FULVIO SIGURTÀ tromba
STEFANO BATTAGLIA pianoforte
GIUSEPPE ETTORRE contrabbasso
ANTONIO CAGGIANO percussioni
FRANCESCO PANCONESI sax tenore
EVITA POLIDORO batteria
GREG BURK pianoforte
JACOPO TEOLIS tromba
LORENZO SIMONI sax contralto
STEFANO ZAMBON contrabbasso
SIMONE BRILLI batteria
CHIARA CHISTÉ voce
Musiche di Miles Davis, Kenny Wheeler
in coproduzione con Siena Jazz
Attività del Polo Musicale Senese
Piazza Provenzano 1 agosto 2022
E’ un bene che i linguaggi musicali si mischino, si ritrovino al bivio delle strade delle proposte. Mettere assieme il linguaggio del classico con quello del jazz è sempre, sempre di importanza strategica. Lo sa bene Stefano Battaglia che da pianista e da compositore riesce a rendere raffinato il connubio, senza nessuna impennata o abuso di tecnicismo sfrenato. E’ il caso della suite che ha scritto e pensato per il connubio fra Chigiana e Siena Jazz, in una serata memorabile a Piazza Provenzano, dove a suonare di note blue, vi era una nutrita band capeggiata dal nostro pianista e composto da Pino Ettorre al contrabbasso, da Antonio Caggiano al nucleo percussivo, da Evita Povidoro al set di ritmica, e dalle voci sax di Francesco Panconesi e da quella della tromba di Fulvio Sigurtà. In A Silent Way del 1969, Miles Davis inizia quel suo percorso di fusion, ovvero di contaminazione fra linguaggio jazz e rock e quell’album rimane leggendario come pochi. E’ assolutamente un punto di non ritorno, da lì quello che succederà non sarà più modalità di contrattazione per rivedere i parametri. Ed è così che la storia dei linguaggi si approccia sempre al nuovo, al metamusicale. Per non parlare poi che in quell’album con tanto di elettro funk di Herbie Hancock e di Joe Zawinul il mood è lì che è come un change, proposta irrimediabile di possibili futuri. Ecco la parola magica: futuro. Ed è quello che Davis immaginava nella sua follia creativa ed è quello che oggi è storia si ma è ancora biglietto d’accesso per il futuro. Così Battaglia ridisegna a suo modo quel mood, dove non c’è l’elettronica ma c’è una idea di silence, di indefinizione del silence sound. Così come si apre il brano di Zawinul, così esordisce la band, con un seguirsi di suoni, che diventano dissonanti per la sola ragione di coesistere in un medesimo discorso, in una traccia di silence. Ed è immediata l’empatia. La lunga suite (59 minuti) alterna in se vari stati, in quella che è la scrittura di Battaglia, e nella forza di provare a ridisegnare ciò che Miles fece. La delicatezza poi del suono di Battaglia discute con quella dei suoi colleghi, in particolare Caggiano ha un paio di assoli di assoluta bellezza, dove la sua perizia apre ad una sinergia da tempi lunghi. E’ naturale che tromba e sax si divertono in un contrappunto /non contrappunto. Riescono quasi a rimandare una possibile versione di altro suono. Il tema che porta alla chiusura del contrabbasso, in un lirismo commovente permette ad Ettorre di trascinare la band alla sintesi. Ma Battaglia da solo e precedentemente introduce nel suo mondo sonoro tutti i navigatori della sua caravella. Si riconosce nel suo gesto sonoro proprio quella profonda crasi, quella forza di essere soggetto ed oggetto al tempo stesso. In un concerto che rimane leggendario nella storia di quella che è una fusione importante di linguaggi. Nella seconda parte un tribute a Kenny Wheeler, ovvero il segmento coerente con quello che aveva lasciato Davis. Nella sua vita da trombista, Wheller ha avuto modo di andare in luoghi incontaminati dei linguaggi, ascrivendosi in quella dimensione del jazz di sperimentazione e di world experience. In quella fusion che fra gli ottanta e i novanta permise al jazz di vivere una nuova giovinezza. Pertanto grazie al pianista Greg Burk e alla sua band, si ascolta un percorso di standard. Un omaggio ad una delle voci più interessanti dello scorso novecento. Marco Ranaldi