Profili di foglia
di Stefano Mecca
Una volta a me piaceva andare in un parco non molto lontano da qui.
E mi piaceva stare su una panchina verde diversa dalle altre panchine verdi, la mia non aveva scritte o graffi; sulle altre c’era Luisa ama Luca, Carlo ama Laura, c'era sempre qualcuno che scriveva di amare qualcuno.
Andavo là quasi tutti i giorni, se non pioveva.
Dalla mia panchina guardavo le persone, ma quella volta così per caso, ho abbassato lo sguardo e mi sono perso a fissare una foglia rossa caduta sulla mia panchina, sembrava il profilo di un volto, era un uomo con le rughe: la fronte, il naso, la bocca, il mento. C’era tutto. E’ così che ho iniziato la mia collezione di profili di foglia, oggi ne ho quarantasette e li tengo a casa in un grosso libro.
Lo so, quelli che mi vedono guardare per terra e raccogliere le foglie penseranno che sia un po’ matto. Anch'io lo penserei al loro posto.
Un pomeriggio di ottobre camminavo nel parco con gli occhi bassi, non guardavo più le persona, quando così per caso ho alzato la testa, mi sono trovato davanti gli occhi più grandi e più verdi che abbia mai visto, e capelli neri che scendevano fino alle braccia.
«Mi è caduta una cosa qui, non riesco a trovarla», ha detto lei, e poi: «Ma quello sembra il profilo di un uomo con la barba a punta».
Io avevo in mano un foglia gialla.
Le ho raccontato della mia collezione, lei mi ha raccontato dei suoi viaggi.
Quando ci siamo salutati era sera.
«Spero di rivederti presto», mi ha detto prima di andare.
Vedo ancora quei lunghi capelli neri che ondeggiano sulla sua schiena.
Il giorno dopo sono ritornato nel parco alla stessa ora, con la mia collezione di profili di foglia. Sono andato nello stesso posto in cui ci siamo sorrisi la prima volta. Accanto a un albero ho visto luccicare qualcosa: era un braccialetto d’ar-gento con sopra inciso un nome: Clarissa. In mezzo a tutto quello che ci siamo detti, mi ero dimenticato di chiederle il nome. Clarissa. E il braccialetto doveva essere quella cosa che le era caduta e che non trovava più.
Sono andato tutti giorni al parco, anche quando pioveva, con il mio libro di foglie e il braccialetto. Ho passati sei mesi così, poi ho smesso. Non sono più andato in quel parco non lontano da qui.
La mia panchina, adesso, è diventata come le altre: c’è inciso Clarissa. Solo il nome. E il suo profilo disegnato con un pennarello verde.