Straordinaria sa tradurre con un solo gesto qualunque parola o frase complessa che sia, oltre al mimo? La Ballerina. E finalmente trovai i miei strumenti ideali. Da Freddy al M° Walter Venditti il quale mi accolse nella sua Accademia per sei mesi che passai seduto in un angolo solo a osservare tutti i movimenti e i suoni prodotti da quell'ingranaggio affascinante. Realizzai così il mio primo libro e il M° Venditti scrisse quella memorabile introduzione che fu probabilmente la molla che mi scagliò dieci anni dopo in_contro a Gheorghe Iancu, e da allora la danza ha riempito la mia vita di Creature Straordinarie.
Da quando hai iniziato, com'è cambiato il mondo della fotografia? Che evoluzione positiva ma anche negativa hai riscontrato?
Da quando la tecnologia ha accelerato in maniera esponenziale le sue prestazioni tutti i "mondi" sono stati stravolti e sono ormai in costante e continua ri_evoluzione. Sempre di più le A.I. pensano per noi, in parte facilitano la vita e hanno una indubbia utilità. Ma gli effetti collaterali ormai sono più che evidenti. Molti cervelli si stanno atrofizzando. Ora tutto è possibile per tutti, o meglio gli viene fatto credere che lo sia. La globalizzazione vuole che tutti abbiano accesso a tutto, ma questo è solo un miraggio. In realtà si è pilotati, indirizzati dove il meccanismo decide. Ora sono tutti fotografi di fatto, anche se in realtà le foto le realizza il robot che ha sostituito la macchina fotografica. Il narcisismo compulsivo sfociato ed esploso con il fenomeno dei selfie, con l'ausilio dei social ha frammentato il mondo in milioni di condomini nei quali tutti possono essere Miss o Mister qualcosa, Vincitori di concorsi qualunque che siano di fotografia, di danza, di musica, di cinema o di lancio degli stuzzicadenti. Tutti di nuovo alla ricerca della pietra filosofale per essere immortali. La Visibilità a tutti i costi che si può trasformare in fama e denaro. Il tutto assommato all'ignoranza sempre più diffusa produce tutti i giorni cose tutte uguali. Miliardi di immagini, canzoni, coreografie, quadri e film tutti identici, tutti i giorni inondano gli schermi di qualunque dimensione e nascondono spesso gli sforzi di chi lavora e vive, forte di una preparazione che è costata tutta una vita, sforzandosi di migliorare sempre la propria personalissima capacità espressiva senza pensare solo alle leggi di mercato che vogliono solamente "usa e getta" o progetti replicabili all'infinito come i sequel dello Squalo... Per un nativo analogico come me l'evoluzione tecnologica nella fotografia è stata senza dubbio positiva. Fino a poco tempo fa i vari progressi hanno permesso di alzare l'asticella dei limiti anche soggettivi, parlo di autofocus per esempio. La mia vista cala e la macchina compensa, ma continuerà a mettere a fuoco quel che voglio io. In sintesi il problema non sta nella tecnologia ma nel modo in cui viene usata, quando non c'è più un cervello, un cuore e un intestino che dirigano, la musica cambia. O no?
Gli scatti tersicorei ti hanno portato ad immortalare celebri personaggi, usi qualche tecnica particolare per la danza da quella abituale?
Esistono due "tecniche" fondamentali. La prima è per la fotografia istituzionale, dove le regole sono precise e essenziali. L'atto o il gesto fotografato devono essere precisi e perfetti, e per questo occorre conoscere perfettamente le linee guida di questa arte ricca di sfumature spesso millimetriche ma decisive. La seconda è per la fotografia di racconto. Quella in cui si deve saper entrare in empatia con i soggetti danzanti, per riuscire, secondo la propria visione e sensibilità, a soffermarsi sulla tensione, sulla fatica e la passione. Cercare i dettagli, vedere forme che si formano per attimi e poi svaniscono... In analogico due tecniche diverse per ottenere diversi risultati avendo limiti tecnologici, in digitale i limiti si stanno azzerando e disponendo le macchine di sensibilità di ripresa estreme, il risultato è direttamente proporzionale alla sensibilità di chi fotografa, e tra chi ha studiato di più. Non c'è nessuna differenza tra fotografare per una campagna e un ritratto, ma solo se si sa capire che ogni volta è un'occasione da non perdere.
Si è sempre parlato del celebre attimo fuggente, come si può immortalare? O è solo fortuna?
La fortuna non esiste! Esiste il caso che permette ad alcuni di essere pronti al momento giusto nel posto giusto. Ma senza osservazione e concentrazione, si possono scattare alcune immagini talvolta straordinarie. Ma è come mettere una scimmia davanti a una macchina per scrivere, prima o poi una parola compiuta la scriverà. Per il resto è la capacità di guardare e riguardare e memorizzare per premere l'otturatore un attimo prima che qualunque gesto arrivi al suo topico.
A tuo avviso, per tutti i giovani che desiderano accostarsi a quest'arte, come si vive di fotografia nel nostro Paese?
Al momento non si può più vivere di fotografia, a parte alcune realtà adeguatesi e inserite nel sistema produttivo a catena. Come ho detto ora sono tutti fotografi e quindi l'offerta è spropositata rispetto alla domanda che può stabilire il prezzo al ribasso o avere prestazioni gratuite in cambio di spiccioli di visibilità. In America è un'altra cosa perché esiste ancora una cultura della Fotografia. In Italia la mia commercialista si è messa a fare la fotografa nel tempo libero. Io non posso fare il commercialista a tempo libero.
Quali sono i fotografi che ti hanno maggiormente ispirato nel tuo percorso?
Man Ray in primis e poi tanti ma tanti, bravi, bravissimi, geniali e originali. Un nome su tutti: Guy Bourdin. Nelle sue immagini ho trovato sollievo per le mie visioni.
Hai avuto la fortuna di collaborare con realtà internazionali, esistono differenze tra la fotografia italiana e quella straniera nella metodologia piuttosto che nell'approccio?
Dagli anni Settanta fino alla fine degli anni Novanta ho girato mezzo mondo e ho passato una vita negli Stati Uniti. Ovunque andassi ho potuto e dovuto confrontarmi con culture, metodi, finalità e mezzi diversi. Da molto tempo la globalizzazione ha dato vita a format generalisti sia a livello alto che a quello più popolare. Fondamentalmente bisogna conoscere l'inglese.
Com'è avvenuto l'incontro con Gheorghe Iancu, diciamo colui che ti ha ispirato ed introdotto nell'ambiente coreutico?
L'incontro con Gheorghe Iancu è stato l'inizio di uno dei capitoli più importanti del mio viaggio. Era il 1993. Il luogo dell'incontro l'isola di Kudarah alle Maldive. Il Maestro era in vacanza, io sbarcai sull'isola con al seguito il circo di ogni produzione fashion. Per due settimane ci siamo guardati con curiosità. Una volta accertata l'identità di quella strana Creatura, mi imposi di accelerare al massimo la mia routine per avere un paio di giorni liberi. L'obiettivo era di presentarmi e chiedere la sua disponibilità per uno shooting. Parlammo a lungo. Accettò. Così andò e una mattina all'alba ci ritrovammo su un'isola deserta. Iancu si allontanò e cominciò il riscaldamento. Io lo osservavo mentre caricavo le macchine fotografiche. Ero terrorizzato. Un'ansia infinita mi avvolse. Mi rendevo conto di essere davanti a qualcuno di realmente eccezionale. E non volevo deluderlo. Mi sentivo come un moscerino davanti a un leone. Il tempo passava, mi fece un cenno, era pronto. Mi avvicinai nascondendomi dietro la macchina. Avevo paura. Arrivato alla sua distanza mi chiese: "Cosa vuoi che faccia?", abbassai la macchina e risposi: "Voglio solo te, null'altro". Si mosse come un felino e io mi feci trascinare dalla sua bellezza e dalle sue forme. Mai più ho visto un corpo come il suo, mai più. Tre settimane dopo mi invitò ad una prima a Firenze. Dopo lo spettacolo, seduti al ristorante, liberò la tavola e mi chiese di mostrargli le mie fotografie. Gli consegnai la scatola che conteneva trenta stampe 30x40. Non respiravo, aprì la scatola e con gesti elegantissimi passò le foto una ad una, arrivato alla fine le riguardò ancora tutte e poi le sparpagliò sulla tavola. Si alzò e con un sorriso indimenticabile mi disse: "Maestro, grazie sono le più belle foto che ho mai avuto". La sera, da solo ho pianto per l'emozione. Per tredici anni abbiamo girato per il mondo, io lo seguivo in tutti i teatri e lui programmava le vacanze per seguirmi nei miei numerosi viaggi di lavoro, e sempre e ovunque abbiamo realizzato immagini davvero uniche. È stato per me il migliore Maestro possibile. Da lui ho imparato tantissimo, in particolare come chiedere ad altri di realizzare il mio immaginario. Da fotografo a coreografo e poi regista. Grazie per sempre Maestro.
Nel mondo della danza hai realizzato le tue visioni fantastiche scegliendo preferibilmente il bianco e nero. Perché?
Sono nato in bianco e nero. Il mio imprinting è stato in bianco e nero. Televisione, cinema, fotografia mi hanno stimolato in bianco e nero. La lettura è ancora in bianco e nero. Dall'altra parte ho assaporato il colore nella fase iniziale nell'Atelier di mia madre. Tessuti, pizzi, sete lucenti o morbidi velluti. Tutti i colori del mondo che cominciavano ad abbinarsi nei figurini di Eva e poi opere solide piene di creatività e di gusto cromatico. Con tutte quelle sfumature io poi coloravo i film in bianco e nero e le fotografie lasciavano che potessi immaginare qualunque cosa. Perché abbinare i colori è cosa difficile e ha bisogno di gusto e di talento. La natura è imbattibile in questo. Quando Cartier Bresson inquadrava una qualsiasi scena sembrava quel che oggi si può vedere solo in Teatro. Abbigliamento, carrozze e cavalli, automobili, biciclette, insegne, palazzi, tutto era armonico. In qualunque scenario c'era uno stile inconfondibile. Nessuna discrasia cromatica. Nessuna pubblicità visibile o occulta. Nessuna bottiglia di plastica azzurra. Nessuna corrente continua di uomini, donne e bambini che, pensando di essere di tendenza, mostrano orgogliosi tutti i loro Brand a caratteri cubitali pagando cifre assurde per essere usati in realtà come uomini-sandwich. In ogni caso il bianco e nero mi permette di essere concentrato solo su ciò che mi interessa. Le forme, le linee, le curve, le profondità, i chiaro scuri e le espressioni. Il colore se non asseconda le mie turbe cromatiche mi infastidisce, mi distrae. Il bianco e nero stimola maggiormente l'immaginazione, toglie, nel caso del nudo tutta la pesantezza dell'essere carne viva. E con il bianco e nero spero sempre che altri guardando le mie immagini le possano colorare con la loro fantasia e gusto personale.
Il grande Maestro Walter Venditti, già primo ballerino della Scala ha descritto così il tuo lavoro: "Le sue immagini parlano, fanno pensare, sprigionano amore e azione oltre a suscitare attrazione visiva." Ti ritrovi in queste parole?
Non quando le scrisse. La realtà è che ho nella mente talmente tanti capolavori di grandi Maestri che non posso, non riesco ancora a credere di aver fatto qualcosa di vicino ai valori che ho conosciuto. Ma mi commossi e tanto.
Come si diceva poco sopra, sei figlio d'arte, tua madre Eva è stata una innovativa creatrice di moda. Quanto ha influenzato la tua formazione e successivamente il tuo lavoro?
Mia madre è stata la prima Creatura Straordinaria incontrata nella mia vita. Ha alimentato la mia fantasia e la mia disciplina meglio di un team di personal coaches. Mi ha fatto apprezzare la fatica e il valore del premio morale. Se si ha passione e amore per quello che si fa, non si può pensare solo ai possibili riconoscimenti esterni. Il primo giudice devi essere tu, senza pregiudizi, con onestà e consapevolezza. E mi ha insegnato come trovare la forza di non smettere mai di cercare ovunque per seguire le mie visioni. Non seguire mai la tendenza, sarai sempre in ritardo. Cerca la tua strada e vedrai, altri ti seguiranno. Abbiamo collaborato tantissimo nel lavoro. Progetti e cose realizzate insieme tante. Fino all'ultimo giorno.
Per te cos'è la Moda?
Da una parte è stata e sarà ancora un laboratorio di artigiani in perenne evoluzione che sono espressione di cultura, creatività, passione e quindi Arte. Dall'altra uno dei tanti giochini perversi del consumismo e quindi "Manipolazione Ossessiva dell'Autogratificazione di Massa".
So che ami Kerouac, cosa ritrovi in lui di così speciale?
< Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati.
< E dove andiamo?
< Non lo so, ma dobbiamo andare.
Questo è in sintesi, a conti fatti, la mia nota prevalente. Nel 1971, diciassettenne, ho fatto il mio primo coast to coast negli USA percorrendo tutta la route 66 con il suo libro in mano. Avevo solo diciassette anni ma quel libro e quel viaggio mi fecero capire subito che la cosa importante è il viaggio in sé, conta più la compagnia che la destinazione. Più avanti ho incontrato Jodorowsky, ma questa è un'altra storia.
In termini emotivi cosa rappresenta l'arte della fotografia?
L'Arte in assoluto è la difesa ad oltranza del proprio linguaggio originale. Flesh & blood. Il resto è poca cosa.
Cosa ti piace fotografare, in particolare, oggi?
L'Oggi. Domani non so, tutto si muove così velocemente. Ho trovato nel Ri_Tratto la chiusura del cerchio. Credo sia tra le cose più difficili da fare. Molti scambiano il ritratto come una perfetta foto tessera che rispecchi quel che il soggetto pretende di rappresentare per gli altri o vorrebbe lo fosse. Altri stravolgono i volti senza una vera motivazione se non quella di fare qualcosa di diverso. Altri ancora copiano solamente i grandi maestri. Il Ri_Tratto è una sfida, entrare in empatia profonda con i soggetti, conquistarne la fiducia assoluta e renderli consapevoli che come si vedono loro si vedono solo loro. Tutti gli altri vedono da angoli diversi, diverse altezze, diversi gusti e diverse culture. E poi scoprire insieme quell'infinita varietà di espressioni che ogni volto produce reagendo alle proprie sensazioni e emotività. La seduta di ritratto è diventata la parte fondamentale del mio TeatroMagico...
Attualmente si usa molto il foto ritocco, cosa ne pensi a riguardo?
Quando mi stampavo le foto in camera oscura, al 90% era, e ancora è, già il definitivo, il rimanente tempo per le sfumature. Uso pochissimo il foto ritocco, sarei un pessimo chirurgo plastico. In generale mi disturba l'attitude diffusa di non soffermarsi troppo sui dettagli, pensando sempre alla post-produzione. In ogni caso la post-produzione va di pari passo all'uso di botulino. E all'alta definizione passando per l'effetto Madonna di Fatima di certe conduttrici televisive.
Nel tempo libero ti diletti comunque con la fotografia o è solo una professione?
È semplicemente la mia scrittura, il mio mezzo per dire cose, raccontarne altre e sintetizzare al massimo il mio pensiero. È stata l'occasione di vivere lavorando facendo per lo più tutto ciò che mi affascina. Ma non sono un fotografo compulsivo. Non porto con me sempre una macchina fotografica, mi cambia l'attitude. Ho bisogno costantemente anche di arricchirmi solo come spettatore.
Quanto è importante la "luce" ma soprattutto quali sono le tue condizioni ottimali per lavorare?
La luce. È la Madre di tutte le fotografie. Saper leggere la luce, dosarla, indirizzarla fino a dominarla è Arte nell'Arte. Dopo anni trascorsi a usare luci artificiali, flash elettronici sempre più evoluti negli studi di produzione e a risolvere problemi impossibili in esterno quando le variabili sono costanti, ora, grazie al digitale, prediligo la luce naturale. La condizionale ottimale spesso è una chimera, perché si vorrebbe sempre far di più...
Che tipo di interventi fai di solito (se ne fai) sulle immagini scattate?
Pochissimi. Solo un lavoro discreto di pulizia e sulla profondità dei chiaro-scuri.
Qual è la tua fotocamera e obiettivo preferito? Cosa usi abitualmente?
Uso e ho usato qualunque macchina, dal piccolo formato al banco ottico. Ognuna ha la sua personalità e caratteristiche. È stato un po' come scegliere pennelli diversi per avere effetti diversi. Ma dalla Nikon F in poi, come piccolo formato, ho percorso tutta la sua evoluzione fino alla Nikon D4 con un 24-70 f 2:8 che è oltre quel quarant'anni fa potessi solo immaginare. Ho tenuto come taccuino un I-phone 4s.
Si usa ancora la pellicola o tutto è diventato unicamente digitale?
La pellicola resiste non solo per i nostalgici o i più raffinati, resiste perché il rito e il mito restano affascinanti, ma il digitale è l'inevitabile sostituto. Con la parola Vintage si tengono in vita o si resuscitano cose che in un attimo sono passate da passato prossimo a passato remoto.
Dall'album dei ricordi... Se ti dico Scuola di Ballo del Teatro alla Scala, cosa ricordi all'istante?
Anna Maria Prina, la mitica Direttrice, e la soddisfazione di aver prima meritato la sua fiducia, stima e poi, ancora più preziosa, la sua amicizia. E il privilegio di poter lavorare e creare in quello straordinario contesto.
Mentre se ti nomino la splendida Principessa Grace di Monaco?
Era il quarto giorno che stavo sotto il gigantesco tendone approntato per il "1° Festival Internazionale del Circo" voluto dal Principe Ranieri a Montecarlo. Tre giorni fantastici a fotografare le prove, in attesa di quella sera, la sera della prima. Ero pronto per tutto quel che sarebbe accaduto nelle piste. Televisioni e fotografi da tutto il mondo in attesa di celebrare i più grandi artisti, arrivati da ogni angolo della terra. Dopo la prima serie di welcome e presentazioni, venne chiesto a tutti di alzarsi e fece l'ingresso tutta la famiglia Reale. Uno più bello dell'altro, ma l'aura che circondava la Principessa Grace era ineguagliabile. Brillava di luce propria. Tutti accennarono un inchino e poi si voltarono verso i suoni che davano inizio allo spettacolo. Figlio professionale di un grande giornalista e inviato speciale, un lavoro simile al detective e al profiler, abituato a leggere cinque quotidiani al giorno, oltre a riviste e libri da ogni dove, ero diventato simile a lui. Leggevo voracemente tutto quel che lui lasciava sulla sua scrivania. Una cosa cominciò a venirmi in mente sempre più presente. L'ultima copertina di un settimanale recitava nel titolo grande: "Dov'è la Principessa Grace? Da ormai tre settimane sembra sparita". E poi commenti sul suo presunto stato di salute. Allora girai l'obiettivo e inquadrai il palco reale, attesi fino a quando grazie al numero di Charlie Rivel (unico americano nell'olimpo dei più grandi clown della storia), per una manciata di attimi tutta la Famiglia scoppiò in una risata davvero fragorosa. Clic. Due giorni dopo consegnai la diapositiva al mio Maestro, lui la consegnò al suo agente che aprì un'asta tra "Oggi" e "Gente" per l'esclusiva. Fu la mia prima copertina, pagata e firmata su "Oggi". Svelato il mistero su Grace Kelly, era viva e se la rideva con tutta la famiglia. One shot, one opportunity.
Per te l'arte della danza, al di là della fotografia, che significato nutre?
Nutre costantemente e stimola la mia creatività e fantasia. È alimento necessario per imparare a controllare e dirigere i nostri impulsi. È tutto nel gesto.
Un consiglio per tutti coloro che desiderano accostarsi alla fotografia legata al mondo tersicoreo?
Prima di fotografare la danza, dovete conoscere la danza. Cercate un Maestro che sia così stupito dalla vostra passione da dargli un buon motivo per usare il suo tempo, sempre più prezioso, ad insegnarvi qualcosa. Leggete, guardate e osservate da piani diversi tutto quel che potete. Nulla succede a caso, tutto ha una spiegazione. Ogni singolo gesto è un tassello di un domino senza soluzione di continuità. Studiare e ascoltare tanto per imparare a come muoversi senza mai imballare la vista a qualcuno. Esistono regole non scritte in ogni mondo parallelo, uno di questi è il Teatro. Bisogna anche saper essere accettati per essere portati nelle porzioni più interessanti. A questo punto dovete studiare seriamente come usare una macchina digitale per provare a dimostrare in fotografia se avete capito qualcosa di quel che state vivendo.
A distanza di anni, a chi indirizzi un "grazie" per la tua importante carriera artistica?
Questa domanda la lascio per ultima.
Un tuo pensiero sul mondo della danza visto dall'interno attraverso l'obiettivo?
Creature Straordinarie tutte intorno.
Che rapporto cerchi di instaurare con i protagonisti dei tuoi ritratti?
Quello dell'istruttore di lancio con il paracadute per chi non l'ha mai fatto. Dopo un lungo colloquio saltiamo abbracciati insieme da 10.000 metri e alla fine si ride e si sorride.
Qual è l'aspetto primario che cerchi di indagare mediante i tuoi scatti?
La ricerca della bellezza e di renderla solida attraverso il mio personale punto di vista. In ogni inquadratura, che sia una star o una forchetta.
Cosa provi nel rivedere pubblicate le tue fotografie?
Riconoscenza.
L'istinto quanto conta nel tuo lavoro?
Nel mio caso tantissimo. Ora però lavoro con una quantità di informazioni tale da renderlo un poco più razionale.
Cosa fai quando non scatti foto? Quali altre passioni coltivi?
Quando non prendo in mano una camera è perché coltivo la mia più grande passione sempre, la vita. E so che quando si arriva in cima a qualunque vetta bisogna scendere. E andare. Non so mai dove andrò ma succede sempre qualcosa di nuovo che mi accompagnerà nel nuovo viaggio. Si ricomincia sempre. E trovare il modo di alimentarmi continuamente per essere sempre utile è un grande sforzo che premia però con l'amore.
Quali sono i tuoi progetti futuri? Hai ancora un sogno nel cassetto da realizzare?
Trovare il luogo che mi dia l'energia per poter scrivere il racconto di tutto quel che non si vede nelle mie immagini. Forse l'ho trovato. È stata e ancora sarà dura ma per tutta la vita ho pagato per la libertà il prezzo più alto. Ma ne valeva la pena!
Quanto nei tuoi progetti professionali entra in gioco la letteratura e il teatro come forma di espressione e perché no di ispirazione?
Quando in casa tua sono ospiti e amici a cena Creature come Giorgio Gaber o Dario Fo, solo per citarne due e vivi in un Atelier di Alta Moda con corridoi con centinaia e centinaia di libri, credo che l'ispirazione non potrà mai esaurirsi.
Qual è la parte più divertente del tuo mestiere?
Prendere in giro gli imbecilli, senza offenderli.
Pensi che sia possibile sintetizzare una intera storia in una sola immagine?
Sì, il volto di una creatura l'attimo prima di morire.
Da dove deriva la tua impostazione teatrale?
Ho frequentato una fantastica classe di mimo con Dario Fo e in seguito la presenza assidua al Derby di Milano nel periodo d'oro (da Teocoli a Cochi e Renato). Conoscere e frequentare I Gufi (Nanni Svampa, Lino Patruno, Roberto Brivio e Gianni Magni) è stato poi decisivo per provare il brivido di salire sul Palcoscenico. Quando si divisero e Roberto Brivio aprì il suo cabaret, Il Refettorio, in una traversa di via Torino a Milano mi offrì il teatrino a disposizione tutti i sabato pomeriggio, ma questa è un'altra storia...
Racconta ai nostri lettori cos'è il Teatro Magico?
Il TeatroMagico non è un luogo, non è uno spazio. Sta nel mio cervello. E la Magia è intesa come luogo dell'immaginazione e creazione ed è il suo spirito che mi indica la strada. Un percorso in libera associazione di idee, un laboratorio in corso d'opera permanente. Dopo aver visto e rivisto "La montagna sacra" di Alejandro Jodorowsky mi appassionai al suo linguaggio, alle sue visioni. Seguendolo imparai, con tanto esercizio e nel tempo, a dare ai soggetti dei miei Ri_Tratti i "mezzi" per abbattere le barriere psichiche, per superare l'insicurezza e la paura presenti in ognuno di noi. Scardinare i condizionamenti sociali o familiari. Altro chiodo che mi penetrò profondamente fu la lettura del libro di Hermann Hesse "Il lupo della steppa", dove a un certo punto si trova un'insegna luminosa che recita "Teatromagico, Solo per Creature Straordinarie, l'ingresso costa La Ragione". Le Creature Straordinarie sono i Matti, e quando qualcuno mi chiede con tono di sfida se per entrare bisogna essere intelligenti, rispondo che semplicemente la Ragione va lasciata fuori per poter aprire il cervello a cose mai viste...
La Maison Sabbatini di cosa si occupa principalmente e qual è il suo biglietto da visita?
È e sempre sarà un Atelier che dall'Alta Moda è passata all'immagine, alla comunicazione, alla fotografia, al video, alla ideazione e creazione di mostre ed eventi singolari. Sempre e solo su misura. Solo per Creature Straordinarie...
Come sono strutturati i tuoi workshop?
"Non_Workshop", "Unconventional", "Ricomincio da me", "La mia verità", questi alcuni dei titoli dati per far capire che mi allontanavo dagli stereotipi con pseudo-modella in mutande come soggetto. Più che la tecnica, io non sono un fotografo tecnico, cerco di aprire la mente a nuovi e diversi punti di vista, girare intorno, cercare nuovi spunti, nuove angolazioni. Provo a spiegare che la fotografia è scrittura e prima di usare acronimi bisogna conoscere la sintassi...
Un aggettivo per descrivere alcuni protagonisti della danza da te fotografati? Luciana Savignano?
Magica.
Carla Fracci?
Esemplare.
Monique Loudieres?
Francese.
Alessandro Molin?
Multiforme.
Paul Chalmer?
Elegante.
Roberto Bolle?
Robotico.
Amedeo Amodio?
Eclettico.
Anna Maria Prina?
Regale.
Loreta Alexandrescu?
Affascinante.
Ho tralasciato qualcuno che vuoi citare in particolare del mondo della danza?
In particolare Sylvie Guillem, straordinaria. Letizia Giuliani, sangue ribollente. E Wayne Mc Gregor, ispiratore, con il quale trascorsi giorni e esperienze indimenticabili a Sorrento insieme con Gheorghe Iancu.
Un tuo ricordo personale legato al grande Giorgio Strehler?
Le prove in sala del balletto originale di Gheorghe Iancu per "La gabbianella e il gatto che le insegnò a volare" di Luis Sepulveda. Era un pomeriggio del 1997 e in sala erano presenti Oriella Dorella, il Corpo di ballo della Scuola della Scala, Iancu, Sepulveda. E Giorgio Strehler. La sua presenza era ovunque. Era la prima volta che strinsi la mano al Maestro, e gli potei parlare. Non c'era nessun altro, ma è stata una delle sale più piene della mia vita. Non potevo perdere un solo gesto, una sola parola di quelle Creature. Per questo quel giorno non presi mai in mano la macchina fotografica.
Milano cosa rappresenta nel tuo immaginario e quanto è cambiato il suo volto, in meglio o peggio?
Ho conosciuto e vissuto una Milano, che pur nella sua provincialità, era una fucina di arti e mestieri. Negli anni Sessanta culla di cultura e innovazione, di qualità espresse e modello per la mia generazione. Ora è una dépendance di Farinetti.
Per concludere mi piacerebbe ricordare la tua collaborazione con il Teatro alla Scala nell'organizzazione del "Gala des Ètoiles". Cosa conserva di magico al suo interno il tempio dell'arte milanese a differenza di tanti altri luoghi e spazi d'arte?
30 e 31 dicembre 2004. In occasione della riapertura dopo i lavori di restauro. Quando Gheorghe Iancu mi telefonò e mi chiese di collaborare alla realizzazione di una coreografia originale per il "Gala des Etoiles" mi resi conto che era un'occasione unica. Da Sylvie Guillem a Roberto Bolle, tutti presentarono il cavallo di battaglia. Con Iancu si lavorò a un progetto nuovo e nacque così "Salomè", con Luciana Savignano e il Corpo di Ballo della Scuola. E così anche gli allievi ebbero la loro occasione. La Magia che emana il Teatro alla Scala non svanirà mai, alla faccia di quelli che ci vanno in blue jeans e t-shirt.
P.S. Sto cercando di mettere in ordine alfabetico tutte le Creature Straordinarie incontrate durante il mio viaggio, mi ci vorrà tanto tempo. Ognuna di loro merita il mio grazie più sincero con la consapevolezza di essere stato davvero concentrato nel vivere gli attimi fuggenti e irripetibili. Grazie davvero di cuore a tutti e in particolare alla mia cucciola Evaluna che crede che il suo papà sia speciale, e grazie a te Michele per la stima e l'attenzione che hai voluto dedicarmi.
Michele Olivieri