Musica di Pëtr Il’ič Čajkovskij
Scene liriche in tre atti
Libretto del compositore e Konstantin Šilovskij dall’omonimo romanzo di Puškin
Prima rappresentazione assoluta,Teatro Malyj di Mosca 17 (29) marzo 1879
Direttore James Conlon
Regia Robert Carsen
MAESTRO DEL CORO Roberto Gabbiani
REGISTA COLLABORATORE Peter McClintock
SCENE E COSTUMI Michael Levine
LUCI Jean Kalman
COREOGRAFIA Serge Bennathan
PRINCIPALI INTERPRETI
LARINA Irida Dragoti**
TAT’JANA Maria Bayankina
OL’GA Yulia Matochkina
FILIPP’EVNA Anna Viktorova
EVGENIJ ONEGIN Markus Werba
VLADIMIR LENSKIJ Saimir Pirgu
PRINCIPE GREMIN John Relyea
ZARECKIJ Andrii Ganchuk**
TRIQUET Andrea Giovannini
UN CAPITANO Arturo Espinosa*
* dal progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma
** diplomato “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma
Orchestra, Coro e Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma
Allestimento Canadian Opera Company.
Produzione creata per Metropolitan Opera di New York
Si ringrazia la famiglia Shestakov per il generoso supporto per i ruoli di Onegin, Larina e Zareckij.
Teatro dell’Opera di Roma dal 18 al 29 febbraio 2020
È un Evgenij Onegin esistenzialista quello di Carsen. Per la verità, l’opera di Čajkovskij su libretto di Šilovskij ben si presta a questa interpretazione. Difatti già ad apertura di sipario, sulle note dell’ouverture, vediamo il protagonista sedere al centro di un palco vuoto, dalle tinte diafane, nel mezzo di un terreno coperto da foglie secche cadute a terra, triste e sconsolato intento a tenere qualcosa tra le mani. Un preludio a quanto avverrà nel corso dell’opera di atto in atto?
La domanda è: chi è Evgenij Onegin? Oggi lo si definirebbe un depresso. Gli antichi lo avrebbero qualificato come un melanconico. Gli esistenzialisti, invece, avrebbero detto che si tratta di un uomo che vive nell’assurdo, perché ha perduto consapevolezza di sé, della sua vita e del suo progetto. Difatti, egli non sa cosa fare. Un’oscura apatia lo attanaglia. Tutto gli sembra aver perso valore, qualità, così come ogni caratteristica in grado di dare valore al quotidiano di ciascuno di noi. È in preda a tale “finale di partita”, dove tutto è distrutto – fuori e dentro di sé – e l’attesa di un domani migliore è distante e quasi impossibile dal potersi realizzare, che Evgenij respinge l’amore innocente, esasperatamente romantico – ai limiti della nausea – di Tat’jana. Ragazza, costei, dedita all’introspezione e alla lettura – attività che contribuisce ad arricchire il suo semplice universo interiore, ma che non le permetterà di capire fino in fondo le intenzioni di coloro che le sono accanto e che le capita di incontrare.
Dopo aver rifiutato un amore sincero e aver ucciso un suo caro amico in duello, ad Onegin non resterà altro che partire e viaggiare. Egli vagherà di terra in terra. Nulla ci impedisce di immaginare che abbia girato il mondo. Ma l’essere un viandante allieterà il suo spirito? No, purtroppo. Tristezza e noia continuano a possederlo. Fin quando, rientrato in patria, a un ricevimento organizzato dall’amico Principe Gremin, ecco apparirgli la donna che anni addietro respinse: Tat’jana. La quale, da brava moglie, si presenta accanto a suo marito: Gremin. Onegin si scopre improvvisamente innamorato di lei. Le si dichiara, ma verrà rifiutato. Lei è, e sarà per sempre, la moglie del Principe Gremin.
Sulle scene essenziali, belle, evocative senza ricorrere ad esagerazioni di Michael Levine, si è stagliata l’interpretazione non intensa e poco partecipata di Maria Bayankina (Tat’jana) e Markus Werba (Onegin). Le cui rispettive voci, sotto un profilo squisitamente tecnico, son parse essere dal tono chiaro, con un vibrato ben gestito e dalla timbrica pulita e ricca di armonici.
La buona direzione musicale affidata a James Conlon, pur non ricorrendo a particolari virtuosismi, ha conferito all’opera quel giusto ma equilibrato pathos romantico che la lettura esistenzialista di Carsen aveva attutito.
Un Evgenij Onegin senza eccezionali soluzioni di regia, realizzato con equilibrio e rispetto di un classico nel tentativo di comprenderlo nel suo spirito più nascosto.
Pierluigi Pietricola