Intorno ad Ifigenia,
liberata progetto e drammaturgia di Angela Demattè e Carmelo Rifici (regista)
nella Sala Frau di Spoleto, nel 60° Festival dei due Mondi
All'inizio un'equipe teatrale sta provando alcune scene, riprodotte pure in monitor, tratte dalla Genesi, durante le quali tre ominidi ne hanno ammazzato un quarto. Regista, drammaturga e assistenti dissertano sull'origine violenta della nostra razza e per non utilizzate quella sola fonte pensano ad altri accostamenti scegliendo di utilizzare l'Ifigenia in Aulide di Euripide come testo principale. Ecco dunque il regista Tindaro Granata, invero a suo agio anche in questo ruolo, dare indicazioni ai vari protagonisti agghindati non con abiti di scena, ma così come vestono a loro piacere tutti i giorni. Lo spettacolo titolato Intorno ad Ifigenia, liberata, ispirato a scritti di Nietzsche, Girard e testi classici compreso Eraclito e Omero, drammatizzato da Angela De Mattè e Carmelo Rifici, quest'ultimo pure regista, è andato in scena nella Sala Frau di Spoleto sotto forma di mise-en-espace, un po' come avviene nei Sei personaggi pirandelliani in cui il regista interrompe la prova quando pensa che qualcosa vada cambiata. Dunque una sorta di teatro nel teatro con esiti ragguardevoli per l'intelligenza dell'operazione e per il cast tutto all'altezza, in grado di affascinare e coinvolgere il pubblico. Certamente l'Ifigenia è un testo cruento, ricco di contrasti psicologici che si può condensare in quel che la dea Artemide dice ad Agamennone per bocca dell'indovino Calcante (Giovanni Crippa) che risuona come una forma di ricatto: " Se tu non sacrifichi a me tua figlia Ifigenia i venti saranno sempre contrari alla navigazione e le tue navi non potranno partire per la guerra di Troia". A questo aut-aut un padre pacifista avrebbe mandato a quel paese dea, navi e spedizione bellica e non avremmo poi studiato a scuola l'Iliade, accontentandoci forse solo dell'Odissea o di quell'episodio della Genesi (22,2-13) in cui si racconta di Dio che per mettere alla prova la fede di Abramo, gli ordina di sacrificare sul monte Moriah il proprio figlio Isacco e quando l'uomo sta per sgozzarlo un angelo scende a bloccarlo e gli mostra un ariete da immolare come sacrificio sostitutivo. Episodio, guarda caso, che riguarda l'epilogo dell'opera euripidea, quello del sacrificio di Ifigenia, pare opera postuma d'un Bizantino, in cui la fanciulla viene salvata da Artemide e sostituita con una cerva. Un coup de théâtre se si vuole che qui nessuno ha pensato di mettere in atto, anche perché non era il caso visto l'andamento dello spettacolo. Tuttavia raccontato qui nel finale allorquando il palestrato Menelao di Vincenzo Giordano si presenta in completa divisa di comandante argivo e racconta come Ifigenia, vero capro espiatorio, è stata salvata dalla dea preferendole una semplice cerva. Simpatiche e divertenti le due corifee in abito giallo (Caterina Carpio e Francesca Porrini) che giocano con l'hula hoop; pieno di rabbia è l'Odisseo di Igor Horvat; Anahi Traversi è un'Ifigenia piangente che gradualmente assurge ad eroina accettando di morire per la sua patria; Giorgia Senesi incarna una Clitennestra forte e volitiva, fedele ancora a suo marito Agamennone (quello col cuore spezzato di Edoardo Ribatto) e indispettita parecchio perché la dea ha scelto per il sacrificio la sua Ifigenia e non una figlia qualunque di suo cognato Menelao. Completavano il cast la drammaturga in tailleur nero Mariangela Gramnelli, il musicista Zeno Gabaglio, il direttore tecnico Sarah Chiarcos.
Gigi Giacobbe