martedì, 30 aprile, 2024
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Per REGGIO PARMA FESTIVAL dedicato a MAGUY MARIN “La passione dei possibili”. -di Valeria Ottolenghi

“May B” “May B”

Per Reggio Parma Festival dedicato a Maguy Marin “La passione dei possibili”
A Reggio Emilia la bellissima mostra “Diario sulle condizioni umane” e il non-teatro “2023”

Un assoluto divario tra la mostra fotografica “Maguy Marin: diario sulle condizioni umane” esposta al Ridotto del Teatro Valli con le immagini di Piero Tauro dagli spettacoli della coreografa cui si è voluto dedicare il Reggio Parma Festival 2023, “La passione dei possibili”, e lo spettacolo, presentato sempre a Reggio Emilia, alla Cavallerizza, “Deux Mille Vingt Trois”, come titolo questo anno che stiamo vivendo. Di assoluta eleganza e potentissima teatralità le foto, i corpi esposti in scena, carichi dell’ambiguità delle grandi opere, maschere, azioni collettive, figure stravolte, magnifiche visioni. Senza un attimo di danza se non per uno pseudo girotondo iniziale sul fondo della scena, e neppure un briciolo, una sfumatura di teatralità in “2023”. Un’immane delusione, numerosi i “buu” alla fine, appena contrastati, a fatica, da qualche applauso. Molti erano venuti da lontano per lei, Maguy Marin. Quante volte si era visto “May B” senza che mai ci si stancasse? Denso di pensiero anche nei silenzi, immagini sconvolgenti, un ritmo sotterraneo di commovente fascino. Già aveva deluso, non poco, “Singspiele”, presentato a Parma, protagonista il figlio della Marin, David Mambouch, ma con “2023” davvero si resta sconcertati. Sicuramente molto, molto amareggiati. Se ne fa dunque qui solo una breve descrizione conservando il massimo rispetto possibile per un’artista che ha certamente segnato meravigliosamente la storia della danza del secolo scorso. Una sorta di relazione/ saluto, cercando di mantenere salda la memoria su altri incontri, sì, “May B” innanzi tutto, la prima volta molti anni fa, una folgorazione davvero mai dimenticata.

Ecco: quel B era per Beckett, condiviso nella danza il senso della fine, del naufragio. L’agonia delle ultime parole, tentativi d’esperienza di vita nella consapevolezza della vanità grottesca e dolorosa dell’esistenza, diventava con Maguy Marin azione collettiva, una serie di movimenti e di gesti dallo stesso senso, attori che si agitano sulla scena sapendo, con Macbeth, che nulla, nulla ha significato. Grande arte in Beckett, così nella coreografa un tempo. Branchi d’umanità infelice, la bellezza dei testi dell’assurdo - e del teatro danza - come emozionante consolazione. Ora non più. In “Deux Mille Vingt Trois”, crolla un muro di nomi (con Trump naturalmente, e Berlusconi), un gran fracasso - atteso - e un bel disordine in scena. Una giovane donna legge a lato, sfogliando una sorta di gran quaderno, delle tante nefandezze di uomini politici e magnati dell’industria, citando un po’ di tutto, dal disprezzo per le donne alla crudeltà della polizia, vagando nello spazio - tutto molto legato alla Francia, ma non mancano gli esempi Usa - e nel tempo (così ben considerato Napoleone!). Sullo schermo i volti, ma soprattutto la macchina che sforna soldi. Un triangolo di voci: altre due persone fanno da eco alla lettrice o riprendono le dichiarazioni di questo o di quello. Un’ora e mezza di nulla, di una lentezza e monotonia insopportabili. Intanto con delle pile altri spostano quei mattoni lignei per una specie di ordine finale. Ogni tanto passa in proscenio una figura orientaleggiante con maschera, un ventaglio di dollari, in testa segnali di potenza/ prepotenza, aereo, carro armato, nave…Neppure andando indietro nei decenni si era visto uno “spettacolo” (?) politico tanto faticoso, ridondante, inutile. Che peccato!

Ultima modifica il Giovedì, 07 Dicembre 2023 19:42

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