Serata Stravinskij
Les Noces
Scene coreografiche russe con canto - libretto e musica: Igor Stravinskij
coreografia: Bronislava Nijinska
Le Sacre du Printemps
Quadri della Russia pagana - libretto Igor Stravinskij e Nicholas Roerich
musica: Igor Stravinskij
coreografia: Léonide Massine
prima italiana
Reggio Emilia, Teatro Valli, 13 aprile 2007
Rudolf Nureyev anni fa raccontava di essersi messo a piangere dalla commozione quando aveva visto le Noces di Bronislava Nijinska al Covent Garden di Londra. E aveva deciso di fare entrare quel balletto all’Opéra di Parigi di cui ai tempi era direttore. Di lì il titolo è emigrato poi al Ballet de l’Opéra National di Bordeaux, diretto da Charles Jude, étoile e stretto collaboratore di Nureyev a Parigi, che lo ha portato al Teatro Valli di Reggio Emilia. Anche così si trasmettono i capolavori. E Noces non è solamente un capolavoro sulla tostissima musica di Stravinskij per coro, solisti, quattro pianoforti e percussioni ispirato ai rituali delle nozze contadine russe. È un grumo inestricabile di storie personali e artistiche. Perché Noces nel 1923 non sarebbe nato per i Ballets Russes di Djagilev, se dieci anni prima Nijinskij, il molto più famoso fratello di Bronislava, non avesse scandalizzato il bel mondo parigino con la sua rivoluzionaria Sagra della primavera che raccontava una lugubre Russia pagana dove i danzatori avevano piedi e braccia rivolte all’interno, saltavano pesantemente, danzavano spesso in cerchio e si bloccavano in pose rigide.
Non ci sarebbe stato Noces se i fratelli Nijinskij, da piccoli, non avessero a fine Ottocento battuto fiere e teatri della sterminata Russia insieme al padre Thomas, danzatore, che insegnava loro balli contadini e danze di carattere. E ancora non ci sarebbe stato Noces se la Nijinska ai tempi della Rivoluzione bolscevica e della Guerra Civile non fosse rimasta bloccata in Russia a contatto con le innovazioni d’avanguardia. La lezione del costruttivismo emerge chiara dall’uso dei danzatori a blocchi, dalla costruzione di insiemi elaborati, formati da più interpreti, dalla stilizzazione, dalla angolarità dei motivi folkloristici; ma anche dal palchetto della scena finale dove trovano ospitalità sposi e parenti, mentre in proscenio danzano i contadini.
Perché è il triste rituale dell’abbandono della casa paterna da parte della fanciulla verso un futuro ignoto con i nuovi parenti, con un promesso sposo di cui non sa nulla che sta alla base di Noces. La Russia contadina non è colorata e allegra, ma severa (non un sorriso sul volto dei danzatori) e triste nei costumi marroni e bianchi di Natalia Goncharova. E anche l’uso delle punte, voluto da Djagilev per accontentare il pubblico più tradizionalista, accentua la verticalità della danza delle fanciulle.
A confronto impallidisce la versione edulcorata della Sagra della primavera realizzata nel 1920 da Leonid Mjasin. Il danzatore, nuova stella dei Ballets Russes, e futuro grande coreografo aveva il compito di rendere più digeribile il balletto che nella versione di Nijinskij era rimasto sullo stomaco dei parigini. Tutto è più banalizzato. Ogni sequenza perde di forza drammatica e diventa un gioco popolare. Anche il sacrificio finale dell’eletta non ha la forza dirompente della versione di Nijinskij che abbiamo imparato a conoscere nella ricostruzione di Millicent Hodson e Kenneth Archer, una versione “ricostruita” pazientemente dopo anni di studio e interviste ai sopravvissuti. Danzatori bordolesi motivati in Noces, molto meno in questa Sagra che tuttavia valeva la pena conoscere e rivedere. Il pubblico di Reggio, che sa quel che vede, ha tributato gli applausi più calorosi al termine di Noces che apriva la serata.
Sergio Trombetta