Intervista di Mario Mattia Giorgetti a Gigi Giacobbe autore del libro “Bob Wilson in Italia” edito dalla CuePress di Imola-Bologna.-
Gigi Giacobbe da oltre undici anni collabora alla rivista Sipario, e puntualmente ad ogni stagione segue spettacoli in Sicilia e in varie città d’Italia compresi i Festival che vengono proposti.
Giorgetti: Quando scopri il regista Bob Wilson e quale è stato il primo spettacolo che hai visto?
Giacobbe: «Bob Wilson non è solo un regista ma un artista totale per il quale ogni spettacolo diventa un’opera d’arte unica e da incorniciare. Io l’ho scoperto la prima volta non in Teatro ma durante la Biennale di Venezia del 1993 quando nei Granai delle Zitelle si rese protagonista d’una installazione denominata Memory Loss, nella quale appariva la figura di un uomo col cranio rasato, cinto da un elmo di pelle, infossato fino alle spalle dentro un cretto fangoso. Lessi dopo che l’opera s’ispirava ad una lettera che Heiner Müller scrisse a Wilson nel 1987, dove descriveva una tortura mongola per trasformare i prigionieri in schiavi, strumenti senza memoria, appunto interrandoli nella steppa ed esposti al sole che essiccava l’elmo di pelle di cammello restringendosi sempre di più attorno alla testa, sicché i capelli erano obbligati a crescere all’interno del cuoio capelluto e così dopo cinque giorni, se il prigioniero sopravviveva, perdeva la memoria diventando un lavoratore che non causava problemi. L’anno seguente, nel giugno del 1994, ebbi modo di conoscere personalmente Bob Wilson proprio nella mia città, Messina, grazie a Gioacchino Lanza Tomasi, a quel tempo direttore artistico del settore musicale, che aveva inserito nel programma di quella stagione Alice ispirato all’opera di Lewis Carrol con le musiche di Tom Waits e Wilson a dipingere lo spettacolo con le sue magiche luci. Ricordo che, affascinato oltremodo dai colori delle varie scene, riuscii nell’intervallo a intervistare Wilson e pubblicare l’articolo alcuni giorni dopo sul Giornale di Sicilia, col quale collaboravo da alcuni anni e che è stato inserito nel libro a lui dedicato»..
Giorgetti: Quali sono gli altri spettacoli che hai seguito di Bob Wilson?
Giacobbe: «In quell’intervista accennata prima, Wilson mi diceva che stava preparando per il Festival di Gibellina, direttore artistico era Franco Quadri, uno spettacolo sulla figura di Thomas Stern Eliot e sul suo poema La terra desolata, sintetizzato con l’acronimo del suo none e cognome, appunto TSE, andato poi in scena in prima mondiale nel settembre dello stesso anno (1994) nel Baglio delle Case Di Stefano di Gibellina Nuova, che gli spettatori potevano seguire in piedi tra cumuli di sabbia e da varie angolazioni, come riferisco in una delle mie recensioni inserite nel libro in oggetto. Da Alice e TSE in avanti e sino al 2022 ho cercato di non perdere gli spettacoli di Wilson in qualunque Teatro italiano venissero rappresentati. In tutto se ne possono contare ventisei e si possono leggere di seguito nel libro».
Giorgetti: Ci puoi spiegare il fascino, sia estetico, sia dei contenuti, sia drammaturgico, che hai provato per questo regista, al quale hai dedicato un libro?
Giacobbe: «Come ho scritto in varie occasioni, ogni spettacolo di Wilson è un evento, un unicum che t’infonde allegria e un senso di benessere. Hai la sensazione di compiere un viaggio nel mondo dei sogni dove ogni cosa si può compiere, devi solo lasciarti andare, rilassarti e avverti che gli occhi ti sorridono e le orecchie vanno in giuggiole. Niente è casuale. Tutto è programmato, studiato nei minimi particolari. Le quinte e il fondo scena assumono tutti i colori d’una tavolazza. L’azzurro eccelle sugli altri, ma non mancano le varie tonalità dei rosa e dei viola. Le scene poi sono rigorose, dritte, geometrizzate, raramente flessuose, mentre gli attori hanno un trucco pesante, espressionista direi, altre volte sembrano sculture della pop art, in accordo con i costumi, sempre perfetti, fantasiosi e rigorosi. Quanto poi ai loro movimenti seguono rigorosamente le direttive di Wilson in accordo con una recitazione astratta, senza enfasi, efficace tuttavia, preferendo lavorare in particolare con gli attori tedeschi del Berliner Ensemble che per Wilson sono i migliori in senso assoluto, avendo tuttavia con Isabelle Huppert un filing particolare d’intesa e di stima. Del resto è lui stesso a dire che il suo Teatro è in gran parte formale, non interpretativo. È successo pure, alcune volte, che Wilson abbia vestito lui stesso i ruoli di alcuni personaggi, non trovandoli, a mio avviso, soddisfacenti nel panorama teatrale internazionale. Ed eccolo al Goldoni di Venezia calarsi da solo nei panni di Amleto, di Krapp nell’ultimo nastro di Beckett o tingersi tutto di bianco in Lecture on nothing di John Cage, quest’ultimi due messi in scena al Teatro Caio Melisso di Spoleto».
Giorgetti: Secondo te il ruolo dell’attore, per Bob Wilson, è messo in risalto, cioè è protagonista, oppure viene ridotto a puro elemento figurativo?
Giacobbe: «Come dicevo prima il ruolo dell’attore per Wilson è prettamente formale, non deve essere spontaneo e la sua spontaneità deve risaltare dal fatto che esegue dei movimenti precisi, quelli indicati da Wilson. Forse questo metodo può essere frustante per un attore con un carattere particolare e una personalità ben precisa. Ma è così, altrimenti non lavori con Wilson, per il quale, credo, che l’attore sia come un colore di un tubetto spremuto dalle sue dita, che verrà poi sparso sulla tela secondo i suoi desideri e come piace meglio a lui. Il Teatro per Wilson è il lavoro di un artista cui associa movimenti, parole, luci, suoni, immagini e dove possono incontrarsi tutte le forme d’arte, comprese la musica, la danza e la recitazione».
Giorgetti: Trovi che Wilson sia al servizio della parola teatrale o di un linguaggio carico di effetti scenici?
Giacobbe: «Per i suoi spettacoli credo che Wilson parta sempre da un testo scritto, dove le parole raccontano una storia, come è successo per L’opera da tre soldi di Brecht, per l’Odissea di Omero e per gli altri suoi lavori, verso i quali lui interviene personalmente con l’aiuto di suoi collaboratori fidati che confezionano tutto il plot. Certamente poi lo spettacolo assume i connotati di cui ho accennato prima, dove l’illuminotecnica gioca un ruolo importantissimo, come quando d’un protagonista viene messo in risalto solo il volto illuminato di verde, di viola o di rosso o altre parti del suo corpo e le musiche, invero sempre originali e accattivanti (spesso quelle di Philip Glass, Hans Peter Kuhn, Tom Waits, Kurt Weill, Lou Reed, John Cage o dei CocoRosie di Jungle book, l’ultimo spettacolo visto alla Pergola di Firenze) danno un senso compiuto ai suoi spettacoli».
Giorgetti: Hai dedicato un libro a lui, americano, e non a uno dei grandi registi italiani: Strehler, Ronconi e altro. Perché?
Giacobbe: «Ho pensato alla domanda che mi poni, ma come tu sai io abito a Messina e raggiungere Roma o Milano, Avignone, Parigi etc.. è sempre una fatica non soltanto fisica, soprattutto per gli spostamenti in treno o in aereo. Certo mi sarebbe piaciuto fare un libro su Strehler o Ronconi che ho conosciuto meglio e in varie occasioni e mi piacerebbe adesso fare un libro su Carlo Cecchi, col quale ci sentiamo per telefono, ma lui abita nella periferia romana e dovrei trasferirmi io da quelle sue parti visto che conosco il suo aspetto oblomoviano. Non lo so. Vedremo».
Giorgetti: Dedicarsi ad un libro, lo si fa per dare una conoscenza verso i lettori, oppure per soddisfare il proprio ego di critico?
Giacobbe: «Credo che sia per entrambe le cose, sulle quali predomina, parlo per me, la mia curiosità innata. Conoscere l’altro è un modo per conoscere sé stessi, lo diceva pure Socrate mi pare, ma nel caso specifico è un modo per avere una conferma di ciò che pensi dell’altro, sia sulla scena che nella vita di tutti i giorni. Insomma la mia curiosità predomina sulla vanità verso i lettori. Nel caso di Bob Wilson, ad esempio, anche se ci siamo incontrati tante volte, mi è mancata la parte umana del suo carattere, sapere molto di più di ciò che viene narrato nelle sue scolorite biografie, Questo anche per colpa mia visto che, a differenza del francese, conosco male l’inglese e non riesco a fare una normale conversazione».
Giorgetti: Dopo la pubblicazione, quali sono gli eventi che hai messo in atto per diffonderlo, promuoverlo?
Giacobbe: «Una volta pubblicato il libro ho cercato di farlo conoscere nella mia città, Messina, presentandolo in un locale all’aperto che si chiama ‘A Cucchiara, giusto accanto al centrale Duomo attraverso i commenti del critico Franco Cicero e di Dario Tomasello, docente di letteratura e Teatro nell’Università cittadina, leggendo l’attore Gianfranco Quero qualche pezzo del libro. È seguita poi la presentazione all’interno del Festival Primavera dei Teatri di Castrovillari e certamente ci saranno altri luoghi dove presentare il libro».
Giorgetti: Chi ha la distribuzione del libro e che tiratura ha fatto l’editore?
Giacobbe: «Prima di rispondere alla tua domanda, debbo dire che ero in apprensione circa la pubblicazione di questo libro, anche perché, tranne un testo di Franco Quadri, non è che esistessero libri su Bob Wilson. Ma ciò che m’incoraggiava era di sapere che nessuno lo aveva concepito nel modo che ho fatto io: quello cioè di riportare le recensioni dei suoi spettacoli in tutte quelle città italiane dove lui aveva lasciato il segno e io l’avevo seguito come un segugio. Sul modo poi come impostare il libro mi ero sentito con la mia amica Rita Cirio, noto critico teatrale de l’Espresso, e lei, incoraggiandomi, mi diceva che mi avrebbe inviato un articolo su Wilson riguardo ad una sua mostra di sedie a Parigi, (Wilson come è noto è un collezionista di tale oggetto), assieme ad una curiosa intervista fatta da Umberto Eco. Ho trovato poi tra le carte un articolo di Achille Bonito Oliva, che poi ho inserito nel libro e sono stato incoraggiato pure da una bella prefazione di Dario Tomasello e da una post-fazione, altrettanto bella, di Roberto Andò. Quando poi mi sono sentito per telefono con Mattia Visani, direttore della CuePress, che trovava oltremodo interessante pubblicare il libro, ho lanciato un grido di gioia. E così la CuePress ha distribuito il libro in tutta l’Italia, non conosco la tiratura che è stata fatta, ma credo che tutte le librerie, anche se non esposto in vetrina, come ha fatto Bonazinga di Messina, possono soddisfare ogni richiesta dei lettori».
Mario Mattia Giorgetti