di Alessandro Solbiati
regia: Ignacio Garcia
scene e costumi: Domenico Franchi
luci: Stefano Mazzanti
con Alda Caiello, Maurizio Leoni, Visintin, Gianluca Bocchino, Gianluca Buratto
Orchestra della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste
Trieste, Teatro Verdi, dal 17 al 24 aprile 2009 (prima assoluta)
Lungo gli ultimi 70 anni di musica, considerando cioè la produzione di quella che si continua anacronisticamente a chiamare «musica contemporanea», il teatro musicale non è mai stato in auge come oggi. Non v' è autore infatti che non aspiri al teatro d' opera, e molti più titoli di quanto non si dica vanno in scena in Europa (meno in Italia, ma ormai è un ritornello). Alessandro Solbiati (n.1956) invece, al teatro approda solo ora con Il carro e i canti, atto unico che è teatrale più per statuto (la fonte è il frammento di pièce Il festino in tempo di peste di Puskin) che per i contenuti: un quartetto di uomini e donne che esorcizzano l' orrore della morte - quella morte - banchettando tra canti dal sapore carnascialesco. Situazione tipica, del resto, come chi spende quando ha poco o rifiuta la margarina se manca il burro. Chi s' incupisce chiudendosi nel dolore, chi persevera nella «bestemmia» facendosi beffe d' ogni forma di pietas. Su questo gioca la drammaturgia del Carro e i canti, materiale scivoloso e cromatico da un lato, diatonico e accordale dall' altro. A tutta prima l' idea funziona, poi si annacqua un pò per via di una vocalità poco differenziata, per quanto lodevole nel suo stare alla larga da forme di naturalismo. Non un capolavoro dunque, Il carro e i canti, ma si profila come un esordio decisamente incoraggiante, specie per la veste orchestrale, cui è auspicabile seguano pagine più coraggiose. Un pò monocorde musicalmente (ci sono pezzi solistici niente male nella partitura ma non sfruttati del tutto), l' opera lo è anche nella messinscena di Ignacio Garcia. Per scelta, anche perché con un testo simile non c' è molto da inventare. Qui, dietro sipari velati come tende d' un palazzo un tempo orgoglioso, si vede un cumulo di macerie da dove affiora la macelleria di pezzi di cadaveri. E lì attorno ecco, calice di champagne alla mano, il quartetto di solisti, raffigurato come un gruppo di sopravvissuti alla catastrofe, gli abiti un pò malconci, il trucco pesante di giorni. La recitazione è conseguente a ciò, più fantasmi che uomini e donne. Ineccepibile. E ineccepibile, anzi decisamente accordata ai presupposti musicali, è la prova del direttore Paolo Longo e degli interpreti Alda Caiello, Gianluca Bocchino, Maurio Leoni e l' eccellente Sonia Visentin, ai quali si aggiunge infine un sacerdote col perfetto vocione di Gianluca Buratti. Applausi ma anche qualche fischio da una platea non gremita.
Enrico Girardi