Francesco Pititto nel 1985 fonda, con Maria Federica Maestri, Lenz Rifrazioni compagnia di teatro di ricerca selezionata dal critico e studioso di teatro Giuseppe Bartolucci. Nel 1997 gli viene assegnato, insieme a Maria Federica Maestri, il Premio per la Ricerca Teatrale dall'Associazione Nazionale Critici di Teatro. Nel 1999 l'opera "HAM-LET" viene invitata da Luca Ronconi al Festival del Teatro d'Europa del Piccolo Teatro di Milano. Nel 2002 le riscritture drammaturgiche di "Biancaneve" e "Cenerentola" dei fratelli Grimm, nella traduzione scenica di Lenz, vengono invitate in rassegne internazionali a Lille, Madrid, Il Cairo, Olot, Arles e Ivry. Nello stesso anno "Cappuccetto Rosso", di cui cura traduzione, drammaturgia e regia, inaugura al Teatro Duse di Bologna il I° festival delle Interazioni Sociali diretto da Claudio Meldolesi e Franca Sivestri. Nel 2004 le opere calderoniane "La vita è sogno" e "Il Magico Prodigioso" vengono invitate al più prestigioso evento del teatro barocco spagnolo, il Festival del Teatro Classico di Almagro in Spagna. All'inizio del 2006 "Il Principe costante", debutta ad Alméria in Spagna. Nel 2012 cura la drammaturgia e l'imagoturgia del terzo riallestimento di "HAMLET" al Teatro Farnese di Parma. Nel 2014 cura la drammaturgia di "ADELCHI", secondo lavoro di Lenz sulle opere manzoniane dopo il monumentale "I PROMESSI SPOSI". Nel 2015 cura la drammaturgia e regia di "VERDI RE LEAR – L'OPERA CHE NON C'È", dal Lear di Verdi su commissione del Festival Verdi. Poi la drammaturgia e imagoturgia de "IL FURIOSO", da Lodovico Ariosto, che vede grandi installazioni monumentali. Di nuovo commissionato dal Festival Verdi 2016 cura la drammaturgia e l'imagoturgia di "AUTODAFÈ" da Don Carlo di Giuseppe Verdi, installazione nell'ala napoleonica dell'ex-carcere di San Francesco di Parma, nel 2017 "PARADISO. UN PEZZO SACRO" dai Quattro Pezzi Sacri di Verdi e Dante al Ponte Nord, "PURGATORIO" all'ex Ospedale Vecchio di Parma e, nel 2018, "VERDI MACBETH" da Verdi e Shakespeare. Nel giugno 2018 inizia il nuovo progetto triennale, fino al 2020 per Parma Capitale della Cultura, su Calderón de la Barca e debutta il "GRANDE TEATRO DEL MONDO" al Teatro Farnese di Parma.
Gentile Francesco, per iniziare raccontami del vostro storico festival "Natura Dèi Teatri"?
Raffaella Giordano, Giorgio Rossi, Michele Abbondanza, Antonella Bertoni, Maria Donata D'Urso, Eva Meyer-Keller, Erna Ómarsdóttir, Claudia Dias, Silvia Rampelli, Alessandra Cristiani, Marina Giovannini, Virgilio Sieni, Jonathan Burrows e Matteo Fargion, Eszter Salamon, Lisbeth Gruwez, Cristina Rizzo, Kinkaleri, Doris Uhlich, Vera Mantero, Ampe e Garrido, Maguy Marin, Simon Mayer, Lea Moro, Jacopo Jenna, MK | Michele Di Stefano: sono alcuni degli artisti ospiti del nostro festival "Natura Dèi Teatri" dal 1996 a oggi e rappresentano, attraverso le ricerche linguistiche personali che ognuno di questi artisti ha praticato negli anni, il nostro interesse per la danza e la coreografia internazionale.
Come si combina a Lenz Fondazione la creazione associata alla fisicità?
La coreografia, proprio in relazione al concetto di corpo fisico che profondamente segna il nostro percorso artistico trentennale, è da almeno un ventennio componente fondamentale della nostra visione estetica, citando Michel Serres "...sapere qualcosa attraverso il corpo, come il sapere attraverso il cuore, è quando il corpo esegue un gesto senza pensarci, senza che intervenga la coscienza. Io chiamo questo l'oblìo del gesto; il gesto è all'interno dell'organismo, è dentro il "nero" del corpo, il corpo come una scatola nera."
Come nasce nella tua visione l'idea delle metamorfosi e delle trasfigurazioni nella vita e sulla scena?
Nel 1982, realizzando un video-documento per Rai3, ripresi "Café Müller" di Pina Bausch. Penso che quell'opera abbia formato profondamente l'idea di drammaturgia, coreografia e imagoturgia che poi, dal 1986, insieme a Maria Federica Maestri, ha portato all'esperienza di Lenz Rifrazioni prima e, oggi, di Lenz Fondazione.
Nel 1997 ti viene assegnato, insieme a Maria Federica Maestri, il Premio per la Ricerca Teatrale dall'Associazione Nazionale Critici di Teatro, da dove parte la vostra scrittura drammaturgica?
Negli anni, pur non scindendo mai il gesto e il movimento corporeo dal dire un testo, dalla parola in-corporata per gli attori performer, abbiamo creato anche opere nelle quali la "coreografia del sentimento" e quindi della scrittura in primis del corpo si potrebbero definire opere di danza. Sempre però per necessità artistica, per dovere poetico. È il caso ad esempio per "Canciones del Alma" e "Fábrica Negra" da Juan de la Cruz, performato da Sandra Soncini attrice storica di Lenz e danzatrice di ampia formazione. Così ha scritto Giuseppe Distefano su Artribune, nel 2015 per questi due lavori: "Corpo squassante e squassato, posseduto dal furore mistico. È quello della straordinaria attrice-performer Sandra Soncini, un corpo coreografico che, piantato a terra, possiede la leggerezza e la gravezza di una presenza tumultuosa anelante al divino. Si muove in equilibrio sulla lunga striscia bianca disegnata sul pavimento e illuminata da un taglio di luce lineare. È prima accovacciata in una figurazione che ricorda le forme pittoriche di Bacon, poi si rivela disarticolando mani e membra, alzandosi lentamente, a scatti, muovendosi in una danza frenetica con spasmi muscolari che tradiscono quella tensione del corpo verso l'estasi". Oppure Franco Acquaviva per Sipario: "Una meditazione scenica ardua, ermetica, vigorosa, rigorosa, priva di orpelli, che costringe la performer a una notevole concentrazione e ne rivela la generosità. Sandra Soncini ha un'esperienza solida di danzatrice-attrice e si vede: le sequenze di movimento evolvono per nodi e scioglimenti difficili, che richiedono perizia, controllo, abbandono."
Il secondo capitolo del dittico dedicato al mito di Ifigenia sarà in scena a Parma presso Lenz Teatro, nelle stesse sere in cui verrà anche proposta la prima nazionale dello spettacolo firmato da Maria Federica Maestri e da Francesco Pititto "Orestea #1 Nidi". Pochi giorni prima del debutto la performer sensibile Monica Barone presenterà tale esperienza a Matera, Capitale Europea della Cultura 2019, su invito del British Council e di Oriente Occidente Dance Festival?
È ancora la biografia che muove il corpo e la vita dà forma al movimento: il "Tanztheater" di Pina ha segnato per sempre il linguaggio coreografico; le biografie dei danzatori sono state essenziali alla "compositrice di danza", come la Bausch amava definire il proprio lavoro, per delineare stati emotivi, gesti e movimenti, colori e scritture musicali in ogni opera. Monica, motivata da una profonda necessità esistenziale, ma in particolare per questa "Iphigenia", porta in scena se stessa e la propria vita, compie un rituale contemporaneo che necessita ancora di "danza", oltre la parola, oltre il gesto, per essere libera di riscrivere la propria storia, per "trasformare il mondo", avrebbe detto Beuys.
A breve ci sarà la prima nazionale, dall'8 al 13 aprile a Parma negli spazi di Lenz Teatro, per "Iphigenia in Tauride. Io sono muta" di Lenz Fondazione, cosa rappresenta nella sua essenza?
Ecco allora che "Iphigenia in Tauride. Io sono muta", l'assolo creato per Monica Barone che debutterà ben appunto l'8 aprile a Lenz Teatro rappresenta un capitolo ulteriore della nostra ricerca artistica. In questo caso la biografia di Monica aggiunge un plusvalore al tentativo di ricostruire un senso contemporaneo al linguaggio performativo, alla danza intesa come compiuta forma poetica del corpo e della voce, mai disgiunte da un disegno coreografico/drammaturgico di estrema precisione, sia tecnica sia formale.
Lenz Fondazione dove trova il nutrimento necessario per svolgere ricerca e sperimentazione?
L'aspetto che differenzia la nostra pratica di ricerca è il primato del disegno drammaturgico sulla nuclearità dell'improvvisazione relativa. Nella poetica di Lenz la forma degli esiti spettacolari è l'intreccio profondo tra la radice, il nucleo originario del testo e il suo svelamento attraverso la parola e il gesto dell'attore, la costruzione coreografica e performativa dei soggetti in campo. È un processo di lavoro che tende a costruire un ponte tra le visioni immaginifiche dell'irrazionale, potentissimo nei soggetti sensibili, e le azioni corporee e reali dell'esperienza teatrale.
Che evoluzione ha avuto nel tempo "Lenz Fondazione" e come si pone nell'attuale panorama artistico nazionale?
Fondata nel 2014 dalle Associazioni Culturali Lenz Rifrazioni e Natura Dèi Teatri, Lenz Fondazione ne raccoglie l'eredità storica continuandone l'azione di ricerca artistica, formazione, ospitalità nell'ambito delle performing arts e di quella che definiamo sensibilità, la disabilità, fisica o intellettiva considerata per le sue qualità espressive uniche.
Michele Olivieri