Fare l’attore è come andare alle giostre, per me. Mi diverto come un bambino. Anticipa così Gennaro Di Biase l’intervista che abbiamo realizzato a Napoli prima di una delle ultime repliche di Pinter Party, tre atti unici di Harold Pinter, diretto e interpretato da Lino Musella al Teatro San Ferdinando, di eduardiana memoria. Gennaro Di Biase è un attore curioso, che ama molto il proprio mestiere e lo fa con grande passione e l’anno prossimo festeggerà i suoi trent’anni di carriera. Interprete elegante e disinvolto, annovera nel suo curriculum cinema, teatro e tv. Ha iniziato con Tato Russo, poi ha lavorato con Carlo Giuffrè e sono davvero tante le produzioni che lo hanno visto sul palcoscenico. Prima di Pinter Party ha lavorato nell’Ispettore generale di Gogol, accanto a Rocco Papaleo. E per i prossimi impegni, di cui ci accenna, è già prontissimo. Siamo seduti in un bar di via Foria a Napoli.
Che ci dici di questo Pinter party, diretto (e interpretato) da Lino Musella?
Per ora abbiamo terminato le repliche, speriamo che il Teatro di Napoli lo possa riprendere. Il prossimo anno abbiamo tutti degli impegni, si pensa dunque alla stagione 2025-26. Un autore come Pinter, uno spettacolo con un manifesto politico così potente per me è proprio il compito principale di un teatro stabile, che dovrebbe sempre produrre progetti così.
E’ la prima tua volta alle prese con un testo di Harold Pinter?
Sì, la prima. E l’importanza di recitare queste parole nel teatro di Eduardo, che è stato un fautore del teatro politico, è magnifica. Perchè tutta la sua carriera, oltre al valore del grande commediografo in sè, il suo pensiero, era quella di costruire un teatro stabile a Napoli, dove far arrivare i grandi autori, i grandi testi. Eduardo ha fatto tutto questo con grandissimo sacrificio e spendendo i soldi di tasca sua, rilevando il San Ferdinando. Lino Musella fa in suo omaggio uno spettacolo emblematico, Tavola tavola, chiodo chiodo, dove racconta i sacrifici e la fatica messa da Eduardo, dopo aver comperato questo teatro che era una maceria dopo esser stato bombardato.
Un grande sforzo, quello di Eduardo.
Questo è un problema prettamente italiano, non è possibile che un grande uomo di teatro non sia stato aiutato da nessuna istituzione, per la cultura. Soprattutto uno come lui che in quel periodo era un autore contemporaneo tra i più grandi. Far risuonare queste parole di Pinter, così forti, in questo luogo non trova regalo più bello. Per me, attore, è un regalo meraviglioso. E poi stiamo parlando di uno dei più grandi drammaturghi del Novecento, Harold Pinter. Recitarlo è una grandissima soddisfazione. E’ sempre troppo poco rappresentato in Italia, difficilmente si mette in scena. A Londra ne troviamo tantissime messe in scena sue, ma purtroppo questi paragoni non possiamo farli…
Come attore si nota la tua poliedricità, il fatto di fare cose anche diverse tra loro, come un attore dovrebbe fare.
E’ una cosa che ho sempre cercato, fondamentalmente sono un essere umano molto curioso, e credo che per chi fa l’attore debba essere normale recitare Shakespeare come Molière o Miller, o appunto Pinter. E’ la ricerca continua, che per quanto mi riguarda sarà per tutta la vita cercare di ritrovarsi in questi grandi drammaturghi. Non ho un autore preferito, e questo aiuta molto la mia crescita di interprete, credo che l’attore non finisca mai di crescere perchè è come un eterno bambino, gioca. E farlo con le parole di questi grandi autori è meraviglioso.
Tu, napoletano del quartiere Arenella, a 18 anni partisti per Roma.
Sì, a quell’età già facevo l’attore, ero nella compagnia di Tato Russo, del teatro Bellini di Napoli, facevo già lunghe tournèe. Dopo due anni, dove si facevano 170/180 repliche l’anno, passai nella compagnia d Carlo Giuffrè, dove feci dieci anni di militanza teatrale arrivando a fare anche picchi di 400 repliche. Uno spettacolo, ad esempio è durato tre anni, era Miseria e nobiltà. Quella è stata un’epoca d’oro del teatro.
A proposito com’ cambiata la situazione? Che difficoltà ci sono oggi nel teatro?
E’ tutto molto cambiato, in quegli anni si facevano otto mesi di lavoro, due anni di programmazione con la stesso spettacolo e quindi c’era anche il gioco della ripetizione, che per un attore è importantissimo, per uno spettacolo più repliche si fanno e più lo stesso vive. Affinandosi e migliorandosi il personaggio che si interpreta lo si sente sempre di più, anche se i personaggi per me devono rimanere sempre fuori dalla scena.
Ma nascere a Napoli per un attore si può considerare un valore aggiunto o è una frase fatta?
Credo lo possa essere solo per un motivo, Napoli ha una sua storia teatrale molto forte, basti pensare alla Commedia dell’arte, a tutti i grandi autori che abbiamo avuto, Petito, Scarpetta, Viviani, Trinchera, fino ad arrivare a Enzo Moscato, al grandissimo Annibale Ruccello. Sperando che questa tradizione drammaturgica continui. Oggi infatti è molto difficile produrre il teatro contemporaneo, i teatri fanno molta fatica a farlo, tranne qualche eccezione. Guardando bene, in Italia a un certo punto gli autori si sono fermati, dopo Pirandello e Goldoni, Eduardo. La grande produzione si è fermata, anche se ci sono stati i nuovi autori, come quelli citati prima. Ma non si è mai più raggiunta una situazione internazionale, come per quei grandi. La commedia italiana più rappresentata nel mondo è stata Arlecchino servitore di due padroni di Goldoni, oggi un autore fa molta fatica a emergere. Non c’è una scuola di drammaturgia contemporanea. Devo dire che gli Stabili comunque stanno facendo molto per il teatro contemporaneo, a Napoli, a Milano. La nuova drammaturgia va aiutata, come Eduardo raccontava la sua Italia, quella che andava dagli anni Cinquanta fino ai Settanta, anche oggi abbiamo bisogno di autori, anche per il confronto con il pubblico, che si deve riconoscere in quello che va a vedere. Deve dirsi questa cosa è capitata anche a me, e capire il punto di vista del nuovo autore che può aiutare a vivere meglio, comprendere questo nostro mondo.
Che ruolo ha l’attore ai nostri giorni?
Sicuramente un ruolo importante. Un po’ a malincuore dico che in questo periodo storico, in questo paese gli attori sono un po’ maltrattati. In Francia, ad esempio si è molto più protetti, come in Belgio, in Germania. Li’ si è investito molto, e tanti anni prima, nel sistema culturale. Qui c’è stato un fermo e siamo ancora considerati tutti precari. Durante la pandemia abbiamo molto lottato, anche per avere questa famosa intermittenza che in Europa funziona perfettamente. Purtroppo è una categoria che non si mette molto d’accordo. Basterebbe copiare pari pari l’intermittenza francese e attuarla qui da noi, ma purtroppo l’ingranaggio qui è sempre molto lento, la macchina va piano, e quindi ci ritroviamo così. Come ho detto prima, il teatro di giro impegnava circa otto mesi con la stessa produzione, io quest’anno ad esempio sono già alla quarta produzione e mi sento fortunato, ma salto da un teatro all’altro. Si fa tanta fatica così.
Lo consideri comunque un mestiere privilegiato?
Sicuramente, perché dà la possibilità di rimanere bambino, ma con delle regole molto ferree. Il teatro in fin de conti è rigore, puntualità, studio, ma quando giochi in palcoscenico ritorni bambino. Dico sempre che andare a teatro è come andare alle giostre, per me. Un esempio concreto che mi riguarda? In questo Pinter party, Musella ambienta Party time in una festa in maschera, e io indosso il costume di Uomo Ragno, che non indossavo da quando avevo cinque anni. Ritornare a vestire quei panni è una gioia indescrivibile. Ma il gioco, questo gioco, è una cosa molto seria, va fatta bene, seriamente. E non si può bleffare.
Hai scelto questo mestiere anche per questo dunque?
Devo dire che non l’ho scelto io, ma mi ha scelto. Da bambino avevo una predisposizione a esibirmi, in famiglia imitavo i parenti, i nonni, gli zii, e a scuola lo stesso. Anche lì quindi ho iniziato a recitare, poi alle medie, alle superiori, era una vera vocazione. Far l’attore un mestiere che mi diverte e che mi arricchisce molto. Sono un perditempo per eccellenza, l’attore stesso lo è lo è, avendo tanto tempo a disposizione per studiare, informarsi, perfezionarsi.
La prima cosa che serve per intraprendere questa strada?
Lo dico sempre ai giovani che incontro, che vogliono cominciare: la curiosità. Quand’ero ragazzo sapevo a memoria tutti i programmi dei teatri di Napoli e gli attori di tutte le compagnie del teatro italiano. Ho sempre osservato molto, sono prima spettatore e poi attore. E penso che bisogna sempre vedere tanto teatro, sia bello che brutto, si impara sia da uno che dall’altro. Anche dopo otto ore di prove io vado a teatro, è il mio luogo, la mia condizione ideale. Ci sto benissimo.
Come si vince la ripetitività?
La routine non esiste, tutte le sere è diverso. Come diceva Louis Jouvet la ripetizione è importantissima, più i personaggi crescono più la compagnia si amalgama meglio. E il risultato migliora.
Ma il rischio di annientare la propria personalità c’è?
No, ci sono tanti metodi per interpretare un personaggio, ogni attore ha il suo. Io preferisco il classico metodo all’italiana, di un grande maestro come Orazio Costa. Pensa ai bambini, in un momento passano da essere guardie e ladri a commessi di un negozio. Ecco, quello è lo spirito che bisogna mantenere. La trasformazione che deve avvenire per un istinto creativo.
Altre doti necessarie?
L’adattamento, nel senso di sapersi adattare a una vita da girovago. Ci vuole un forte spirito, una grande volontà. L’anno prossimo festeggerò trent’anni di teatro. Sai, anni fa non pesava girare continuamente ma ora questa cosa la sento. Però al tempo stesso è sempre un grande piacere farlo, andare in giro per questi nostri teatri. E’ dunque una vita di sacrificio ma anche divertente, che apre al mondo, all’umanità. E l’attore dev’essere molto aperto. Deve osservare, andare in tram, in metropolitana, stare in mezzo alla gente perché poi dobbiamo ricreare sul palcoscenico. E il teatro, ricordiamolo, senza pubblico non esiste, si fa a due, con gli spettatori. Anche se ce n’è uno solo che viene a vederti.
Veniamo ai tuoi progetti.
Dopo questa grande esperienza con Lino Musella, che è un grande attore e un intellettuale popolare, farò a luglio Amleto, che aprirà la stagione shakespeariana al teatro Romano di Verona, con Franco Branciaroli, Francesco Montanari, Sara Bertelà, Francesco Acquaroli, con la regia di Davide Sacco. E la prossima stagione sarò in scena ne La grande magia, di Eduardo, prodotto dal Teatro Bellini di Napoli con la regia di Gabriele Russo, con Michele di Mauro e Natalino Balasso. Sono molto contento di ritornare a fare Eduardo, con un testo della grande drammaturgia europea. Inoltre su Sky sono nella serie Il re diretto da Giuseppe Gagliardi, che è alla seconda stagione, con Luca Zingaretti, Anna Bonaiuto, Barbora Bobulova.
Francesco Bettin