coreografia: Jean-Claude Gallotta
musica: Strigall
costumi: Jacques Schiotto e Marion Mercier
scenografia: Jeanne Dard
con Françoise Bal-Goetz, Camille Cau, Darrell Davis, Christophe Delachaux, Ximena Figueroa, Benjamin Houal, Martin Kravitz, Cécile Renard, Thierry Verger, Béatrice Warrand e Jean-Claude Gallotta
Milano, Teatro degli Arcimboldi, 29 aprile 2008
Ognuno ha il suo motivo per danzare. C'è chi lo fa per conquistare la ragazza più bella, quella bionda e alta coi tacchi altissimi, e chi per ritrovare un vecchio amore e dirsi ciò che a parole prima non si era mai detto. Come c'è chi non sa perché e chi danza per cambiare il mondo, "anche se non ci si riesce". Ognuno ha un valido motivo. Una madre e una figlia. Un playboy e ragazze in cerca di marito. E lo dichiara per poi mostrarlo. "Parlare, fare, mostrare una piccola danza". La scena è una sala prove che subito, dichiarate le intenzioni, vede cadere le sue sbarre da esercizio: dato che questa non è danza d'école. È danza per gente comune che vuole ballare, senza tante ambizioni, ma ballare sulla scena di una vita così normale da risultare eccezionale e unica poiché è nelle esigenze di chiunque e chiunque è unico perché così normale. E non è importante avere un bel collo del piede e la gioventù: può danzare anche una signora ingrigita da sessant'anni di cose e esperienze come un signore appesantito dal vino e dall'età. O due tizi che di certo non hanno il fisico ma hanno una bella voce da baritoni. Tutti ballano, professionisti e non, nella compagnia di Jean-Claude Gallotta chiamata col nome di un personaggio inventato come Emile Dubois, mentre lui, Gallotta, li racconta recitando, cantando, rappando da un angolo della scena. E poi anche lui balla dentro, nelle storie di questa gente che balla. Gente che balla benissimo in quanto danza col cuore e con ciò che sa della vita, coi sogni e le delusioni, sempre con tanta vitalità. La gente che danza del grande coreografo francese è gente vera. La sua danza è danza vera. Un tale suona il trombone mentre una coppia ciondola morbida al centro e appena fuori della scena, ai lati della "sala da ballo", gli altri si cambiano d'abito per rientrare in pista. "Des gens qui dansent" (all'Auditorium Parco della musica di Roma nella rassegna diretta da Giorgio Barberio Corsetti "Equilibrio Oltre") è l'ultima toccante, ironica e bellissima creazione del maestro della nouvelle danse: un'opera sulla bellezza della vita, a volte amara, spesso buffa e impacciata, ma in ogni caso preziosa. E lo dimostra il grande Henry Miller ripreso nel suo letto di morte. Lo schermo scende in mezzo alla scena e allo spettacolo, nel centro della danza, e lo scrittore americano dice che non riesce quasi a pronunciare la parola morte, ma deve accettarla, anche se non l'accetterà mai. E parla della sua lunga vita che comunque è stata bellissima e non sa se c'è un Dio, no non ci crede, ma crede nella sua vita, in tutti gli attimi magnifici che ha vissuto, una vita che comunque lui, Henry Miller, ha reso migliore e questo mondo più bello. Perché la vita, come disse una volta, "non è solo cattiva, è anche buona". Ed è bella non per quello che è, così com'è, ma perché siamo noi a renderla bella. Ognuno di noi. Come ha ragione il grande Henry. Lo schermo risale, ma l'eco delle sue parole rimane nella sensuale danza di una giovane coppia. Gallotta, e con lui il suo drammaturgo Claude-Henri Buffard e i suoi bravissimi danzatori di "tre generazioni" del Groupe Emile Dubois (Francoise Bal-Goetz, Camile Cau, Darrell Davis, Christophe Delachaux, Benjamin Houal, Martin Kravitz, Cécile Renard, Thierry Verger, Loriane Wagner, Beatrice Warrand e lo stesso Jean-Claude Gallotta), ci trasmette tutta la necessità e la normalità di questa gente che balla senza poter fare altrimenti. Che balla perché la vita è una coreografia di passi a due e d'insieme, a volte di danze solitarie, ma è sempre un ballo che vale la pena di non perdere. Entrare in pista e affrontare questa danza e ogni momento di una vita che va vissuta fino a che un respiro ci farà ballare. Una danza sensibile e comica, commovente e allegra, triste e sempre vitale, quella di questa gente comune come il suo coreografo con gli occhialetti che sa, come diceva ancora il vecchio grande scrittore, che "l'arte non insegna nulla, tranne il senso della vita". In "Des gens qui dansent" c'è un pezzettino importante del "senso della vita". Con la sua gente qualunque che, ripensando sempre a Henry Miller, potrebbe dire, aprendo una pagina del "Tropico del cancro": "Non ho denaro, né risorse, né speranze. Sono l'uomo più felice del mondo". Ancora un'altra danza per monsieur Gallotta e la sua bella gente comune. A bien tot.
Sergio Gilles Lacavalla