Corriere Lombardo, 25 gennaio 1949
La galante marchesa. E perché no vent’anni prima? Ecco qua un’altra delusione. Mica molto di più ma sullo spirito e sulla eleganza di Noel Coward eravamo certi di poter sempre contare. Ci eravamo sbagliati. Pazienza.
La marchesa Eloisa di Kestourhel o qualche cosa di simile, poco importa tanto già – coerente in questa con la commedia – essa non è nemmeno una marchesa autentica, la marchesa Eloisa dunque, tutto quello che aveva da fare lo ha fatto vent’anni prima quando fece girare la testa a due gentiluomini, un conte inglese e un duca spagnolo ai quali regalò rispettivamente una contessina e un duchetto per poi scomparire. Da allora ha conservato il temperamento galante, ma ha rinunciato alla professione che prometteva di riuscirle così bene. Più nessuno, ma proprio nessuno, povera donna. Perché? Dipende. Può essere un mistero della psicologia e può anche essere perché altrimenti non si poteva fare il terzo atto. Personalmente noi propendiamo per la seconda spiegazione.
Questi fatti sono accaduti nel 1746. E qui ci casca un secondo perché. Perché nel 1746? Se possedete un minimo di furberia lo capite subito. Potevano forse accadere
nel 1246? Evidentemente no. I personaggi del 1246 hanno da pensare alle crociate e ai tornei. Potevano accadere nel 1546? Nemmeno. Il Cinquecento è tutto occupato dai “carnasciali” e dalle maggiolate. Nel 1646? Men che meno. Tutto impegnato dai pennacchi e dalle “preziose”. Nel 1846? Nemmeno parlarne: chiaro di luna, sospiri e tubercolosi non lasciano libero un centimetro di spazio. Nel 1946? Con la svalutazione che corre dei titoli nobiliari, gli scioperi e le crisi della democrazia forse? Come vedete, non restava che il Settecento. A parte il fatto che i costumi a quell’epoca fanno sempre un gran bel vedere, solo il guardinfante, le parrucche e le velade ricamate potevano ospitare i casi della galante marchesa ed i suoi amici.
Quando il sipario si alza siamo già nel 1766. I due aristocratici non hanno più saputo nulla della antica ammaliatrice, si sono sposati, sono rimasti vedovi e abitano a un tiro di schioppo l’uno dall’altro. Mi sono dimenticato di avvertire che essi hanno, come si dice, messo in ditta delle loro ex-consorti i figli avuti con Eloisa. Essi non sanno l’uno dell’altro e pensano di sposare insieme i due ragazzi. I quali, avendo disposto altrimenti del loro cuore, non ne vogliono sapere: Tutto è pronto, come vedete, perché la marchesa possa ricomparire. Ciò che avviene puntualmente. Essa manda a monte l’incestuoso matrimonio, sposa sui due piedi la ragazza e la spedisce a Parigi insieme all’uomo del suo cuore, ammansisce i due padri e si fa sposare dal più burbero e spinoso di loro.
Di fronte a commedie del genere il recensore informato ha l’obbligo di pronunciare la parola marivaudage. Ma è assolutamente sprecata. Colui poi che per la fuga a Parigi dei due ribelli nella carrozza del vecchio pensasse alla Manon e per le bizze e le baruffe dei due aristocratici gelosi e domati dalla stessa donna avesse il coraggio di ricordare La locandiera, quegli poi dovrebbe essere severamente ammonito dalla questura.
Il successo assai vivo dopo il primo atto è andato affievolendosi in seguito. La commedia è stata salvata dalla esecuzione colorita, arguta, elegante e fastosa, allestita da Gherardo Gherardi. Evi Maltagliati, Carlo Ninchi e il bentornato Nerio Bernardi hanno composto un terzetto insuperabile al quale Anna Ninchi, il Bianchi, il Baghetti, il Conti, il Lotti hanno fatto degna corona.
Due perle rare. Nella commedia si parla di “romanticismo” e di caffè che “sta passando”. Che nessuno: né l’autore, né il traduttore, né il regista, né gli attori si siano accorti del primo anacronismo è grossa, ma non fa male a nessuno. Ciò che offende profondamente la nostra fedeltà al caffè ristretto è piuttosto che essi credono che nel 1766 esistessero le macchine espresso. Le marchese galanti sono quel che sono ma il caffè è una cosa seria, signori.
Carlo Terron