testi tratti dall'Apocalisse di San Giovanni Apostolo
e liriche liberamente tratte dall'opera omnia di Paul Celan
musica: Adriano Guarnieri
regia: Cristina Mazzavillani-Muti, scene: Ezio Antonelli
con Antonella Ruggiero, Alda Caiello, Sonia Vicentini, Ilaria Del Prete, Matelda Viola, Marco Lazzara, Roberto Fabbriciani
Orchestra del Teatro dell´Opera di Roma. Nuovo allestimento
Roma, Teatro Nazionale, 10 e 12 giugno 2007
Un’opera visionaria come Pietra di diaspro di Adriano Guarnieri, che utilizza come testi frammenti dall’Apocalisse di Giovanni e dalle bellissime poesie di Paul Celan, e organizza un fitto contrappunto di voci e strumenti, raggruppati in gruppi di 7 parti, non può che prevedere una messa in scena ugualmente visionaria. La musica scorre senza sosta, un fiume, o un’onda sonora che si gonfia e s’assottiglia, all’interno rifatta in pulviscoli di grumi tematici, che ricordano la grande polifonia fiamminga, ma anche le macchine sonore di Nono o di Stockhausen. Ma in realtà tutto ha la forma e lo stile del più puro ed essenziale Guarnieri: un’estrema complessità di scrittura per aggredire l’ascoltatore con l’irruenza di un messaggio irrinunciabile: che si sia arrivati alla fine della nostra in-civile civiltà? Gli interpreti, guidati splendidamente da Pietro Borgonovo, ci danno dentro. Restano indimenticabili le voci di Sonia Visentin e di Alda Caiello o l’arpa di Paola Petrucci moltiplicata elettronicamente in un complesso di sette arpe. E appunto, la regia del suono di Alvise Vidolin. Il coro di sette voci. Il violoncello di Andrea Noferini e il flauto (iperbasso) di Roberto Fabbriciani. Cristina Mazzavillani Muti, aiutata dalle immagini virtuali di Ezio Antonelli, ha tentato di dare forma visiva all’allucinazione musicale. La calotta di semisfera, sormonata da un cilindro è mondo, cielo, spazio. Successo trionfale per tutti.
Dino Villatico
Sogno, incubo, profezia, riflessione sui mali (e sulla fine) del mondo, auspicio, spettacolo visionario, sfida acustica? È tutto ciò Pietra di diaspro, la quinta opera di Adriano Guarnieri, e ognuno di quegli aspetti meriterebbe un approfondimento. Il titolo, innanzitutto. Il diaspro è una pietra cristallina, annoverata tra quelle che impreziosiscono le fondamenta di Gerusalemme. Un simbolo dunque della visione utopica della Gerusalemme celeste, città ideale a cui Guarnieri contrappone il potere nella sua allegoria babilonese.
Scontro drammatico, lacerante, fin dall'inizio, in una partitura tutta sopra le righe (nel senso più letterale dell'espressione), fatta di urla, di strepiti, di fragori, di trombe parossistiche, di exploit vocali su registri impossibili che nulla concedono alla melodia. Come, del resto, nulla si concede alla narrativa in un testo che usa le simbologie tipiche dall'Apocalisse di Giovanni da cui sono tratti alcuni frammenti, alternati specularmente ai versi del poeta Paul Celan su quanto gli sia rimasto impresso dei mali del suo tempo, e cioè gli anni a cavallo della seconda guerra mondiale e delle deportazioni (Celan era un ebreo).
Pietra di diaspro ha visto la luce l'altra sera al Nazionale, secondo palcoscenico del Teatro dell'Opera di Roma che l'ha prodotta su commissione del Festival di Ravenna. Opera-video, come la classifica l'autore, lasciando immaginare un genere totalmente nuovo. E forse lo è, ma certo non dal punto di vista della musica: soprattutto quando essa non si accompagna a parti preregistrate. I suoni reali, le articolazioni di urli e mormorii ascoltati l'altra sera appartengono a un genere già sperimentato mezzo secolo fa. Ciò non toglie nulla né alla drammaticità né alla ricchezza di uno spettacolo intenso ed esuberante in ciò che si vede e ciò che si sente. Gli specchi, che sono un ingrediente fondamentale della scenografia di Ezio Antonelli, fanno anche in modo che la platea veda non solo di spalle il direttore Pietro Borgonovo, strenuamente impegnato a guidare gli interpreti strumentali e vocali. Ed essi non popolano solo gli spazi consueti (golfo mistico e palcoscenico), ma sono schierati lungo le pareti laterali del teatro, sotto i grandi altoparlanti che portano in sala i giacimenti del live electronics, per dare al pubblico la sensazione di essere immerso nel magma e nei problemi. Il meglio è nei finali dei due atti quando prendono forma i momenti che più sembrano musica, affidati rispettivamente alla voce di Alda Caiello, una riconosciuta grande interprete della vocalità d'avanguardia, e a quella di Antonella Ruggiero, ufficialmente proveniente dal pop ma qui a sua volta costretta ad atteggiamenti canori del tutto estranei ad un'emissione naturale. Da apprezzare la regia di Cristina Mazzavillani Muti, che ha avuto un bel da fare in quell'intreccio di suoni e immagini, costretta a muoversi all'interno di un lavoro totalmente sprovvisto di teatralità e di contenuti meno che misteriosi e di una scenografia certamente spettacolare, soprattutto quando si arricchisce delle proiezioni, ma assolutamente incomprensibile: la parte superiore del globo "terracqueo" su cui svetta un enorme cilindro, un po' rampa di lancio verso l'infinito, un po' torre di babele.
Virgilio Celletti