libretto e musica: Leos Janacek
direttore: Seiji Ozawa
regia e costumi: Laurent Pelly, scene: Barbara de Limburg Stirum, coreografia: Lionel Hoche, luci: Peter van Praet
con Quinn Kelsey, Judith Christin, Dennis Petersen, Kevin Langan, Gustáv Belácek
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Firenze, Teatro Comunale, dal 8 al 15 novembre 2009
La fantasia più esuberante e poetica ha inaugurato la stagione 2009/2010 del Maggio Musicale Fiorentino: domenica 9 novembre il pluripremiato direttore d’orchestra Seiji Ozawa insieme al regista/costumista Laurent Pelly hanno presentato al pubblico fiorentino La piccola volpe astuta, capolavoro della maturità artistica di Leos Janácek, da molti considerato il più grande compositore della storia musicale della Repubblica Ceca.
Ispirandosi al romanzo di Rudolf Tesnóhlídek La volpe Bystrouska, che lo appassionò a tal punto da convincerlo a tradurne in musica la trama – da lui poi in parte modificata – nel 1925 Janácek diede vita ad una favola musicale dal sapore filosofico e ancestrale, che attraverso il racconto delle vicissitudini di una piccola volpe, molte volte (ma non sempre) astuta, faceva riflettere sulla vita, sull’incedere del tempo, sulla morte.
Una piccola volpe – qui interpretata dal bravo soprano Isabel Bayrakdarian – viene malauguratamente catturata dal guardiacaccia, che la porta a casa con sé e la lega ad una catena, dopo che questa si è ribellata ai dispetti dei due figli dell’uomo mordendo uno di essi ad una gamba; la situazione degenera quando la piccola volpe stermina il pollaio della moglie del guardacaccia: dopo un piccolo pandemonio la volpe riesce a scappare. Una volta tornata nel bosco, incontra una volpe maschio, della quale si innamora e dalla quale ha sei cuccioli; un giorno però, sfida sfrontata un bracconiere e rimane uccisa. Il guardiacaccia, ormai vecchio, ritorna nel bosco e si lascia andare alla nostalgia dei bei tempi andati, e sorride quando incontra lo sguardo di una piccola volpe: è proprio “uguale alla mamma”.
Dopo la dovuta menzione al merito del direttore cinese Ozawa (insignito della cittadinanza onoraria di Firenze) che ha saputo rendere al meglio la calligrafia melodica imprevedibile del compositore ceco, restituendone tutta la dinamicità e la poliedricità, è doveroso sottolineare l’eccellenza di costumi e scenografie dello spettacolo, che hanno trasformato l’esperienza di fruizione in un sogno ad occhi aperti (cosa assolutamente rara).
I costumi hanno saputo riprodurre in modo dettagliato e immaginifico le sembianze dei moltissimi animali intervenuti sulla scena: dai moscerini alla civetta, dal grillo al tasso, dal picchio al bellissimo gallo, tutti gli animali sono stati evocati in maniera impeccabile da costumi che hanno saputo stupire ad ogni nuova apparizione. Felice anche la scelta di perseguire il naturalismo dei costumi degli animali anche negli indumenti di scena degli esseri umani: la canotta del guardiacaccia, così come il grembiule e i guanti della sua signora, e i pantaloncini corti dei figli hanno contribuito a rendere autentica e poetica allo stesso tempo la storia raccontata.
Stessa cosa per la scenografia di Barbara de Limburg Stirum: calati dalla graticcia o spinti dalle quinte, i praticabili utilizzati per ricreare ora il folto bosco, ora la tana del tasso, ora la casa con pollaio del protagonista hanno saputo creare ambientazioni zeppe di magia, che a volte ricordavano la pittura post impressionista (primo tra tutti Van Gogh), altre i fotogrammi di vecchi film d’animazione.
Il regista Laurent Perry, direttore del Théâtre National di Tolosa, ha poi arricchito la messa in scena con idee interessanti, come quella di collocare il punto di vista dell’ambientazione della locanda frequentata dal guardiacaccia in un luogo assolutamente insolito (dietro al bancone del bar) o quella di fare uscire in modo del tutto inaspettato dalla piccola rimessa sei galline giganti, per non dimenticare la scelta registica di tradurre in scena il sogno della volpe di trasformarsi in una donna con un’ombra che si alza sul muro della casetta del guardiacaccia.
In un’opera da molti definita opéra-ballet (per l’ingente presenza di parti danzate nella sua struttura) come La piccola volpe astuta, la danza ha in effetti rivestito un ruolo importante nell’economia dello spettacolo: oltre che per evocare stati d’animo o situazioni particolari – come il matrimonio tra le due volpi, o il sonno del guardiacaccia – l’arte coreutica è stata utilizzata come raccordo tra un quadro e l’altro del racconto; azzeccata in questo casa è stata la scelta del coreografo Lionel Hoche di non fare danzare i moscerini in sincronia, evocando quindi il disordine di uno sciame e mantenendosi in questo modo più fedele alla realtà (e omaggiando il glorioso genere della pantomima).
Tra i cantanti, buona le prove del guardacaccia Quinn Kelsey e del parroco/tasso Kevin Langan.
Alessia Fermi
E’ proprio bella questa Piccola volpe astuta di Janácek, in scena ora a Firenze. È un incanto l’opera, fiaba del Novecento musicale in cui gli animali intersecano la loro vita a quella degli uomini, spesso ricorrendo ad atteggiamenti umani pur rimanendo ferini, ma in un continuo parallelismo innestato nel ciclo eterno della natura, della morte e della rinascita. È un incanto come Seiji Ozawa la dipana sul podio dell’orchestra del Maggio Musicale: nel pullulare delle voci di natura i temi aguzzi e segmentati di Janácek, con i loro ritmi fissi e ripetuti, vengono fuori con trasparenza assoluta, di per sé e nel loro intreccio, sempre con mano di sovrana leggerezza. Quando poi l’orchestrazione sposa i timbri in melodie più articolate, l’orecchio è accarezzato. In un’opera collettiva nella quale gli animali cantano, le tante voci sono parti di un contrappunto della natura, e, benché sulla carta protagoniste, giustamente non devono troppo emergere quelle della Volpe (Isabel Bayrakdarian) e del Guardiacaccia (Quinn Kelsey). Anche nella regia si tratta qui di concertare i movimenti di bipedi, quadrupedi e volatili, tenendo conto che si tratta di uomini travestiti e agenti come animali. Laurent Pelly, che in molti ha suscitato più di un dubbio nella Traviata a Torino, raccoglie con la Volpe astuta la sfida di un realismo assoluto, uscendone vittorioso. Se parte della coreografia risulta sulle prime un po’ kitsch, la delicata naturalezza di tutta la fauna, anche umoristica nei travestimenti ornitologici, è altro motivo d’incanto.
Giangiorgio Satragni