di Giuseppe Verdi
Dramma lirico in un prologo e tre atti su libretto di Temistocle Solera, tratto dalla tragedia “Attila, König der Hunnen” di Zacharias Werner, del 1809
direttore Renato Palumbo
regia Daniele Abbado
scene e disegno luci Gianni Carluccio
costumi Gianni Carluccio e Daniela Cernigliaro
movimenti scenici Simona Bucci
maestro del coro Fabrizio Cassi
ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO PETRUZZELLI
Coproduzione | Teatro Comunale di Bologna, Teatro Massimo di Palermo, Teatro La Fenice di Venezia
Attila Alexander Vinogradov [21, 23, 26, 28 aprile] Marko Mimica [22 aprile]
Ezio Simone Piazzola [21, 23, 26, 28 aprile] David Babayants [22 aprile]
Odabella Leah Crocetto [21, 23, 26, 28 aprile] Maria Tomassi [22 aprile]
Foresto Fabio Sartori [21, 23, 26, 28 aprile] Chuanqi Xu [22 aprile]
Uldino Andrea Schifaudo
Leone Dongho Kim
Bari, Teatro Petruzzelli dal 21 al 28 aprile 2023
L’Attila di Verdi rimane una sorta di misteriosa compagine lirico orchestrale scritta dal compositore in un periodo in cui la sua vena creativa era al massimo. In questa opera è facile ravvisare quella enorme mole di lavoro che Verdi doveva sopportare ma anche una ricerca disperata di una strada che non fosse solo opera popolare o opera da salotto. In questo Verdi fu eccezionale poiché in tutta la sua vita non mancò mai di stropicciarsi per trovare nuove tendenze da seguire assumendo in sé quello che poi sarà il futuro del suo stesso teatro. Ergo Attila è per il compositore un’opera difficile, difficile da collocare, difficile da narrare. Il libretto di Temistocle Solera non lascia segni del capolavoro, anzi spesso è farraginoso, troppo ridondante e non segue l’idea creativa del compositore. Eppure il miracolo c’è sempre con Verdi. Costretto da una serie di cambi scenici, oggi come allora, sicuramente poco efficaci nella tela narrativa, l’opera si muove su un identikit del presente e del passato remoto. Verdi è talmente vicino all’idea drammatica di Haendel da rendere questa opera d’incredibile duttilità post barocca. E’ tutta la logica compositiva adottata da Verdi a usare in questo lavoro una narrazione sottesa, una aderenza a dei modelli antichi talmente attuali da togliere la naftalina di Solera da un testo esuberante di vecchi stilemi e fare di quest’opera un tratto d’unione con quello che sarà uno dei suoi grandi capolavori come Otello. Perfetto quindi. Forse. Ma Verdi non sospetta che il tema è ambiguo, potrebbe essere letto come un punto di ritorsione verso i suoi profondi ideali risorgimentali ed essere interpretato male. Attila non è una brava persona insomma. E non è certo lontano da quegli usurpatori dello stato italiano che si aggirano in quel tempo. Nella complicatezza narrativa Verdi escogita una serie di trucchi e di espedienti compositivi che rendono quindi Attila una proto opera romantica. Con tanto di eroina pre pucciniana che azzera il suo potere uccidendolo chi? L’usurpatore . Opera quindi difficile, da rendere soprattutto. La compagnia impegnata nella recita del giorno 23 aprile prova a tenere in piedi una narrazione così complessa. E Renato Palumbo, arrivato dopo a concertare e dirigere quest’opera è molto bravo nel tessere le tele del discorso. Sembra quasi a tratti di vedere somiglianze con il Boris di Mussorgskij ma la tirannia di Attila è più nostrana e da Padania unita. A volte i volumi dei cantanti davano l’idea di essere troppo spinti. E’ vero che la scena è drammatica, è vero che l’opera non è il Trovatore o il Rigoletto ma la duttile vocalità verdiana non dovrebbe mai mancare. Comunque Alexander Vinogradov è un Attila temibile e coerente, bravo con grande presenza scenica, intesse su se stesso la stessa tragicità voluta da Verdi. Così come Leah Crocetto una vera Odabella tanto romantica quando poi nell’aria più intensa dell’opera sfoggia tutta la sua cantabilità. Bravi molto gli orchestrali che sanno seguire le trame tese volute da Verdi. Daniele Abbado strizza l’occhio alla manipolazione contemporanea ma rimane dentro il soggetto in maniera elegante. Insomma per il Petruzzelli è un punto forte quello di presentare opere non sempre eseguite e in questo caso ne hanno pieno diritto ad un plauso necessario nel proseguimento di riscoperte in mezzo a proposte che spesso annoiano per la ripetitività.
Marco Ranaldi