domenica, 15 settembre, 2024
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DON GIOVANNI - regia Romeo Castellucci

"Don Giovanni", regia Romeo Castellucci. Foto Monika Rittershaus "Don Giovanni", regia Romeo Castellucci. Foto Monika Rittershaus

di Wolfgang Amadeus Mozart
Regia: Romeo Castellucci
Direttore di orchestra:  Teodor Currentzis
Don Giovanni: Davide Luciano
Leporello:  Kyle Ketelsen
Commendatore:  Dmitry Ulyanov
Donna Anna: Nedezhda Pavlova
Don Ottavio: Julian Pregardien
Donna Elvira: Federica Lombardi
Zerlina:  Anna El Khashem
Masetto:  Ruben Drole
Utopia Orchestra
Festival di Salisburgo ( Salzburger Festspiele) 19 luglio-31 agosto 2024

www.Sipario.it, 19 agosto 2024

In altre occasioni ho manifestato il sospetto che il meglio di se’ Castellucci lo abbia gia’ dato. Questo suo Don Giovanni conferma quei sospetti. Si inizia con la scena dello sgombero di una chiesa. Alcuni uomini, in silenzio, ne portano via i banchi, gli inginocchiatoi, il ciborio, le acquesantiere, gli arredi e il monumentale crocifisso, finche’ la scena rimane vuota. Il tutto dura una buona decina di minuti. Dieci minuti per dire che Don Giovanni puo’ essere se’ stesso soltanto sopprimendo Dio. Mi sembra un’ovvieta’. Poi, man mano che la scena dello sgombero andava avanti, mi sono ricordato di averne vista una identica a La Monnaie di Bruxelles qualche anno fa. Si trattava della Jeanne D’Arc di Honegger, regia, di nuovo, di Castellucci. Stesso silenzio, stesso calpestio, stessa lentezza, stesso risultato: la scena vuota. Unica differenza: ad essere sgombrata quella volta non era una chiesa ma una scuola. Ma identico (e di nuovo: ovvio) il significato. Per il resto, siamo alle solite. Un’automobile a fari accesi che pende dal soffitto, poi, a pendere, e’ una carrozza, poi ancora una capretta che attrversa la scena spaurita, poi un topo....e qui’ mi e’ tornata in mente un’altra simile trovata animalista di Castellucci: La Valchiria del gennaio scorso a Bruxelles, quando ha voluto in scena 9 cavalli, tutti rigorosamente neri, dico nove, facendo diventare matto il direttore artistico e l’intero staff organizzativo.  Tornando a questo Don Giovanni – uno dei piu’ lunghi della storia, quattro ore abbondanti - uno schermo trasparente viene a ovattare la scena, dove un vapore, una candida nebbiolina, avvolge i personaggi tutti vestiti anche essi di bianco. Anche questo un ‘deja vu’ : Flauto Magico (ovviamente sempre di Castellucci) a La monnaie nel 2018, stessi vapori, stesso bianco abbacinante, stessa soporifera uniformita’. Non che quelle scene siano brutte, di alcune non si puo’ negare l’ intensita’ o l’eleganza. Qualcuna e’persino divertente, come quella della tabassata di Leporello, che finisce con braccia e gambe di un manichino sparse sul pavimento. Ma la trasposizione del dramma in quel mondo onirico di bambagia oltre a uniformare le scene appiattisce i personaggi. L’ insistenza sui registri tetri, purgatoriali,  amputa il dramma di quanto ha di piu’ godibile: la vis comica dei suoi personaggi (Leporello, Don Ottavio, Zerlina, lo stesso Don Giovanni...). E  anche il canto ne scapita. Luciano e’ stato  eccellente, voce duttile, recitazione di livello e grande personalita’. Si dibatteva come un ossesso in punto di morte, con voce limpida e controllo assoluto. Ha cercato di forzare gli schemi ai quali Castellucci lo costringeva, ma il suo ‘ La’ ci darem la mano’ ne ha sofferto, niente gioia e scarso slancio. Donna Anna e donna Elvira sono state superbe, voci divine, Zerlina anche, ma era un po’ priva di quella deliziosa verve tra l’ingenuo e il malizioso che la rende grande. Discreto Don Ottavio, ridicolmente vestito da clown, anche lui un po’ appiattito sul contesto. Insomma: per quanto bravi, non sempre i cantanti erano a loro agio nelle nebbie oniriche volute dal Castellucci.  Ritengo che Salisburgo meritasse di piu’.

Attilio Moro

Ultima modifica il Lunedì, 26 Agosto 2024 11:30

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