Intervistare Teo Teocoli è un vero piacere, perché come pochissimi altri mette le persone a proprio agio, scherzando irriverente come sempre, giocando con le parole con grande gentilezza e professionalità. Attore comico di grande esperienza, è stato testimone di quegli anni favolosi che sono, per il cabaret, i 60 e 70, con l’avvento del “Derby” e di personaggi come Jannacci, Beppe Viola, Cochi e Renato, Villaggio, Boldi, Toffolo, Andreasi, Lauzi, e a seguire Giorgio Faletti, Giorgio Porcaro, Abatantuono, Mauro Di Francesco. Il Teo nazionale si è distinto in mezzo a tutta la squadra, con le sue esperienze di ballerino, cantante (con I Quelli), attore di cinema, e appunto cabarettista dalle improvvisate geniali. In questi giorni è in giro con “Tutto Teo”, due ore di spettacolo puro, di intrattenimento intelligente e spassosissimo. Quella che segue è l’intervista semi seria fattagli a Vicenza, al teatro Comunale:
Benvenuto Teo: Cinquant’anni e più di carriera, immaginiamo tante soddisfazioni.
Si’, grazie a tutti. Devo ringraziare particolarmente anche Pietro Garinei che circa 16 anni fa, dopo che avevo fatto praticamente tutto, mi chiamò da solo al teatro Sistina, a Roma, per un mese, dove finii il periodo con diversi sold out, e lì mi convinsi che in questi anni la mia nuova strada sarebbe stata quella di fare gli spettacoli dal vivo, con il pubblico.
Nella tua vita tantissimi incontri, alcuni andati a finire nelle tue imitazioni, ma anche altri nomi di rango come Salvador Dalì, ad esempio.
E anche Gianni Agnelli, la Bardot…non so come mi sia capitato, forse perché ero simpatico e non avevo timori. E’ stato un periodo che ho vissuto con gran divertimento, era un mondo incredibile. Un aneddoto che ricordo con piacere, mi trovai a parlare, con la luna piena, con una donna bellissima di cui non posso dire il nome…vabbè, Jane Fonda. Non si ripeterà mai più, credo.
C’è stato un momento preciso dove hai capito di avere talento?
Non è una cosa che si capisce da solo, te lo fa capire il pubblico, che lo decreta. Anche stasera, qui a Vicenza, ad esempio, dopo mesi di chiusure e impossibilità, eccoci a riprendere lo spettacolo, è una prima vera, si ricomincia. Anche perché la pandemia è stata per tutti una disgrazia, per noi artisti poi figuriamoci. Io poi non so fare altro, mi sforzavo di pensare, fare altro in quei periodi ma è stato molto duro.
Come nascono i tuoi personaggi? E i testi?
Quelli li scrivono i miei collaboratori, io poi vado spesso a ruota libera perché mi piace improvvisare, è un po’ nella mia natura.
Teo Teocoli, oltre a Garinei, a chi deve dire grazie per la sua bella carriera?
Prima di tutto alla mia famiglia, che mi ha agevolato. Adesso, come dicevo prima, son quasi vent’anni che sto con lo stesso gruppo, che faccio spettacoli dal vivo ed è bello, siamo affiatati, i teatri sono pieni, ringrazio dunque tutti i miei validi collaboratori. E il pubblico naturalmente.
I tempi del cabaret, quegli anni di ripresa economica, felici, come erano vissuti? Che clima c’era?
Molto bello, cito il “Derby” che ho conosciuto e praticato molto, era un vero cabaret, forse l’unico, non per sminuire gli altri. Si ballava, c’erano i cantanti e i gruppi famosi, poi si toglievano le panche dal proscenio, e si ballava ancora, succedevano tante cose. E grandi ospiti, i Cetra, Bongusto, Charles Trenet, Amalia Rodriguez.
Un tuo cavallo di battaglia è il napoletano Felice Caccamo. Sappiamo che hai Napoli nel cuore.
La mia avventura in terra partenopea durò quasi un anno e mezzo, nel periodo che non volevo studiare. Mio padre si era messo in testa che diventassi ragioniere, ma proprio non mi conosceva, non aveva mai tempo di parlarmi, è stato in guerra, ha faticato nella vita, non è che mi stava tanto dietro. Sono cresciuto da solo, prendevo le mie decisioni e alla fine devo dire che ho avuto ragione. Un giorno decisi che non volevo più andare a scuola, ero in terza ragioneria, cantavo in quel periodo e decisi di andare a Napoli dai miei zii. Era una città che mi piaceva molto, sono stato benissimo lì, ho anche imparato il dialetto. Felice Caccamo diciamo che parte anche da lì, e da Luigi Necco.
Le tue imitazioni, e i tuoi personaggi inventati sono ormai cult, amatissimi dal pubblico. Quanti ne hai fatti?
Una decina li ho inventati, dopo Caccamo c’è Vettorello, Peo Pericoli, altri minori come il cantante più bello del mondo. Quelli che ho imitato sono molti ,una quarantina più o meno.
Hai lavorato anche nel cinema, nella commedia. Qualche aneddoto a riguardo?
Il cinema devo dire che l’ho in qualche modo scartato, negli occhi ho quei fenomeni che hanno fatto conoscere il cinema italiano nel mondo, quello era cinema. Nel 1975 ho fatto un film bello, con Steno, “Il padrone e l’operaio”, con Renato Pozzetto, poi feci anche un altro film carino, “L’Italia s’è rotta”, ma poi iniziò la serie dei Pierini, dei Carabinieri, e feci altre scelte, pur avendo fatto delle stupidaggini anch’io eh, non è che ho la puzza sotto il naso, ci mancherebbe. Come aneddoto, mi viene in mente che durante un film con Janet Agren, purtroppo, in una scena che le spaccavo in testa un vaso, le procurai una piccola ferita con tre punti di sutura.
Cantante, ballerino, showman, comico, ma c’è qualcosa che ti manca?
No, tutto quello che volevo l’ho fatto, forse, magari, potrei fare una cosa seria, drammatica, ma mi vien da ridere.
Le doti migliori da avere per essere un bravo comico?
Credo che siano innate, c ‘è chi impara a fare il comico e chi no. Anche l’aspetto conta, la faccia giusta, anche se dopo bisogna lavorarci, come facevamo con Massimo Boldi, che “massacravo” in tutti i modi, ci divertivamo molto.
Un esempio, un mentore che hai seguito, che ti ha ispirato?
DIrei che un po’ il mio ispiratore è stato Adriano Celentano, già a 14 anni mi accorgevo di assomigliargli in qualche modo, e poi avevamo le stesse passioni: il rock’nroll, i movimenti. E poi Enzo Jannacci, che mi ha portato in un’altra dimensione, il cabaret appunto. Poi è arrivata la tv, e adesso eccomi qua, col mio gruppo a ricominciare daccapo sperando che la salute duri.
In privato come sei Teo? Confermi la tradizione del comico malinconico e triste?
No, triste mai, faccio sempre ridere. Difatti tanta gente non mi chiama più neanche al telefono perché dico troppe battute.
Francesco Bettin