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 Romeo Castellucci

FLAUTO MAGICO (IL) - regia
 Romeo Castellucci

"Il flauto magico", regia
 Romeo Castellucci "Il flauto magico", regia
 Romeo Castellucci

Regia: Romeo Castellucci
Direzione musicale: Antonello Manacorda
Direzione Coro: Martino Faggiani
Sarastro: Gabor Bretx
Tamino: Ed Lyon
Regina della Notte: Sabine Devieilhe
Pamina: Sophie Karthauser
Papageno: Georg Nigl
Papagena: Elena Galitskaya
Monostatos: Elmar Golbertsson
Bruxelles, Teatro La Monnaie dal 16 settembre al 4 ottobre 2018

www.Sipario.it, 5 ottobre 2015

All'inizio, il teatro era, come sempre, stracolmo. Neanche piu' uno sgabello in piccionaia. Alla fine, non poche poltrone vuote. Qualche commento della stampa franco-belga.
"L 'estetismo della prima parte annoia, l'umanità della seconda è fastidiosa" (Le Figaro).
"Viaggio nella noia" (La libre Belgique). Per La Premiere è comunque "una esperienza teatrale unica".
Giudizi discordi, certo, ma siamo ben lontani dall'unanime trionfo tributato al Parsifal di Castellucci, sempre qui' a La Monnaie, nel 2015. Lì era Castellucci che interpretava Wagner. Questa volta Castellucci si sostituisce a Mozart. Almeno nel secondo atto quando, volendo mostrare l'ambiguità dei due personaggi chiave dell'Opera, la Regina della Notte (le Tenebre) e Sarastro (la Luce), Castellucci costringe i cantanti a interrompere a più riprese l'opera per recitare lunghi brani – scritti da sua sorella, Claudia Castellucci- nei quali un gruppo di sei personaggi, uno alla volta, racconta di come, investiti dalla luce, siano rimasti insopportabilmente ustionati, mentre l'altro gruppo di sei, quello dei ciechi, dichiarano, sempre uno per volta, di amare le tenebre che li avvolgono. Il tutto complicato da divagazioni sul ruolo delle Madri (la regina della Notte è madre amorosa e al tempo stesso perversa di Pamina). L'idea poteva non essere malvagia. Ma i troppi inserimenti risultano irritanti. Pesanti e cerebrali. In stridente contrasto con la sublime levità di Mozart. Schiacciati dagli inserimenti, i personaggi risultano appiattiti, privi di individualità. Papageno è grigio, Tamino quasi uno scolaretto. Quanto alle voci, soprattutto quella della Regina, sono belle e pulite. Ma nella economia della messa in scena diventano secondarie. La celebre aria della Regina (Der hoelle Rache....) così alata e incredibilmente ricca di gorgheggi, diventa un diversivo tra un noioso monologo e l'altro. Insomma, si direbbe che Castellucci abbia esagerato. Come spesso ha fatto in passato. Ma manca, questa volta, il pepe della provocazione: i personaggo da lui inseriti recitano testi al limite della banalità. Inoltre, a differenza rispetto alle sue realizzazioni migliori, il suo apporto non apre spazi ulteriori rispetto al testo che egli è chiamato a mettere in scena. Semmai li restringono, fino quasi a soffocare l'opera. Non indica un alto modo di leggere l'opera, come qualche volta gli è capitato di fare. Rimane la bellezza delle scene del primo atto: bianco abbagliante, luce radente, un velo circonfonde i personaggi di un'aura di sogno...E i cantanti fanno bene il loro mestiere, non mortificati, come nel secondo atto, dall'ego di Castellucci.

Attilio Moro

Ultima modifica il Giovedì, 11 Ottobre 2018 00:21

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