Musica Gaetano Donizetti
Tragedia lirica in due atti
Libretto di Felice Romani
Prima rappresentazione Milano, Teatro Carcano, 26 dicembre 1830
Direttore Riccardo Frizza
Regia Andrea De Rosa
MAESTRO DEL CORO Roberto Gabbiani
SCENE Luigi Ferrigno da un'idea di Sergio Tramonti
COSTUMI Ursula Patzak
LUCI Enrico Bagnoli
PRINCIPALI INTERPRETI
Enrico VIII Alex Esposito / Dario Russo 28 febbraio, 1 marzo
Anna Bolena Maria Agresta / Francesca Dotto 1 marzo
Giovanna Seymour Carmela Remigio / Paola Gardina 1 marzo
Riccardo Percy René Barbera / Giulio Pelligra 1 marzo
Smeton Martina Belli
Sir Hervey Nicola Pamio
Lord Rochefort Andrii Ganchuk *
* dal progetto "Fabbrica" Young Artist Program del Teatro dell'Opera di Roma
Orchestra e Coro del Teatro dell'Opera di Roma
Nuovo allestimento
In coproduzione con Lithuanian National Opera and Ballet Theatre
Teatro dell'Opera di Roma dal 20 febbraio al 1 marzo 2019
Parafrasando Bruno Barilli, musicare vuol dire tradurre liricamente la vita, trasmutare il reale nella più alta forma poetica. La vita che ispirò Gaetano Donizetti fu quella infettata dal potere, dagli opportunismi, dalla menzogna. L'Anna Bolena del musicista dipinge un'ambiguità senza eguali, osando gettare lo sguardo su di una tenebra che nessuna luce potrà mai rischiarare. Il tutto è stato fatto con capacità di sintesi e poesia tali da rendere questo lavoro una delle vette somme del melodramma italiano.
Col sublime libretto di Felice Romani, Anna Bolena non è la banale storia di una vittima costretta a subire ogni più bieco sopruso. Al contrario, essa è la continua scoperta di scheletri che ciascun personaggio ha nel proprio armadio: Anna sposa il sovrano Tudor per puro arrivismo sociale (persuasa dal fratello); Enrico si unisce a questa donna solo per dare alla sua stirpe un erede maschio; Giovanna cede alle lusinghe del sovrano d'Inghilterra pur sapendo quanto egli abbia sentimenti leggeri e ballerini (quindi perché?); il paggio di corte, Smeton, ama segretamente Anna e la vuole per sé, ma la condannerà accusandola (pensando di salvarla) di adulterio; Percy – il vecchio amore della protagonista dell'opera –, l'unico personaggio che pare schietto e autentico, in realtà vuole indietro la sua donna e altro non gli interessa. È un'opera dove nessuno si salva, dove tutti hanno un bisogno personale da soddisfare a dispetto degli altri. Geniali gli autori dell'opera nel non aver sciolto il nodo di ambiguità che alberga in ogni personaggio, ponendo il pubblico nell'impossibilità di assolvere o condannare.
La versione di Andrea De Rosa (in scena all'Opera di Roma), interpreta l'Anna Bolena di Donizetti come un grande carcere, dentro il quale ognuno è rinchiuso. Il potere, gli scopi personali, le bieche mire: ogni cosa è una grande galera, dentro la quale – come scatole cinesi – altre prolificano e crescono. La scena è coperta da paramenti che ricordano i fasti d'una corte regale. Via via che la tragedia avanza fino al suo punto massimo, ogni orpello cade e visibile all'occhio saranno le nude sbarre. Eccetto il Consiglio dei Pari, nessuno si salva, nessuno sarà mai libero: tutti prigionieri delle singole mire, dei meschini conciliaboli e inganni.
Dario Russo (Enrico VIII) e Francesca Dotto (Anna Bolena), con voci limpide e sostenute da possenti diaframmi, hanno ben tratteggiato le vicende dei due personaggi, entrambi vittime e carnefici al contempo. A tratti, forse, le loro interpretazioni son risultate lievemente deboli (specie nei momenti di maggior pathos), ma infine convincenti.
Discreta è risultata la direzione di Riccardo Frizza: decisa e con quel tocco di leggerezza proteso a sottolineare i tratti rossiniani di Donizetti che, in un certo senso, non stonano con l'impostazione dello spettacolo.
Giusto una domanda, uscendo, balugina nella mente. In questa orditura scenica si è scelto di far interpretare il personaggio di Smeton a una donna: perché?
Pierluigi Pietricola