Camurria
scritto-diretto-interpretato da Gaspare Balsamo
alla 2ª Edizione de "Il Cortile - Teatro Festival" di Messina 23-24 luglio 2018
diretto da Roberto Bonaventura in collaborazione con Giuseppe Giamboi
Si 'na camurria è un'espressione tipica siciliana per indicare che un lui o una lei è una seccatura, un rompiballe, una camola quasi, un insetto fastidioso da cui è difficile staccarsi. Come lo è stato Gaspare Balsamo da bambino quando voleva che i nonni, gli zii, i parenti e amici dei parenti, gli raccontassero le proprie storie e quelle del suo paese (lui è di Erice), vere o inventate, che sono rimaste sedimentate nella sua memoria sino a quando non ha deciso di fare teatro e recuperare quel patrimonio orale e rendere poi quei racconti reali veri vivi e vitali. Un teatro, quello di Balsamo, popolare nel vero senso etimologico, rivolto a tutti, in un dialetto trapanese comprensibile a piccoli e adulti, in cui ognuno fa un tuffo nel proprio passato, certamente diverso da quello di Balsamo, costellato di Pupi e Marionette che lo hanno accompagnato nella sua vita di cuntista e di singolare uomo di spettacolo, cui gli è stato da maestro il grande Mimmo Cuticchio. Dopo il successo ottenuto l'anno scorso con U Ciclopu, Giufà e Firrazzanu, Gaspare Balsamo sempre in stile one-man-show e nello stesso luogo, ovvero il Cortile di Palazzo Calapaj-D'Alcontres di Messina, ci offre adesso il suo Camurria, ampiamente rappresentato in passato in molte città della penisola, ma non a Messina, giusto per far conoscere il suo percorso artistico che certamente non si fermerà qui. Il pregio di questi cunti è l'abbondanza di particolari, pure sotto forma di voci registrate, come se i soggetti fossero lì davanti con i loro modesti abiti che avvolgono i propri corpi sicchi e sucati dal tempo comprese rughe e capelli bianchi, vissuti a cavallo delle due guerre. Ecco la nonna che attraversa lo Stretto di Messina chiudendo i pollici fra l'indice e il medio per allontanare il malocchio e recuperare la salma del figlio morto in guerra. Poi pare di vederlo il nonno che s'avanza in tutta sua autorevolezza, contento d'essere presente agli spettacoli dei pupi allestiti nel teatrino di Don Federico Lucchesi, il quale poi l'avvierà a suonare il pianino a cilindro fino a farlo diventare un vero puparo, imitando i suoni del lamento, delle battaglie e del galoppo, avendo ben presente che i pagani stanno a destra, i cristiani a sinistra guardando la scena. Poco meno di un'ora in compagnia d'una zia orba di 90 anni, che non era sua zia ma moglie di quel puparo Lucchesi, l'entusiasmo degli spettatori agli spettacoli dei pupi, il tifo per Orlando e Rinaldo e Carlo Magno, l'odio verso il traditore Gano di Magonza: ci fu qualcuno che dopo aver comprato questo pupo, per il troppo odio accumulato, gli sparò col suo fucile facendolo a pezzi. I paesani, come il tifo per Bartali e Coppi, si distinguevano in Orlandisti e Rinaldisti e un barbiere fanatico addirittura affibbiò ai suoi due rasoi i nomi di Fusberta e Durlindana, le spade dei due paladini. Tutti erano innamorati de La Chanson de Roland e la voce di Balsamo incanta gli spettatori quando diventa sincopata, cantilenante come una nenia e quando si aiuta con colpi di piede sulla piccola scena a scandire versi e metriche poetiche. L'epilogo dello spettacolo ricorda un po' quello che è successo al Nuovo Cinema Paradiso di Tornatore, quando appunto l'arrivo della televisione stravolge gli animi e le teste dei cittadini e la festa popolare dei Pupi e del Cinema si tramuterà in un rito privato consumato al chiuso delle proprie case senza confronto e senza più dibattito.
Gigi Giacobbe