Libretto e musica: Richard Wagner
Direttore orchestra: Alain Altinoglu
Regia: Romeo Castellucci
Costumi: Clara Straber
Luci: Raphael Noel
Siegmund: Peter Wedd
Hunding: Ante Jerkunica
Wotan: Gabor Bretz
Sieglinde: Nadja Stefanoff
Brunnhilde: Ingela Brimberg
Fricka: Marie-Nicole Lemieux
Gerhilde: Karen Vermeiren
Ortlinde: Tineke Ingelgem
Waltraute: Polly Leech
Schwertleite: Lotte Verstaen
Helmwige: Katie Lowe
Siegrune: Marie Andree Bouchard
Grimgerde: Iris Wijnen
Rossweisse: Cristel Loetzsch
Teatro La Monnaie, Bruxelles dal 21 gennaio all’11 febbraio 2024
Questa tetralogia di Wagner messa in scena al teatro La Monnaie di Bruxelles su due anni è il lascito più sostanzioso del sovrintendente De Coluwe, in uscita dopo aver compiuto l’impresa di far entrare il La Monnaie tra i primi 8-10 teatri lirici al mondo. La prima giornata (L’Oro del Reno – nov. 2023) era stato un successo per tutti e anche per Castellucci, che l’aveva messa in scena: solita regia ambiziosa, massimalista nel suo turgore espressionista (per quanto mi riguarda, modernità per modernità, preferisco il minimalismo) - ma l’effetto scenico era spettacolare e sicuramente coerente con libretto e musica. Per questa seconda giornata (La Valkiria-Die Walkure) il bilancio e’ meno netto: voci mediamente buone, recitazione convincente, scene prevalentemente buie, costumi curati, ironicamente candidi e vaporosi quelli di Fricka (forza della tenebra e della reazione) e seguito. E regia - come sempre, quando si tratta di Castellucci – interessante ma discutibile. Mi piacerebbe che Catellucci – che ha un evidente penchant per la filosofia – meditasse la domanda di Guglielmo d’Occam: ‘Perché fare con più quel che può essere fatto con meno’? Certo, quando si mette in scena Wagner non si può non volerne restituire lo stile prodigo, magniloquente, immoderato che gli è proprio. E Castellucci è sicuramente regista congeniale, che’ proprio mettendo in scena Wagner (il Parsifal della Monnaie del 2012 e L’Oro del Reno di qualche mese fa) ha dato il suo meglio. Ma quanto a questa Valkiria mi domando: quale valore aggiunge all’economia dell’opera il frigorifero messo in scena nel secondo atto? Perché fare entrare in scena nel terzo atto nove cavalli neri, dico nove, su un palcoscenico immerso nel buio tanto che era appena possibile distinguerne un paio? E poi cani, uccelli.... Castellucci così motiva: il teatro tradizionale, dice, esclude gli animali e i bambini, cioè quel che vi è di più potente e di più bello: mettendoli in scena si fa cadere il muro della rappresentazione e si lascia apparire l’essere. Sarà! Ma se è questo quel che si vuole, allora occorrerebbe abbandonare il teatro e darsi alla ontologia. E tuttavia molte delle scene erano belle. La più suggestiva: i corpi nudi degli eroi illuminati da una chirurgica e abbagliante luce radente che venivano deposti dalla groppa dei cavalli e accatastati a mucchio. Scena potente. Il personaggio della Valchiria più tormentato, contraddittorio, il più difficile da interpretare è sicuramente Wotan. E’ il dio infelice che dovrebbe regolare il destino degli uomini secondo Giustizia ma si ritrova prigioniero della Legge. Che vuole che gli uomini siano liberi ma sa che la loro libertà passa per la sua fine, la sua caduta. Sa che ‘dio è morto’, nel cuore degli uomini, ma deve commettere un’ultima ingiustizia, far morire l’eroe, Siegmund, per mano del vile Hunding, per rispetto del formalismo della Legge che rende schiavo persino un dio. Gabor Bretz, baritono-basso ungherese ha ben restituito la complessità del personaggio con voce presenza e perfetta dizione tedesca. Peter Wedd, tenore inglese nei panni di Siegmund, ha ben tenuto la scena ma ha avuto qualche comprensibile calo di voce nelle sue oltre due ore di canto. Perfettamente a suo agio nei panni di Brunilde, la soprano svedese Ingela Brimberg ha saputo unire grazia, ampiezza di voce e tenerezza del vibrato. Intensa la breve apparizione di Fricka (la contralto canadese Lemieux), presenza perentoria e voce potente ma senza grandi sfumature, del resto così è il personaggio. Altinoglu sta diventando, a Bruxelles, l’ ‘enfant du pays’. Applauditissimo, come sempre, ha saputo disciplinare la valanga di suoni della ouverture del primo atto, ben governare gli inserimenti e l’esuberanza dei fiati, del resto voluta dallo spartito. Attilio Moro