Gaia Straccamore a nove anni entra a far parte della scuola del Teatro dell'Opera di Roma diretta da Elisabetta Terabust, e qui si diploma all'età di 17 anni con il massimo dei voti. Grazie ad una borsa di studio si perfeziona nella prestigiosa Accademia "Princesse Grace" di Montecarlo, sotto la guida di Madame Marika Besobrasova. Ancora giovanissima, all'età di dodici anni, è scelta da Paolo Bortoluzzi per il ruolo dell'Apparizione nel suo Principe felice, a soli quindici anni Vladimir Vassiliev le affida il ruolo di prima ballerina ne "Le Sylphides" di Fokine e a sedici anni l'allora direttore del corpo di ballo del Teatro dell'Opera di Roma, Giuseppe Carbone, le affida il ruolo di prima ballerina nel suo "Cronache Italiane". Dal 1996 è al Teatro dell'Opera di Roma dove su proposta di Carla Fracci viene nominata "Prima Ballerina" nell'ottobre del 2006. Oggi il suo repertorio include: Egina in Spartacus (Y. Grigorovich), la principessa Aurora e la Fata dei Lillà ne La bella Addormentata (Chalmer - Petipa), La Sylphide (N. Kehlet - C. Fracci - Bournonville - Gielgud), Napoli (Bournonville), Infiorata a Genzano (Bournonville), Giulietta in Romeo e Giulietta (John Cranko, Bruhn, Nureyev-Gai, P. Bart), Odette-Odile ne "Il lago dei cigni" (G. Samsova - Petipa), Giselle e Myrta in "Giselle" (Perrot-Coralli/C. Fracci-P. Bart. P. Ruanne), Gulnara in "Le Corsaire" (Khomyakhov-Petipa), "Clara" ne Lo Schiaccianoci, Swanilda in "Coppelia", Kitri nel "Don Chisciotte", "Pas de quatre" (Madame Taglioni) (Perrot), Zobeide in Sheherazade (Fokine), l'Uccello di fuoco (Fokine), l'Eletta ne La sagra della primavera (Nijinskij), "La gitana" (Chalmer - Taglioni), La Chatte, Le Bal, Calliope in Apollon Musagete, Who cares? (George Balanchine), Pimpinella in Pulcinella (Massine), Tao Hoa in Papavero Rosso, Carmen nella "Carmen" e la "Rose Malade" (Roland Petit), "In the night" (J. Robbins), "Les amantes" in "Gaitè Parissienne" (M. Béjart), La coppia in bianco in "Diversion of Angel" (M. Graham), "Twin Cities" in "The River" (A. Ailey). Viene scelta per il ruolo principale a fianco di Vladimir Vassiliev in "Lungo viaggio nella notte di Natale" una creazione di Paul Chalmer, e di particolare interesse artistico è la sua esibizione proprio al fianco di Carla Fracci in "Gerusalemme", coreografia di Luc Bouy e regia di Beppe Menegatti, nel quale ha destato nel pubblico un vero entusiasmo. È una dei protagonisti al Teatro Bol'soj di Mosca, dove ha ballato il ruolo dell'Eletta in "Sagra della Primavera", e "Zobeide" in Sheherazade. Sempre a Mosca danza, nel Palazzo del Cremlino, il ruolo di Zobeide in Sheherazade, e i due ruoli principali ne L'uccello di Fuoco. Per lei sono stati creati diversi balletti, tra i quali: Beatrice Cenci in "Cronache Italiane" (G. Carbone), "I Vespri Siciliani" (H. Spoerli, M. Van Hoecke), Turandot, principessa chinese (L. Veggetti - B. Menegatti), La Vestale (P. Chalmer - B. Menegatti), Titania in "Sogno di una notte di mezza estate" (P. Chalmer - B. Menegatti), il ruolo di Elena nel Faust di Goethe (L. Cannito - B. Menegatti), "La Sonnambula" (L. Cannito),"Girotondo Romano" (L. Cannito), "Caterina, la figlia del bandito" (F. Franzutti - B. Menegatti), "Baccus e Arianne" (F. Franzutti), la Principessa Verde nel Peer Gynt (coreografia di R. Zanella), il ruolo della Tikvah in "Ghetto" (M. Piazza), il ruolo di Santa Chiara in Nobilissima Visione di M. Van Hoecke, "I Masnadieri" un tributo coreografato da Micha Van Hoecke per Gaia e Denis Ganio. Nel 1993 riceve il primo premio al Concorso internazionale Danza Città di Rieti. Nel 1995 riceve il riconoscimento UNICEF per la danza. Nel 2002 riceve il Premio "Danza & Danza". Nel 2003 riceve il Premio Positano "Leonide Massine". Nel 2005 riceve il premio "Volere Volare" per la danza. Nel 2005 riceve il riconoscimento della Croce Rossa Italiana per la danza. Sempre nel 2005 è invitata al prestigioso Festival di Spoleto di Francis Menotti. Nel 2007 riceve il premio "David di Michelangelo" per il talento artistico. Nel 2008 riceve il premio "Anita Bucchi" per la danza. Nel 2009 viene invitata all'International Ballet Festival di Miami. Nel 2011 è una delle rappresentanti italiane del Gala Italia-Russia. Nel 2012 è protagonista al Festival di Ravenna sotto la direzione del Maestro Riccardo Muti con "Nobilissima Visione", una creazione di Micha Van Hoecke. Nel 2013 è protagonista al 62° Festival Internacional de Musica y Danza de Granada con "La Sylphide". Nel 2014 viene nominata "Etoile" dal direttore del Teatro dell'Opera di Roma M. Van Hoecke dopo la rappresentazione "Notes de la Nuit". Nel 2016 è madrina ufficiale di "In punta di donna", iniziativa artistica culturale in favore della donna, contro ogni forma di violenza organizzata dall'Associazione a promozione sociale Roma Restyle. Dal 2017 è testimonial dell'associazione Ba.Bi.S. onlus dell'ospedale Bambino Gesù di Roma. Dal 2017 è assistente alla Direzione e docente di tecnica accademica e di repertorio classico presso la Scuola di danza del Teatro dell'Opera di Roma.
Carissima Gaia, come hai scoperto l'amore per la danza e il balletto?
In realtà è una passione che mi è stata tramandata dalla mia famiglia, mia madre, Liliana Polidoro, è un'insegnante di danza classica. Nella nostra famiglia si è sempre respirata un'aria artistica, è sempre stato vivo l'interesse per il teatro e per la musica in particolar modo. Mia madre, da buona napoletana, ci ha insegnato anche a conoscere la tradizione del teatro napoletano, con i suoi protagonisti più rappresentativi e con le commedie più emblematiche. Solo ora mi rendo conto della fortuna che ho avuto nel poter assaporare fin da giovane il fascino del Teatro. Per la danza, è stato un discorso diverso, siamo tre sorelle, e tutte noi abbiamo avuto la possibilità di entrare in una sala ballo e di metterci davanti ad una sbarra, ma soltanto io me ne sono innamorata...
A tuo avviso chi è stato in passato, colui o colei che ha segnato la storia della danza portando quest'arte ad essere così amata e nobile?
I grandi nomi della danza per fortuna sono tanti, ed ognuno di loro ha contribuito in qualche modo a portare alla ribalta l'arte della danza. Al giorno d'oggi penso che una menzione speciale vada a Mikhail Baryshnikov, un eccelso danzatore, un artista completo, sotto ogni punto di vista, che con la sua estrema poliedricità ha appassionato il grande pubblico verso la danza, mostrando come un vero grande artista possa passare dal danzare "Don Chisciotte" o "Giselle" fino a trovarsi sul palcoscenico di Broadway o sul set di un film.
Da bambina avevi un tuo mito del balletto?
Da bambina sono cresciuta con il mito di Natalia Makarova, ho letteralmente consumato il vhs del suo "Lago dei Cigni" con Anthony Dowell.
Del periodo trascorso da allieva presso la Scuola del Teatro dell'Opera di Roma cosa ti piace ricordare con maggiore gioia?
Per me è stato un periodo meraviglioso! La scuola rappresentava una seconda famiglia, avevo le mie amiche e mi divertivo, non l'ho mai vissuto come un sacrificio, anche se poi in realtà ne ho fatti molti. Era la mia fuga, qualsiasi cosa succedesse io avevo il mio rifugio. Con gli anni mi sono resa conto di quanto tutti i miei Maestri mi abbiano insegnato qualcosa, e non parlo solo dei passi di danza, ma di tutti quei valori che sono necessari per poter diventare una ballerina professionista, primo tra tutti il rispetto per il Maestro e poi per se stessi. È stata una vera scuola di vita!
La tua famiglia ti ha sempre supportata e motivata nel proseguire gli studi coreutici?
Assolutamente sì, ognuno a proprio modo e in forma diversa. Ripeto, siamo tre sorelle ed i miei genitori sono stati molto bravi a sostenere ciascuna di noi nel proprio campo, evidenziando le proprie individualità.
L'emozione più viva del giorno del tuo Diploma qual è?
Oggi Michele mi sento di dirti Elisabetta Terabust. Ho avuto l'onore di diplomarmi a sedici anni con passo d'addio sul palco del Teatro dell'Opera, quasi fosse stata un'iniziazione. Un'emozione indescrivibile. La Signora Terabust, allora direttrice della scuola di danza del Teatro, decise di affidarmi l'esecuzione de "I Tre Preludi" di Ben Stevenson, accompagnata da Giovanni Rosaci, primo ballerino del corpo di ballo del Teatro. Un balletto splendido ma difficilissimo. Ero emozionatissima, avevo una grande responsabilità, ricordo perfettamente l'attimo prima che si aprisse il sipario, ero in posa davanti alla sbarra e provai una moltitudine di emozioni tutte insieme. In realtà ho anche pensato di fuggire! Ma Elisabetta Terabust mi stava dando fiducia e io non volevo deluderla. Lei fu la prima persona a credere in me, a vedere in me qualcosa di più. Ha investito sulla mia persona, e mi ha dato tante opportunità. Elisabetta Terabust, oltre ad essere una meravigliosa Etoile, è sempre stata una scopritrice di talenti, e a me piace pensare di essere tra questi. I suoi occhi di fierezza alla fine dello spettacolo li porterò sempre nel mio cuore. La danza in generale le deve molto!
Chi sono stati i tuoi Maestri per i quali nutri maggiore gratitudine?
Ho avuto la possibilità di studiare con tanti bravi Maestri, e ad ognuno di loro va il mio ringraziamento perché tutti hanno contribuito ad essere quella che sono diventata oggi. Spero e credo di essere riuscita a prendere qualcosa da ciascuno di loro per poi farlo mio e renderlo personale. Non vorrei fare torto a nessuno, ma desidero fare una particolare menzione per Floris Alexander, allora ballerino del "New York City Ballet", che fu mio Maestro durante i corsi superiori della scuola di ballo. Purtroppo ci ha lasciati prematuramente, e ritengo sia un grande lutto per il mondo della danza. Personalmente mi ha allargato gli orizzonti della danza, non voglio scendere nei particolari, ma mi ha dato una visione della danza che prima non avevo. Non voglio dire che fosse una visione più importante, ma sicuramente diversa e di cui avevo bisogno per comprendere molte cose.
So che ami sia la danza classica sia il contemporaneo, secondo te possono convivere questi due stili?
Assolutamente sì, devono coesistere entrambi, perché ognuno dei due stili è a favore dell'altro. La danza classica ovviamente è la base per ogni tipo di danza, è necessaria, ma un danzatore è completo quando riesce ad affrontare anche dei movimenti non propri trovandosi a proprio agio. La danza contemporanea permette ad un ballerino di spingersi oltre i propri canoni, e non è per nulla semplice, non è così scontato, e se ci riesce sarà sicuramente un ballerino classico migliore.
Che rapporto nutri con le punte, così amate e al tempo temute dalle ballerine?
Le scarpe da punta fanno parte della vita di ogni danzatrice classica. Sono sempre stata moto maniacale e precisa con la cura delle scarpe, cucirle in un determinato modo (sempre lo stesso), conservarle, pulirle per lo spettacolo e portarle sempre con me (sempre più di una ovviamente...). Sono il sogno di ogni bambina e a volte possono poi diventare una tortura. Per quanto mi riguarda ho sempre ritenuto più dolorosi i tacchi alti!
Tra tutti i tuoi partner artistici chi ti è rimasto maggiormente nel cuore per empatia scenica?
Ognuno di loro mi ha lasciato un ricordo e un segno differente, e per questo mi sento di ringraziarli tutti. È molto importante che in scena si crei con il proprio partner una connessione, un legame, di qualunque tipo, ovviamente in relazione a quello che si sta danzando. Il pubblico si accorge di questo, avverte quando e se c'è empatia tra i due ballerini, il risultato cambia radicalmente. Poi ovviamente c'è il partner con il quale si ha più feeling, senza un reale motivo, colui che capisce d'istinto ciò di cui hai bisogno, come preferisci eseguire un passo, come vuoi la mano in quel momento... e così via. Succede, ed è bellissimo, tutto diventa più facile, più comodo, tanto da potersi gustare in pieno ciò che si sta ballando.
La tua seconda famiglia è stato ed è il Teatro dell'Opera di Roma, in queste mura tanti incontri speciali hanno costellato il tuo cammino "passo dopo passo"?
Sono entrata al Teatro dell'Opera di Roma quando avevo nove anni e posso dire di aver visto ballare sul palcoscenico del Costanzi i più grandi ballerini del momento. È veramente impossibile nominarli tutti. Da Peter Schaufuss, Fernando Bujones, Jean Babilè, Vladimir Vassiliev, Maximiliano Guerra, Yuri Grigorovich a Natalia Makarova, Carla Fracci, Natalia Bessmertnova, Alessandra Ferri, Svetlana Zakharova... e tanti tanti altri. Un periodo florido per l'arte in generale, con produzioni di altissimo livello. Danzatori che hanno fatto la storia della danza e che hanno arricchito il bagaglio di tutti noi. Ognuno con la propria personalità e il proprio approccio al lavoro. Ed era proprio questo aspetto che mi incuriosiva e che mi incuriosisce tutt'oggi negli artisti. È l'approccio che si ha verso il lavoro, vedere come ognuno di loro vive il momento della preparazione, delle prove, del palcoscenico, ma soprattutto della quotidianità. E ho visto le situazioni più disparate, una all'opposto dell'altra. E con gli anni ho capito che non si può giudicare un modo di fare che magari non ci appartiene, ogni artista è differente così come sono differenti le abitudini. C'è chi prima di uno spettacolo ha bisogno di grande concentrazione e chi magari, essendo più irruento ed impulsivo vive tutto con maggiore leggerezza. Trovo questa diversità molto interessante!
Hai studiato anche con l'autorevole pedagoga Marika Besobrasova presso l'Accademia Princesse Grace di Montecarlo. Come ricordi quegli anni lontana dalla tua famiglia e cosa devi alla grande artista russa naturalizzata monegasca?
Il periodo trascorso nell'Accademia Princesse Grace fu per me anche un momento di sfida personale. La prima volta fuori casa, lontana dalla mia famiglia, e costretta a badare a me stessa. Madame Besobrasova era una vera Signora, Maestra ineccepibile e preparatissima e allo stesso tempo una donna attenta e rispettosa verso tutte noi ragazze, non sottovalutando mai quello che era il nostro aspetto psicologico. Per me e per quasi la totalità delle ragazze della scuola, era la prima esperienza lontano dalla propria casa e dai propri cari. Poteva non essere facile, molte ragazze hanno avuto dei momenti complicati e hanno preferito abbandonare. Ci si trova da soli in un'Accademia ad affrontare ogni esperienza, e questo Madame Besobrasova lo sapeva bene, e per questo cercava in ogni modo di coinvolgerci anche nell'organizzazione della scuola, ognuno di noi aveva un compito, come in una grande famiglia, così da non farci sentire mai sole. In sala ricordo le sue lezioni sui "port de bras", oppure ore intere a sentire la nostra respirazione... per una quindicenne non era facile da capire. Per fortuna tutto il suo insegnamento sono riuscita a metabolizzarlo con la crescita, avendo una maturità diversa. Una volta, in scena, ero talmente tesa per un balletto che ho quasi dimenticato di respirare, ho rischiato di scoppiare, e alla fine dello spettacolo mi sono rinvenute alla mente, di colpo, tutte le sue raccomandazioni sull'importanza del respiro e su come va eseguito... ora so quanto è fondamentale per un ballerino avere l'esatta respirazione quando si balla, me lo ha insegnato Lei.
Quando hai calcato per la prima volta in assoluto il palcoscenico?
Avevo dieci anni, in scena c'era "Pulcinella" di Massine. Un gruppo di bambine della scuola, tra cui io, dovevamo interpretare i piccoli pulcinella. Ricordo estremamente bene il mio entusiasmo. Da lì non ebbi più dubbi, io da grande avrei voluto fare quello, o per lo meno, ci avrei dovuto provare. Avevo trovato il mio obiettivo, ci dovevo riuscire. Volevo che la danza diventasse la mia professione, le emozioni che mi dava il palcoscenico mi avevano completamente catturato.
Carla Fracci ti ha voluta nominare Prima ballerina, un riconoscimento di assoluto prestigio?
La signora Fracci rappresenta una parte fondamentale della mia vita. La mia gratitudine verso di lei è immensa, e lo sarà per sempre. Non avevo ancora vent'anni quando ci siamo incontrate professionalmente. Lei divenne Direttore del Corpo di ballo del Teatro dell'Opera di Roma. Lei mi ha davvero presa per mano, e mi ha accompagnata lungo un viaggio duro e faticoso durante il quale mi ha insegnato ad essere un'artista completa e non semplicemente una ballerina. Me lo ha ripetuto tutti i giorni. Con Lei ho avuto un rapporto vero, ed è così ancora oggi, mi ha supportata, aiutata, spronata, ma mi ha saputo anche sgridare, molto, criticare e correggere. Abbiamo avuto scontri, abbiamo avuto vedute diverse in alcune situazioni, ci siamo confrontate e ci siamo ascoltate, e ne sono felice perché il nostro è un rapporto vivo, sincero, fondato sulla stima reciproca. Mi ha fatto crescere tecnicamente ed artisticamente, mi ha insegnato i ruoli classici nel loro profondo, mi ha fatto danzare i personaggi più diversi sia del repertorio classico che nelle creazioni pensate appositamente per me. Ho gioito, ho pianto, ho esultato e ho sofferto, ho lavorato tanto, mi ha fatto lavorare tantissimo, ma alla fine il suo regalo è stato incomparabile: la nomina a "Prima Ballerina". Descrivere la mia gioia sarebbe troppo riduttivo... Poi un discorso parallelo dovrei farlo per il Maestro Beppe Menegatti, il mio mentore, colui che ha sempre creduto in me e che mi ha costantemente sostenuta. Lui mi ha trasferito una continua voglia di sapere, di informarmi, di approfondire ogni ruolo che dovevo affrontare, mi ha sempre stimolata culturalmente. I suoi racconti, le sue storie sui grandi artisti di teatro sono memorabili. È sempre stato fonte di ispirazione per me, ma soprattutto ha rappresentato un porto sicuro. Ci vogliamo veramente bene.
Tu, Gaia, in qualche modo rappresenti la danza. Ma per te cos'è realmente la danza?
In realtà ritengo che sia la danza a rappresentare me. La danza è la mia vita, la Gaia di oggi è così perché in tutta la mia vita la danza ha rappresentato un elemento principale e fondamentale. Quella danza che si ama e che si odia, che ti dà gioia e dolori, gratificazioni e frustrazioni, che ti ricorda i tuoi limiti ma che ti spinge a superarli, e della quale quindi non si può rinunciare. Non mi vedo in vesti o in ambienti diversi, il Teatro fa parte di me, è il mio luogo naturale, è la mia casa. Infatti più che alla danza, mi piace pensare al "Teatro" in generale come ciò che mi rappresenta, ciò di cui non potrò mai fare a meno, e dal quale sarò sempre indissolubilmente legata.
Hai danzato i ruoli più importanti del repertorio classico, e sei stata protagonista di creazioni di celebri coreografi. Sicuramente una grande emozione lavorare con nomi prestigiosi ma anche un arricchimento umano e non solo artistico, dico bene?
Quando si riesce a creare un'empatia con il coreografo con il quale si lavora o ancor di più con il proprio partner, il risultato finale sarà sicuramente più ricco, profondo, di grande spessore. A me è succeso diverse volte, non sempre, ma spesso, sono stata arricchita dalle sensazioni e dalle emozioni delle persone con cui ho lavorato, e spero che a loro siano arrivate le mie. Ma credo sì!
Hai avuto anche la fortuna di collaborare con il grande Paolo Bortoluzzi, oggi purtroppo poco ricordato?
Ero una bambina, avevo dodici anni, e al Teatro dell'Opera di Roma andava in scena "Il Principe felice", con le coreografie di Paolo Bortoluzzi. Aveva bisogno di una bambina per interpretare il ruolo dell'Apparizione, così venne alla scuola per visionare le allieve più piccole e mi scelse. Non ho un'immagine nitida di lui, il mio ricordo più vivo va al momento in cui mi trovai per la prima volta da sola nella sala ballo del Teatro insieme a tutti i ballerini della Compagnia. Io una bambina e loro tutti professionisti, poteva rappresentare un momento di blocco per me, e invece andai tranquilla e sicura a fare la coreografia che mi era stata insegnata... beata incoscienza! Mi ricordo che rappresentavo un sogno e quindi Paolo Bortoluzzi decise di farmi fare la prima apparizione da una botola, dovevo scendere nelle zone macchine e apparire magicamente su di un piccolo praticabile. Ero molto eccitata per questo, mi piaceva tantisimo, e infatti ricordo che Bortoluzzi si avvicinò a me e con un bel sorriso mi disse: "piccola Gaia, ti diverti eh?!? Brava..." e mi diede una carezza.
Un altro incontro importante è avvenuto con Vladimir Vassiliev?
Vladimir Vassiliev è stata la persona che in assoluto più mi ha sorpresa, nel senso che la sua scelta mi colse davvero impreparata, non me lo aspettavo in alcun modo. In quel periodo era direttore del Corpo di ballo del Teatro, e andava in scena "Giselle", rimontata dal caro maestro Zarko Prebil. Io avevo quattordici anni e come spesso accadeva, alcune ragazze della scuola venivano chiamate in aggiunta al corpo di ballo. Io ero tra quelle, ero sostituta delle vignaiole e delle villi. Durante le prove ogni tanto Vassiliev entrava e osservava attento. Andammo in scena ed io fui chiamata a sostituire una ragazza a spettacolo iniziato. Me la cavai bene, e fui notata. Successivamente decise di farmi imparare il ruolo di "Giselle", e mi ritrovai da sola in sala con il maestro Prebil ad affrontare quel ruolo che fino al giorno prima mi sembrava irraggiungibile. Non scorderò mai, e dico mai, la mia prima prova. Passai la prima ora e mezza con il Maestro Prebil ad aprire la porta della casa di Giselle, non riuscivo a varcare la soglia. Sbagliavo, sbagliavo e sbagliavo. Mi sembrava un incubo perché non comprendevo cosa ci fosse di così difficile nell'aprire una porta e in che cosa sbagliavo. Con il tempo ovviamente ho capito, ho inteso il significato e l'importanza di quel momento, di quell'entrata e ogni volta che ho varcato quella soglia in scena, il mio pensiero e il mio ringraziamento è andato al maestro Prebil. Così, dopo quell'esperienza, venni richiamata dalla scuola nella produzione successiva della compagnia di balletto, "Les Sylphides", e io mi trovai con immensa sorpresa a ricoprire il ruolo di prima Ballerina nella "Mazurka". Ero scioccata, avevo quattordici anni e non potevo crederci. Vladimir Vassiliev aveva scelto me. Ovviamente gli chiesero il perché della sua scelta, e soprattutto se non fosse una decisione prematura e avventata. Lui, forte della sua scelta rispose "a me basta un 'port de bras' per vedere se si può essere una prima ballerina, e non mi importa quanti anni ha...". Fu per me una dimostrazione di fiducia troppo grande, non potevo e non volevo deluderlo. Fu un successo, e lui fu contento di me e per me. Che grande gioia che provai!
Mentre con il Maestro Giuseppe Carbone?
L'incontro con il Maestro Giuseppe Carbone è avvenuto l'anno successivo. Era stato nominato direttore del corpo di ballo. Fu un trienno molto florido per la stagione di balletto, oltre alle sue creazioni, portammo in scena tre tra i balletti più belli e famosi di John Cranko, "Romeo e Giulietta", "Onegin" e la "Bisbetica Domata". Per me Lui fu come un papà, fu sempre molto paterno, un papà rigido e severo, ma un papà. Ero l'unica ragazza minorenne in mezzo a professionisti grandi e importanti, avevo sedici anni ed ero un po' spaesata. Ero sempre un'allieva della scuola e mi scelse per interpretare il ruolo di Beatrice Cenci nel suo "Cronache Italiane". Il mio partner era Mario Marozzi, noto primo ballerino della compagnia. Inutile dire quanto fossi agitata. Mi coreografò un passo a due con lui, una scena di violenza, e a sedici anni non avevo assolutamente una grande esperienza nei passi a due. Sia il maestro Carbone che Mario Marozzi furono estremamente gentili e disponibili, mi insegnarono nel vero senso della parola, avevo bisogno di imparare e loro furono un pozzo profondo di sapere. Fu anche la mia prima possibilità di mostrare le mie doti artistiche, la vita di Beatrice Cenci fu travagliata e dolorosa, la scena della violenza era davvero molto forte, e il maestro Carbone mi richiese un coinvolgimento vero e totale. Da quel momento capì quanto mi piaceva ed interessava interpretare un ruolo narrativo, un personaggio vero, con una storia reale. Fu una scoperta! Credeva in me, e in seguito mi diede tante altre opportunità, una delle più importanti fu ne "I Vespri Siciliani", in quell'anno opera di apertura di stagione, coreografia di H. Spoerli, con Alessandra Ferri, Maximiliano Guerra ed Ethan Stieffel. Fu un'inaugurazione strepitosa, ballai da prima ballerina al fianco di Etoile d'eccezione, ero talmente emozionata che sembravo in trance... che bello però!
Cosa ha significato per te, artisticamente ed umanamente, danzare al fianco della divina Carla Fracci con la regia del Maestro Menegatti?
Una produzione di grande successo, riproposta per ben due anni di seguito durante la stagione estiva del Teatro dell'Opera alle Terme di Caracalla; si è voluto riproporre un tema attualissimo, lo scontro tra israeliani e palestinesi, legando il tutto con un filo sentimentale, una storia d'amore tra due ragazzi di famiglie con origini diverse, appunto una israeliana e l'altra palestinese. Una sorta di "Romeo e Giulietta" dei nostri giorni. Il cast era di "primo ordine", come direbbe il Maestro Menegatti, la Signora Fracci in prima linea, Loredana Bertè come cantante/narratrice della storia e con le musiche di Tullio De Piscopo, in scena con noi. Ho partecipato a questo evento nel ruolo della ragazza innamorata. Luc Bouy, il coreografo e il Maestro Menegatti mi hanno cucito addosso quel ruolo, e con tutte le sfumature che io sono riuscita a dare, mi hanno spinta ad andare oltre, a vivere realmente il dramma di quelle popolazioni. Avevo un assolo accompagnato dalle percussioni di Tullio De Piscopo, il quale, come ogni vero artista, improvvisava e "seguiva l'onda", e io lo assecondavo, ballavo con la sua musica... il risultato era sorprendente, mi emozionavo ogni volta. Alla fine avevamo un ballo d'insieme capitanato dalla Signora Fracci. Io non potrò mai dimenticare i suoi occhi: profondi, diretti, vivi, magnetici, ipnotici. Incantava tutti, sia noi ballerini che il pubblico. Veramente un successo!
Luc Bouy che artista è dal tuo osservatorio?
Luc è un artista, è eclettico, versatile, sensibile, generoso. Ho lavorato con lui in momenti diversi della mia vita, professionalmente l'ho conosciuto in giovanissima età, sin dalla scuola, per poi rincontrarlo da professionista, lavorando con lui per diversi anni. Penso che ci siamo ispirati a vicenda, e questa è l'aspetto più affascinante. Ha creato per me diversi ruoli, e l'ha fatto pensando a me, per me... è speciale!
La tua carriera è ricca di incontri, collaborazioni e splendide serate dedicate a Tersicore. Sicuramente hai dovuto fare delle rinunce e dei sacrifici per rincorrere il tuo magico sogno?
I sacrifici di un danzatore sono ormai ben noti, o comunque negli ultimi anni si sta cercando di sensibilizzare l'opinione pubblica su quello che è l'aspetto della preparazione di uno spettacolo, e di tutto ciò che c'è dietro al risultato finale che si porta sul palcoscenico. I danzatori dal punto di vista fisico sono degli atleti e ritengo che ogni atleta professionista non faccia una vita all'insegna dello svago e del divertimento assoluto. Spero però, e questo è stato il mio caso, che il divertimento per i danzatori sia proprio la danza. Lo spero perché solo così si riesce ad arrivare a dei risultati significativi. Tutto ciò che si vive come un sacrificio o come una rinuncia non può sortire qualcosa di positivo. E con questo non voglio dire che i danzatori non affrontino delle privazioni, anzi, per antonomasia sono votati al sacrificio e alla rinuncia, sono disposti a sopportare fatica e dolore con dignità e silenzio. È un aspetto fondamentale del nostro stile di vita, ci viene insegnato da bambini, il nostro è un modo di vivere legato alla disciplina. Il problema sono semplicemente le priorità, la bilancia delle emozioni. Capire cosa si è disposti a sopportare, e quindi capire quanto si ama ciò che si è scelto di intraprendere. Se il sacrificio diventa troppo forte e non riusciamo a sostenerlo, la scelta deve essere ferma e decisa. Se tutto ciò di cui ci dobbiamo privare lo riteniamo più importante di quello che stiamo facendo, è meglio avere subito il coraggio e la determinazione di lasciar perdere. Dobbiamo possedere questa maturità di comprensione ed accettazione in giovanissima età. La nostra carriera è piuttosto breve ed inizia quindi prestissimo. Viviamo una vita fuori dagli schemi prestabiliti, una danzatrice a dodici anni non fa la vita della dodicenne e così via... Tutto questo per dire, che i sacrifici che ho dovuto affrontare sono stati molti, ma sono stata io a scegliere tutto questo, l'ho voluto io, e quindi non ho mai vissuto ogni rinuncia come un ostacolo da superare, il piacere era maggiore.
Hai avuto anche la grande possibilità di danzare in Russia, come ti eri preparata a questo importante appuntamento?
Ricordo che lavorai molto severamente per la preparazione di quegli spettacoli, soprattutto perché il mio approccio psicologico ed emotivo era differente. Saper di dover ballare al Bolshoi, il museo della danza, il palcoscenico per antonomasia, il palcoscenico più famoso al mondo, conosciuto anche da chi non appartiene al mondo della danza, crea un'agitazione non indifferente. L'emozione è stata indescrivibile. Abbiamo portato un programma meraviglioso, affascinante, ma davvero molto impegnativo: "La Sagra della Primavera" di Nijinski, "Petruska", "L'Uccello di fuoco" e "Sheherazade". Siamo stati invitati dalla Fondazione Liepa, e quindi ogni prova è stata supervisionata dallo straordinario Andris Liepa. Lui è stato semplicemente fantastico. Ha rimontato tutti i balletti con una carica, un'energia, e una passione fuori dal comune. L'attenzione che metteva in ogni minimo particolare era sconvolgente, abbiamo lavorato senza sosta. Mi ha insegnato personalmente i due ruoli principali dell'Uccello di Fuoco e di Sheherazade, mi ha spronata oltre l'impensabile, e il risultato alla fine è stato sorprendente. E poi è un partner incredibile, insegnandomi il ruolo mi sono trovata spesso a provare con lui, e... wow!!! In Russia l'aspetto più evidente è proprio la grande cultura che tutti hanno verso la danza. È riconosciuta e rispettata da tutti, gli spettacoli sono quasi sempre sold out e i danzatori vengono trattati con tutti gli onori che meritano. È bello vedere come il pubblico conosca perfettamente le coreografie dei balletti, sanno perfettamente i passi, sono dei reali intenditori, hanno i loro beniamini e li seguono e li supportano. E nei ringraziamenti finali ti ripagano di tutto lo sforzo, ti fanno capire realmente se e quanto abbiano apprezzato ciò che hanno visto. Ricordo di aver provato una soddisfazione unica, un appagamento fuori dal comune nel sentire un applauso ritmato di tutta la platea con il battito dei piedi... Pazzesco!
La nomina ad Étoile del Teatro dell'Opera di Roma come ti ha completata artisticamente?
È stata una grandissima gratificazione dopo tanti anni passati sul palco del Teatro dell'Opera. Io sono un frutto del Teatro, sono nata e cresciuta nella scuola di danza del Teatro e ho svolto tutta la mia carriera all'interno dello stesso, passando per ogni livello, e arrivando fino al massimo riconoscimento. Ho ricevuto la nomina proprio sul palcoscenico dal sovrintendente Carlo Fuortes dopo la rappresentazione di "Notes de la Nuit", una creazione di Micha Van Hoecke. Una cerimonia per me, è stato un tributo che il teatro ha voluto donarmi e di cui andrò sempre fiera e onorata.
La nomina ad étoile è arrivata grazie al Maestro Micha Van Hoecke. Com'è stato lavorare al suo fianco?
Micha è un artista a tutto tondo, ha la mentalità degli artisti di una volta, quando sei vicino a lui ti accorgi di quanto sia diverso il suo modo di pensare, di riflettere, a volte sembra su un altro parallelo. È un uomo molto buono e generoso, sotto ogni punto di vista, sia umano che artistico. È un entusiasta, è divertente, cerca spesso l'ironia nelle vicende della vita. Ho lavorato molto con lui durante i suoi quattro anni di direzione all'Opera di Roma, e devo constatare quanto si sia creato un feeling artistico tra di noi. Durante le creazioni eravamo spesso sulla stessa lunghezza d'onda, capivamo all'istante quello di cui l'altro aveva bisogno, senza troppe spiegazioni o richieste. In sala, Micha, lavora con e per il ballerino, non impone la sua coreografia, ma la crea per la persona che ha davanti, con quello che il ballerino gli esprime, sempre cercando di farlo sentire a proprio agio. Con Micha ho lavorato così, senza tensioni o stress particolari, sempre in modo propositivo, e a lui devo la mia visione del danzatore in senso più completo, come colui che può emozionare il pubblico in diversi modi, anche stando fermi... a volte è un dono, ma se si ha la sensibilità di capirlo e se si ha vicino qualcuno che ti avvicina a questo modo di vedere l'arte, allora penso si diventi artisti completi. E lui in questo mi ha raffinata. E a lui in particolar modo devo il mio ringraziamento per la mia nomina ad Etoile. Ha creduto fortemente in me, abbiamo lavorato molto insieme e dopo quattro anni mi ha voluto conferire l'onorificenza del ruolo di Etoile, la più prestigiosa delle nomine. Non lo potrò mai dimenticare!
Tante serate hanno costellato la tua carriera, quale ti è rimasta più nel cuore?
Non saprei spiegare la motivazione del perché alcuni spettacoli rimangono più impressi rispetto ad altri. Ovviamente, al di là della buona riuscita o meno dell'esecuzione, c'è un insieme di aspetti, primo fra tutti lo stato d'animo personale. Ad esempio ho dei meravigliosi ricordi legati ad un Gala a Villa Adriana, dove portammo un programma di Balanchine ed Alvin Ailey, e un Gala al Teatro Greco di Taormina. In entrambi i luoghi rimasi completamente catturata dallo scenario che avevo davanti, da mozzafiato, e ricordo perfettamente la sensazione di benessere che provai mentre ballavo, di piacere puro...
Hai lavorato anche con Yuri Grigorovich, uno tra i più grandi coreografi dell'arte russa, soprannominato lo "zar", che esperienza è stata?
Cerco sempre di ricordare tutte le impressioni che ho provato con i vari artisti che mi è capitato di incontrare e di conoscere, sia in positivo che in negativo. Una delle persone che senza alcun dubbio mi ha catturata è stata certamente Yuri Grigorovich. Venne in Teatro per rimontare il suo "Spartacus", ed io a diciannove anni mi imbattei in questo uomo dal carisma travolgente. Dotato di un'umiltà e di una sensibilità rara, teneva ogni prova, da quelle del corpo di ballo a quelli dei primi ballerini con una forza, una presenza, un'energia impressionante. Non conosceva stanchezza, emanava una vitalità tale da riuscire a coinvolgere tutti. Si respirava un'aria impetuosa. Un esempio di vero artista e di grande guida.
Il tuo ruolo più bello?
Sicuramente "Giulietta". È un ruolo che amo visceralmente, amo ogni aspetto e sfumatura. Giulietta è una ragazza, non è una figura scaturita dalla fantasia, è reale, è viva. Ci si può calare perfettamente nel suo personaggio, Giulietta può essere ognuna di noi. Ho sempre amato rappresentare i drammi in scena, vivendoli come se fossero i miei, calandomi completamente nel ruolo, arrivando fino a soffrire realmente per quello che stavo rappresentando, vivendo un dramma interiore. Ed ogni volta in modo diverso, ho danzato molte volte Giulietta ed ogni volta ho reagito in maniera differente. Conosco benissimo la musica (quella di Prokofiev) e questo mi ha dato la possibilità di poterla seguire completamente con i movimenti, lasciandomi andare e facendomi guidare da lei. Non ho mai saputo quale sarebbe stata la mia reazione, quale sentimento avrebbe prevalso in me. E questo non sapere, questa suspence elettrizza, incuriosisce, mi ha sempre stimolato. Provare delle sensazioni e delle emozioni in scena per me è "fondamentale", e ballare il ruolo di Giulietta dà la possibilità di provare una vasta gamma di sentimenti che ritengo nessun altro ruolo, o quasi, possa darti. Si comincia con la spensieratezza della fanciullezza, l'emozione per l'entrata in società, il primo sguardo verso un uomo, la scoperta dell'amore, l'innamoramento, la passione, e poi la forza d'animo per difendere questo amore, la determinazione, il coraggio, la desolazione, la tristezza, il dramma, la tragedia per poi arrivare fino alla morte. Non penso sia possibile descrivere cosa si provi a calarsi in questo ruolo, e soprattutto come ci si senta alla fine dello spettacolo. La sensazione più forte è quella di sentirsi "svuotata" da tutto, priva di forze e completamente in trance. Affrontare questo ruolo è l'augurio che posso fare ad ogni danzatrice.
Una volta mi hai raccontato della tua vena comica, la vuoi narrare anche ai lettori?
Ho un aspetto fisico che all'apparenza può risultare molto serio e posato, ma in realtà ho una vena comica che mi caratterizza. Chi mi conosce bene lo sa, chi lo scopre piano piano ne rimane quasi interdetto, sorpreso direi! Ho avuto poche possibilità in scena di esprimere questa mia vena comica, la più significativa è stata quella di una delle due sorellastre di "Cenerentola". In realtà ne fui sorpresa anche io perché all'inizio mi sentivo quasi fuori luogo, ero a disagio, poi piano piano ho cominciato ad apprezzare il ruolo ricco di sfaccettature, per poi trovarmi a divertire fino all'inverosimile. Con la mia compagna/sorellastra Alessia Barberini c'era un affiatamento unico, abbiamo sfruttato un'occasione che capita poche volte ad un ballerino classico, quella di essere comiche, ironiche, divertenti e "goffe". La Signora Fracci ci correggeva in continuazione perché eravamo troppo dolci, troppo carine, troppo delicate, insomma, troppo ballerine! Finché arrivò il primo giorno di prova in palcoscenico. Lì successe qualcosa, lì ci fu la trasformazione, tanto che la Signora Fracci ci disse "ragazze, non vi riconosco più..." Non ricordo di essermi mai divertita così in scena prima di quel momento, e di aver fatto divertire così tanto il pubblico. Alla prima rappresentazione, durante gli applausi finali ci fu per noi una vera ovazione... Proprio un bel ricordo!
Il "sociale" ha sempre fatto parte della tua vita. Come si sposa l'arte con la solidarietà?
Sì, sono molto attenta a quelli che sono i problemi sociali che ci circondano e, nel mio piccolo, cerco di dare sempre un contributo. Appena ho la possibilità non mi tiro indietro di fronte ad iniziative lodevoli e di giusto valore. Verifico con attenzione l'organizzazione, e la finalità del progetto, assicurandomi la veritiera attribuzione del risultato, sia economico che organizzativo. Ultimamente sono stata madrina di "In Punta di Donna", manifestazione contro ogni violenza sulle donne, un modo originale ed innovativo per dire no, attraverso la danza, ai soprusi perpetrati ai danni dell'universo femminile. Penso sia nostro dovere dare una mano dove si può, ognuno nel proprio piccolo e nelle proprie possibilità. Ora sono Madrina di Ba.Bi.S onlus, la banda dei bimbi speciali, un'associazione sostenuta dall'Ospedale Bambino Gesù di Roma in favore dei bambini con problemi di malformazioni craniofacciali. Esistono intorno a noi delle super mamme e dei super papà che portano avanti le loro lotte con una determinazione e una forza che va oltre il nostro immaginario. Vanno aiutati e supportati!
Oggi sei una stimata Maestra, cosa ti gratifica in questo difficile e delicato ruolo?
Insegno presso la scuola di Danza del Teatro dell'Opera di Roma quest'anno oltre al corso di repertorio classico ho avuto anche l'incarico di seguire, come docente di tecnica accademica, i corsi intermedi femminili. Ne sono molto entusiasta ed onorata, sento molto la responsabilità nei confronti delle ragazze. Hanno una grande voglia di fare e di imparare, sono curiose e desiderose di migliorare. Per me è importante trasferire loro tutta la mia esperienza e la mia competenza, senza tralasciare anche una particolare attenzione anche a quello che è l'aspetto emotivo. Spero di riuscire a costruire un lavoro serio, costruttivo e anche piacevole. La possibilità di far capire ai ragazzi l'importanza della tradizione classica. Ho avuto la fortuna di lavorare con veri conoscitori della storia del balletto, i quali mi hanno insegnato l'importanza del gesto oltre a quella del singolo passo, e mi rendo conto di essere stata molto fortunata. Penso sia un mio dovere tramandare tutto ciò che mi è stato insegnato. Credo di avere lo stesso approccio che ho sempre avuto con me stessa in sala ballo. So di essere rigida, precisa, meticolosa e di pretendere molto, ma è tutto finalizzato al risultato finale. La nostra è una professione che non conosce compromessi e dove il tempo è prezioso, bisogna capirlo sin da giovanissimi. Non è facile, ci vuole un grande impegno, sia fisico che mentale, per questo motivo con le ragazze cerco di alternare momenti in cui sono più comprensiva e più duttile, sono stata allieva anche io, non ho dimenticato come ci si sente! Nella danza classica tutto è importante, la tecnica, la qualità del movimento, l'armonia, la forza e la velocità delle gambe, il lavoro dei piedi, l'espressività, la gestualità, la postura, il movimento delle braccia... tutti aspetti sui quali si deve lavorare quotidianamente. Ma la condizione che non può assolutamente mancare, che ritengo imprescindibile e necessaria, è la musicalità! Essere musicale per un ballerino è di fondamentale importanza, e forse troppo spesso è un aspetto trascurato.
La sensazione più bella vissuta in palcoscenico?
Sul palcoscenico una delle sensazioni più belle è sentire il calore dei riflettori sulla pelle, guardare verso la platea e scorgere un'oscurità che è affievolita dalle luci di proscenio. È una sensazione intima, può sembrare assurdo, può sembrare retrò, ma a me affascina moltissimo. È una mia follia personale! Gli applausi rappresentano un momento unico, si ha il primo contatto vero e diretto con il pubblico, in quel momento si viene ripagati di tutta la fatica che c'è stata in precedenza. Gli applausi rappresentano il vero test, da lì capisci se hai fatto un buon lavoro. Il pubblico va sempre rispettato ed onorato.
Tanti ruoli hai ricoperto ma quali sono i tuoi prediletti oltre a Giulietta?
Sicuramente i ruoli narrativi, mi è sempre piaciuto raccontare una storia, e mi piacciono i drammi finali. Riuscire a commuovermi in scena con un dramma da raccontare mi ha sempre affascinata. Ho prediletto interpretare un ruolo completo, narrando le più svariate vicende, e vivendo tutte le emozioni del personaggio. Sono molto attratta dal lato artistico, ritengo che i danzatori debbano essere anche dei bravissimi attori.
Sei scaramantica? Segui qualche rituale prima di entrare in scena?
In realtà no, piuttosto sono sempre stata molto metodica nelle abitudini della preparazione. Ho fatto sempre le stesse cose e nello stesso ordine. Un aspetto quasi maniacale! La sbarra di riscaldamento necessariamente da sola e sempre nell'angolo destro di proscenio, ovviamente coperta dal mio scialle bianco, i miei effetti personali sulla toletta sempre disposti nello stesso posto, preparando tutto ciò che sarebbe potuto eventualmente servirmi. Calcolando anche gli imprevisti. Amo l'ordine e la mia toletta è sempre stata organizzata perfettamente. Tutto lo staff del Teatro mi ha costantemente coccolata, ho sempre trovato il camerino come lo desideravo.
Com'era strutturato e quale narrazione possedeva, per chi non lo avesse visto, lo spettacolo che ti ha vista protagonista al fianco di Vladimir Vassiliev dal titolo "Lungo viaggio nella notte di Natale" di Paul Chalmer?
Era uno spettacolo basato sulla storia della vita di Tchaikovsky. Un balletto ideato da Beppe Menegatti, con Vladimir Vassiliev nei panni danzati e recitati di Tchaikovsky. La coreografia era di Paul Chalmer, il quale riuscì in modo prezioso ad unire le parti danzanti con quelle recitate, riuscendo a valorizzare ogni aspetto ed ogni danzatore. Fu un lavoro di pregio!
Ritorniamo a parlare della tua "Giselle", cosa rammenti in particolare?
La mia preparazione al ruolo di Giselle è stata molto articolata ed approfondita. Come ho già raccontato, ho cominciato a studiare il ruolo sin da giovanissima, prima con Zarko Prebil, poi con Carla Fracci, poi con Patrice Bart ed infine con Patricia Ruanne. Ognuno di loro mi ha plasmato in un modo diverso, ma soprattutto io ho recepito la loro guida in relazione all'età che avevo. Ho lavorato con ognuno di loro in momenti cruciali della mia vita professionale, e questo ha fatto sì di potermi dare più consapevolezza nell'unire i loro insegnamenti. Ho studiato moltissimo il ruolo di Giselle, ho seguito anche tutte le prove di ogni Guest Star venuta in Teatro a danzare il ruolo. Ognuno mi ha dato qualcosa, ognuno mi ha fatto vedere una sfaccettatura del personaggio ed io cercato di rendere personale tutte queste indicazioni unendole con il mio istinto. Auguro ad ogni danzatrice di poter interpretare la scena della pazzia, è un momento catartico!
Mentre per Odette-Odile?
Ovviamente oltre alla preparazione tecnica, ricordo lo studio dedicato al movimento delle braccia. Ore in sala con Galina Samsova, un'artista immensa, una vera Signora, dotata di grande sensibilità e generosità. Ricordo il modo in cui mi mostrava il movimento delle mani come prosecuzione delle braccia, era un incanto guardarla. Ho passato ore davanti allo specchio in sala ballo e anche chiusa nella mia stanza da letto, un lavoro durissimo ma fondamentale.
Hai danzato in Who cares? e in altre creazioni del Maestro Balanchine. Quali sono le maggiori difficoltà nell'accostarsi al suo genio?
Balanchine è un genio mondiale della danza e danzare i suoi balletti è un onore. Le difficoltà tecniche alle quali si deve far fronte sono significative, ha uno stile tutto suo, se non lo si conosce si rischia di portare in scena un balletto espropriato dalla sua essenza, dalla sua anima. Io avuto la fortuna di accostarmi a questa tecnica sin dalla scuola di ballo, ho studiato diversi anni con Floris Alexander, danzatore del "New York City Ballet", e ovviamente conoscere in giovane età "questo mondo nuovo" mi ha aiutato non poco. "Apollon Musagète" è semplicemente un capolavoro, la musica di Stravinskij lo è altrettanto, qui c'è stato un incontro tra geni. Io ero la musa Calliope... e quanta bellezza, quanto piacere a stare in scena! Con "Who cares?" c'è vero gusto, è una delizia danzarlo, la musica coinvolgente di Gershwin ti trascina in un entusiasmo incomparabile. Magistralmente rimontati da Nanette Glushak, sublime danzatrice del "New York City Ballet" ed ora facente parte del "Balanchine Trust". Una ripetitrice esemplare, rispettosa, e premurosa. Un bellissimo incontro!
Mentre per quanto riguarda Roland Petit?
Roland Petit fa parte dei pilastri della danza e ci ha lasciato delle autentiche opere d'arte. Ho avuto il piacere di danzare la sua "Carmen" e "La Rose Malade". Ho lavorato duramente, sempre sostenuta da Luigi Bonino e da Raffaella Renzi, le variazioni di Carmen sono molto articolate, lunghe e ricche di difficoltà, ma l'appagamento nell'arrivare ad interpretare l'intero balletto è indescrivibile. È tutto costruito in modo perfettamente descrittivo, la musica con la coreografia è in esemplare sintonia, si riesce perfettamente a calarsi nel personaggio, sentirsi Carmen è particolarmente stimolante, e il pas de deux finale è un'esplosione di carica.
E Jerome Robbins?
Jerome Robbins ci ha lasciato delle perle rare, e per me è stata una grande soddisfazione poter danzare il suo "In the night". Con la musica al piano di Chopin si crea un'atmosfera molto romantica, molto raffinata. Ho danzato il terzo pas de deux, speravo proprio di fare quello perché è il più vicino al mio temperamento. Ho avuto due partner di eccezione, Mario Marozzi, Etoile del Teatro dell'Opera di Roma, e Amar Ramasar, principal dancer del New York City Ballet, due partner fantastici, attenti e generosi, a loro va tutta la mia gratitudine. Reputo che "In the night" sia un vero gioiello per la danza, e io lo porto nel cuore.
Non possiamo poi dimenticare Maurice Béjart e Martha Graham, due pilastri mondiali?
Stiamo parlando di miti della danza, di personaggi fondamentali e rivoluzionari. Per noi danzatori è un privilegio affrontare le loro coreografie, dobbiamo esserne coscienti quando accade. Fortunatamente Loro ci hanno donato la loro arte, il loro talento lasciandoci dei balletti meravigliosi. In particolar modo ricordo il mio enorme dispiacere al termine delle recite di "Diversion of Angel" di Martha Graham. Avevo studiato la tecnica Graham durante gli anni della scuola di ballo con Elsa Piperno e poi per l'andamento della mia carriera non ho più affrontato il suo stile. Fino a quando ho avuto l'occasione di essere la donna nella coppia in bianco in "Diversion of Angel". All'inizio non è stato semplice, ho impiegato un po' di tempo per rientrare in quel mondo, per sentirmi parte di quella situazione, ma poi successe qualcosa! Fui completamente catturata, me ne innamorai, fui sedotta, tanto da provare un'enorme dispiacere al termine degli spettacoli.
Ci sono stati anche momenti bui nella tua carriera Gaia? Magari nei quali hai pensato di mollare tutto?
Sicuramente il mio periodo più buio è stato quello legato agli infortuni. Ne ho subiti diversi purtroppo, e mi hanno obbligata a fermarmi. È stato molto difficile.
Chi sono i ballerini attualmente in scena, sul piano internazionale, a cui riconosci l'eccellenza, sia maschile sia femminile?
È un momento ricco di artisti strepitosi, mi vengono in mente una moltitudine di nomi, abbiamo la fortuna di vedere sui palcoscenici dei danzatori eccellenti. Elencarli tutti sarebbe complicato, e si entrerebbe anche in un discorso di gusto personale. Ritengo di poter dire che Tiler Peck, principal del NYCB, rappresenti i balletti di Balanchine in modo prestigioso ed eccelso.
E dei nuovi coreografi a chi vuoi dedicare un applauso?
Ripeto, anche per quanto riguarda la coreografia, stiamo vivendo un periodo veramente florido. Sono tantissimi gli Artisti che si stanno distinguendo con le loro creazioni. Con la danza contemporanea poi stiamo gustando produzioni di altissimo livello, molto intriganti. Apprezzo particolarmente i lavori di Christopher Wheeldon, la sua "Alice's Adventures in Wonderland" è strepitosa.
Quali passioni coltivi oltre all'arte coreutica?
Amo la musica, quasi di ogni genere, mi rilassa, riesce a crearmi un mondo parallelo di serenità, mi crea motivazioni se ho bisogno di stimoli. Ho deciso di prender lezioni di pianoforte, è sempre stato il mio sogno saperlo suonare. E poi sono un'amante delle immersioni subacquee. Ho preso il brevetto advanced, un'esperienza unica. Ci si trova in un mondo spettacolare dove l'unico rumore è quello del proprio respiro. Quando posso cerco di organizzare le mie vacanze in modo da poter fare anche qualche bella immersione.
La danza occupa tutta la tua vita o c'è spazio anche per altro?
Deve esserci spazio per altro, la bellezza della vita è trovare continuamente degli interessi nuovi, delle passioni da inseguire. La curiosità di conoscere altre realtà mi mantiene viva, poi però bisogna saper dare una giusta scala di valori, una consapevolezza di importanza, per questo so che la danza, il teatro, sarà sempre la mia unica grande passione.
Michele Olivieri