musica di Petr Ilic Cajkovskij
coreografia: Luc Bouy
drammaturgia e regia: Beppe Menegatti
scene e costumi: Raimonda Gaetani
trascrizione per due pianoforti: Francesco Sodini, disegno luci: Patrizio Maggi
con Carla Fracci, Riccardo Di Cosmo / Claudio Cocino / Vito Mazzeo, Alessia Gay / Anna Chiara Amirante / Alessandra Amato, Manuel Paruccini, Alessio Passaquindici
Corpo di Ballo del Teatro dell'Opera di Roma Roma,
Teatro Nazionale, dal 15 al 31 dicembre 2009
Carla Fracci inforca un paio di occhiali tondi, si muove in un perlaceo costume da governante russa e rischiara con un ingualcibile sorriso il divertente Schiaccianoci del Balletto dell’Opera di Roma. Lo spettacolo si avvale solo di due pianoforti per la versione pianistica del balletto di Piotr I. Ciaikovsky. Ai ballerini della compagnia unisce gli allievi della scuola del teatro romano, e li veste in abiti ottocenteschi e folk, coloratissimi e fantasiosi, adatti a un sogno natalizio. Tra alberi intrappolati nelle quinte e abeti che piovono a punta in giù, guarda sia al torbido Lo schiaccianoci e il re dei topi di Ernst T. A. Hoffmann, sia al suo più edulcorato libretto originale del 1892, ma per poi virare altrove. Durante la notte di Natale, Clara, la bambina protagonista, sorprende la madre a flirtare con un bel giovane, e piange sconsolata. Per distogliere la piccola dalla sofferenza, la sua babushka Fracci trasforma gli invitati in topi dalle grandi maschere. E guida la servitù, con pentole e pignatte in testa, in battaglie sùbito vinte grazie alle magie di Drosselmeyer. Questa figura chiave in ogni Schiaccianoci, e qui simile a un filiforme e inquietante felino (l’ottimo Manuel Paruccini), compare con bambole semoventi e regala a Clara uno schiaccianoci formato mignon, quasi consapevole che il giocattolo si trasformerà solo nel buffo compagno, in sbilenca parrucca rossa, di un viaggio quasi da fermi. Dopo una breve passeggiata tra fiocchi di neve (appena otto danzatrici in niveo tutù), Clara e lo Schiaccianoci si apposteranno al lato della scena per assistere al divertissement etnico, la parte più riuscita della messinscena, che prevede veementi spagnoli cacciati da solfurei arabi, e la cinesina Fracci, intenta a preparare il tè, ugualmente spinta fuori scena da possenti matrioske. Da questa azione coreografica, più teatrale che ballettistica, sprigiona, secondo l’estro dei curatori (il coreografo Luc Bouy e il regista Beppe Menegatti), un sapore di recita artigianale: forse nel ricordo delle tante messinscena curate da Ciaikovsky stesso per gli amati nipotini. Così il “Valzer dei fiori” diviene una lieve danza di corolle bambine, annaffiate da un giardiniere, e i “Mirlitons” un gioco al séguito del pifferaio magico Drosselmeyer. Unico aggancio alla tradizione, il passo a due che stringe il bravo principe Vito Mazzeo, strappato al Royal Ballet di Londra, alla sua Fata Confetto (Alessandra Amato non particolarmente scintillante). Infine babuschka si trasforma in Mère Gigogne, pronta a sgambettare in volants e cuffia francesi con il suo cavaliere (incredibile la classe e la forza di Carla Fracci), prima che i doni di Natale riescano finalmente a strappare un sorriso alla bambina Clara.
Marinella Guatterini
È natalizia ma ha anche qualcosa di inquietante, vicino allo spirito originario del racconto di E.T. Hoffmann “Schiaccianoci e il re dei topi”, la nuova versione di Schiaccianoci coreografata da Luc Bouy e diretta da Beppe Menegatti, in scena al Nazionale. Lo si conprende fin dalla prima scena, dominata da un albero di Natale a testa in giù e dal personaggio “dark” di Drosselmeyer (l’ottimo Manuel Paruccini). Coreograficamente assai interessante, il balletto appare però ancora in fase di rodaggio: ci son tante buone idee ma anche difficoltà, nelle legature e nei passaggi - vedi la danza araba o il pas des deux finale fra la Fata Confetto e il Principe: (deliziosa Alessia Gay ma male assortita la coppia Gay-Di Cosmo). Qualche perplessità solleva anche la nuova versione musicale - una trascrizione per due pianoforti - della partitura di Ciajkovskij. La compagnia, guidata da Carla Fracci nel buffo personaggio dell’istitutrice, ha reso al massimo. Ma veramente splendidi sono stati i ragazzi della scuola, con in testa le giovani protagoniste del Valzer dei fiori: esemplari!
Donatella Bertozzi
Il balletto capitolino, lodevolmente animato dalla pluripremiata ditta Fracci-Menegatti, vive al Teatro dell'Opera di una copiosa programmazione irradiata su tre fronti: il grande repertorio del primo Novecento targato Balletti russi di Diaghilev (stupendo), i grandi titoli del repertorio ottocentesco con qualche discutibile ritocco (voto: sette più), infine le novità espresse dal Nazionale, della serie necessità fa virtù (spesso insufficienti). Ora per la prima volta, per cause economiche e di coordinamento della programmazione, un grande classico del ballo tardoromatico viene dirottato dal palcoscenico maggiore del Costanzi a quello angusto del Nazionale. In spazi scenici inadeguati va così in scena fino a S. Silvestro il balletto più natalizio che ci sia. Per l'atmosfera e il plot Lo Schiaccianoci di Ciaikovsky, immerso in pacchi natalizi, in foreste innevate, in abeti addobbati tra tanti bambini festanti e vacanzieri, altrove è a buon diritto un must irrinunciabile delle feste di fine d'anno. Ma questa volta il «pacco» più grande è toccato al pubblico. L'Opera di Roma invece di investire nella sana ripresa di un'edizione di tradizione, già per altro applaudita le stagioni scorse di questi tempi, vara al Nazionale uno Schiaccianoci nuovo di zecca coreograficamente firmato da Luc Bouy che lo trasforma, da balletto-fiaba scritto da adulti col cuore di bambini (Petipa, Ciaikovski e il librettista Vsevolosky) tanto da consentirne una lettura psicoanalitica, in una sorta di infantile e scialba commedia in maschera con troppi bambini in scena (i pur bravi allievi della Scuola di ballo del Teatro). Forzatamente condizionata ne risulta la sintassi coreografica (si respira solo con il passo a due originale di Ivanov danzato con nitidezza da Riccardo Di Cosmo e Alessia Gay). Voglio ma non posso anche per la musica di Ciaikovsky, resa incolore in una volonterosa e a tratti velleitaria trascrizione per due pianoforti (come dire un Van Gogh in bianco e nero). Per non parlare dell'angusto spazio scenico che riduceva un balletto di massa in uno striminzito spettacolo cameristico con stipiti che scendono e salgono immotivatamente. Un flop cui non sono però mancati alla fine gli applausi delle partecipi famiglie degli allievi, impegnati in una produzione nata per loro in uno spirito quasi da saggio scolastico.
Lorenzo Tozzi