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BLUE PLANET (THE) - regia Peter Greenaway

The Blue Planet The Blue Planet Regia Peter Greenaway

Regia Peter Greenaway
e Saskia Boddeke
Scene Annette Mosk
Costumi Marrit Van Der Burgt, Luci Marcello Lumaca, Second life design Luca Lisci
Video editing Irma De Vries
Fotografia Luciano Romano
Teatro dell'Opera, Roma 2009

Avvenire, 1 febbraio 2009
La Repubblica, 2  febbraio 2009
Il Messaggero, 1  febbraio 2009
Corriere della Sera, 8  febbraio 2009
Che caos la Genesi di Greenaway
A Roma l'opera «The blue planet» del maestro mescola sacro e profano creando un pasticcio «ecologista»

Negli anni a cavallo dell'ultima guerra il Nazionale (oggi «secondo palcoscenico» del Teatro dell'Opera) era una sala cinematografica. Ha riscoperto all'improvviso le origini con The blue planet, ideato e diretto da Peter Greenaway e da sua moglie Saskia Boddeke, un oratorio multimediale con forti componenti cinematografiche, sia pure post-moderne: addirittura sei schermi. Sul principale, già più di mezz'ora prima che cominci la pièce, si vede annaspare in acqua un enorme cetaceo, e s'ode il suo sordo lamento. Poi, finalmente, una piccola orchestra comincia a farsi sentire, accompagnando il canto di Helga Davis, che è fuori scena e appare in primo piano su uno degli schermi laterali. Ha una voce splendida, ed è assai più affascinante del cetaceo, ma si lamenta anche lei e ci fa scoprire i significati dell'oratorio: una trenodia che unisce il rimpianto alla denuncia. Pare un momento solenne, ma in sala si sveglia un telefonino: certo il risultato della maleducata distrazione di uno spettatore, ma è quasi allusivo e profetico (potrebbe venire il sospetto che sia un'idea del regista).
Scopriamo i significati dell'oratorio. Siamo agli albori dell'universo, anzi in prossimità del diluvio universale; il guaio ulteriore è che non solo c'è acqua da tutte le parti, ma quell'acqua è inquinata. Si comincia con una rivisitazione maccheronica della Genesi e si approda all'ecologismo. Insomma ai mali dei primordi si aggiungono quelli di oggi. La multimedialità si scatena, le immagini drammatiche o sensazionali si susseguono sui vari schermi con la visionarietà che è il connotato più caratteristico di Greenaway: la natura violentata, l'invasione del cemento, le foreste abbattute, le alluvioni, le file di macchine sulle auto strade. È tutto molto chiaro. Meno chiare tante altre cose: ad esempio il motivo per cui il personaggio della Davis, cioè la moglie di Noè, si chiami Giovanna d'Arco. Per fortuna lei continua a cantare bene, accompagnata dall'orchestrina e dalla la musica di Goran Bregovic che dà all'insieme un contributo notevole di drammaticità e nostalgia. Dio e Noè sono entrambi personaggi second life. Il primo ha le sembianze di un Angelo, grandi occhi celesti colmi di speranza e capelli lunghi e biondi, l'altro è uno stupido ubriacone che pensa solo a sé. Le voci sono quelle di Maria Pilar Pérez Aspa e Moni Ovadia. Reali invece i due figli di Noè, Hendrik Aerts e Dory Sànchez. In una piscina che fornisce loro la possibilità di tuffarsi e riemergere nell'elemento quasi esclusivo della pièce, cioè l'acqua. Sono ovviamente in costume da bagno, e alla fine, non si sa perché siamo nella preistoria oppure stiamo seguendo mode del nostro tempo, la ragazza finirà inevitabilmente a seno nudo. Fanno una cronaca dei giorni della creazione e li esaltano. Tranne l'ultimo giorno, quello in cui venne creato l'uomo, capace (dice il testo) di distruggere tutto il bello che Dio aveva fatto prima. C'è un'ondata di pessimismo, scongiurato in extremis dall'arcobaleno e da un pizzico speranza.

Virgilio Celletti

L'oratorio multimediale di Peter Greenaway

Prima Bob Wilson e ora Peter Greenaway per questo oratorio multimediale. Finalmente! Il Teatro dell'Opera di Roma diventa un teatro moderno. The Blue Planet (testo di Saskia Boddeke) è difficilmente definibile. Un'installazione in cui un dio femmina racconta la creazione del mondo e il diluvio. Ma l'azione si svolge su più piani. Sul palcoscenico, con la Brigata Sinfonica (musiche di Bregovic) e dai figli di Noè (i bravissimi Aertes e Sanchez). Quello virtuale, sugli schermi, Noè (voce di Moni Ovadia) e Dio (voce di Maria Pilar Pérez Aspa). Un terzo piano di proiezioni marine, celesti e terrestri. La moglie di Noè, una strepitosa Helga Davis, parla inglese e ripete ossessivamente un ritornello: "God makes, man breaks" (Dio crea, l'uomo distrugge). Un trionfo per tutti.

Dino Villatico

Per l'ambiente Sos con musica ma non è il solito Bregovic

Quando esci da The blue planet di Peter Greenaway e Saskia Boddeke ti tornano in mente soprattutto le immagini proiettate sugli schermi. Quelle brutte che raccontano lo sfacelo dell'ambiente e quelle poetiche della natura ancora incontaminata da preservare. E forse è questo l'importante. Restano meno impresse la storia, narrata in tante lingue, e, anche se eseguita ottimamente, la musica di Gorav Bregovic, più d'accompagnamento che protagonista. Comunque, teatro Nazionale affollato e vivo successo l'altra sera del primo lavoro d'avanguardia della stagione del Teatro dell'Opera.
E' una vicenda sulla Creazione in cui s'immagina che si scateni un diluvio universale come punizione per i disastri ambientali causati dall'uomo: quando Noè costruisce l'arca, la moglie rifiuta di salirci perché non vuole che il genere umano perseveri. Ma i figli la convincono a ripensarci: saranno loro a creare una nuova possibilità, una rinascita spirituale. The blue planet non è opera lirica né oratorio, perché cantato solo in piccola parte: è teatro musicale a tutto campo e con diversi linguaggi espressivi, anche se manca di azione, di veri confronti e scontri sulla scena. Recitano personaggi reali e avatar, immagini animate create sull'arena virtuale second life: da Dio, raffigurato come una donna (non senza poesia), a Noè (voce di Moni Ovadia). Gli schermi: come un secondo palcoscenico su cui appaiono gli interpreti o i loro "doppi" e irrompono la dura realtà e la natura oltraggiata, un fungo atomico, il disboscamento dell'Amazzonia...
E la musica? Bravissimo il piccolo gruppo Brigata Sinfonica, a cui sono affidati pezzi originali e adattamenti di Bregovic: ma pensando ai concerti del musicista serbo-croato con la sua Wedding and Funeral Band, si sentiva la mancanza di quegli ottoni chiassosi e trascinanti che fanno ballare la gente e che qui avrebbero potuto "suonare la carica" della denuncia ambientale. Ad effetti elettronici e ipnotiche sonorità "new age", contrappunto dell'acqua dove nuotano balene, si alternano melodie di sapore arabo (vedi la Creazione degli animali) graziose ma poco caratterizzanti. In scena dall'inizio alla fine, quando restano seminudi per simboleggiare il ritorno alle origini, Dory Sanchez e Hendrick Aerts, danzatori, nuotatori, attori fortemente espressivi; la voce di Helga Davis dà pathos al personaggio della madre. Si replica fino all'8 febbraio.

Alfredo Gasponi

Greenaway delude con un' infinita «lista della spesa»

La parabola della montagna che partorisce un topolino si addice assai a The Blue Planet, lo spettacolo ideato da Peter Greenaway e Saskia Boddeke con le musiche di Goran Bregovic che è stato in scena al Teatro Nazionale di Roma. La montagna è lo spiegamento di forze che occorre per cucinarlo, una chilometrica «lista della spesa» fatta di voci cantanti e parlanti, di attori e danzatori, di cartoni animati e video art, di musica dal vivo e fotografia, di luci e testi multilingue (italiano, inglese, spagnolo, francese), nel contesto scenografico di una piscina circondata da monitor digitali di vario formato. Il topolino è la ragion d' essere di questo «Oratorio multimediale», di comunicare cioè al mondo il trascendentale precetto di non distruggere quanto Dio ha creato. Proprio una bella pensata. Originale, soprattutto. Per dimostrare il teorema si racconta una sorta di parodia laica della Genesi, la storia di un Dio femmina e di un Noè -cowboy con moglie e figli chiamato a mettere in salvo le specie umane e animali, mentre passano fotografie multietniche tipo campagna di Oliviero Toscani e video tipo National Geographic. Ma quel che lascia più sgomenti non è tanto l' ovvietà del «messaggio», quanto la povertà di sostanza drammaturgica di questo Oratorio, inversamente proporzionale al chilometraggio della lista di cui sopra: un' elementare narrazione i cui ingredienti sono tutti accessori, mai costitutivi. Tra questi ultimi c' è anche la musica, purtroppo. Musica in sé niente male, quella di Bregovic, ben arrangiata ed eseguita da Brigata Sinfonica (interessanti in particolare i songs cantati dalla splendida voce di Helga Davis e le concatenazioni di pattern ritmici: 3+2+2; 3+3+2 ecc.), ma ridotta al rango di tappezzeria sonora. Se v' è una cosa vitale nel teatro musicale d' oggi è la varietà delle sue formulazioni drammaturgiche. Ma al Teatro dell' Opera, nella stagione «del rilancio», si punta sul cavallo logoro di uno spettacolo impegnato ma didascalico, pieno di tecnologia ma vecchio nella concezione. È stato presentato a Saragozza e lo sarà ora a Reggio Emilia e al CRT di Milano. Fortunatamente la stagione alternativa del Nazionale, parallela a quella ufficiale del Costanzi, prevede ora spettacoli più attraenti, che si spera possano restituire, della contemporaneità, un' immagine migliore o quantomeno non altrettanto deprimente.

Enrico Girardi

Ultima modifica il Lunedì, 22 Luglio 2013 10:59
La Redazione

Questo articolo è stato scritto da uno dei collaboratori di Sipario.it. Se hai suggerimenti o commenti scrivi a comunicazione@sipario.it.

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