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LOHENGRIN - regia Kirill Serebrennikov

"Lohengrin", regia Kirill Serebrennikov. Foto Charles Duprat "Lohengrin", regia Kirill Serebrennikov. Foto Charles Duprat

di Richard Wagner
Nuova produzione
Prima rappresentazione
Direzione musicale: Alexander Soddy
Regia: Kirill Serebrennikov
Il Re Heinrich: Kwangchul Youn
Lohengrin: Piotr Beczala
Elsa di Brabante: Johanni Van Oostrum
Telramund: Wolfgang Koch
Ortrud: Nina Stemme
Eraldo del re: Shenyang
Direttore del coro: Ching Lien Wu
Orchestra balletto e Coro dell’ Opera de Paris
Opéra Bastille, Parigi dal 23 settembre al 23 ottobre 2023

www.Sipario.it, 29 settembre 2023

A volte (rare) illuminanti, talvolta divertenti, ma troppo spesso irritanti, sono in tanti i registi che stravolgono allegramente le opere che mettono in scena. E quanto più grandi e attese sono le opere, tanto più stravolgono. Serebrennikov è tra questi. Prendiamo uno stravolgimento tra i tanti: il fratello di Elsa, Gottfried, erede legittimo del defunto duca di Brabante e misteriosamente scomparso, ricompare non, come voleva Wagner, grazie alla metamorfosi del cigno, alato simbolo di purezza, ma in una rozza body bag, coperto di sangue per ferite di guerra. Evidente la ormai consueta e banale allusione alla guerra in corso. Del resto la tentazione era irresistibile per Serebrennikov, oppositore di Putin, omosessuale dichiarato e per questo condannato ad alcuni anni di arresti domiciliari a Mosca. Guerra, quindi. Profusa a piene mani, corpi nudi e a volte sanguinanti, sbattuti sulla scena con una punta, mi sbaglierò, di compiacimento. Poi, l’arbitrio, che fa tanto moderno, della medicalizzazione dei personaggi: Elsa, tra farmaci e flebo, compare distesa sul lettino bianco di un ospedale, dove è costretta da Ortrund in veste di improbabile infermiera. E poi un gran fumare, con Lohengrin ed Elsa che succhiano da un’unica sigaretta, come fosse uno spinello e come si trattasse di chissà quale scenica trasgressione….E tuttavia la regia di Serebrennikov non è interamente da buttate. Il primo atto - prima cioè che si infognasse nella cruda retorica della guerra - è stato persino bello, un cerchio di luce aureolava efficacemente i personaggi centrali, il cigno che porta Lohengrin, arduo da mettere in scena, viene ridotto ad una bella e luminosa ala bianca che svetta e illumina la scena. Buona anche la distribuzione dei personaggi, suggestivo il filmato in bianco e nero (un bel giovane si denuda e si immerge in un rito purificatore nelle acque di un lago) mandato in sovraimpressione sulle note della splendida ouverture del primo atto. Il Lohengrin è opera complessa, intensa, forse la migliore di Wagner (basta leggere il libretto: è Goethe, e poi c’è la musica, e che musica!). Ma non è certo facile da rappresentare. Nota la storia: Lohengrin accorre in difesa di Elsa, accusata della morte del fratello da Teltamund e Ortrund, lui assetato di potere e lei una lady Machbet dotata di poteri magici. A lungo invocato, Lohengrin accorre, sconfigge Terlamund e sposa Elsa, dalla quale si fa promettere che non chiederà mai il suo nome, pena la fine dell’incanto, dell’amore e quindi la di lui partenza. Astutamente spinta da Ortrund, Elsa viola la promessa. Lohengrin è dapprima incredulo, poi messo alle strette, dichiara di essere il custode del sacro Graal e scompare. Il sogno è finito. “Weh” (sciagura!) è l’accorata esclamazione del re e del coro sulla quale si chiude il sipario.

Lohengrin è l’ artista e il messia che con la sua purezza e la forza della fede prevale sui miseri calcoli della ragione e la perfidia che hanno portato il ducato sull’orlo della guerra. Lohengrin è il sogno, l’incanto, la fede, la passione, la generosità, la salvezza dalle miserie del mondo e dal crudo realismo che invece sembra tanto tentare Serebrennikov. Ma le preferenze del regista non hanno compromesso più di tanto la bellezza dell’opera: il direttore, l’inglese Soddy ha saputo restituire l’intensità della musica di Wagner, la sua dispiegata vocalità, l’ afflato mistico espresso nella luminosità degli archi, il lirismo e nel contempo il vigore della ricchissima strumentazione: impeccabile! Come impeccabile è stato il coro: compatto, potente, accompagnava l’azione con il pathos dei cori delle tragedie greche. Infine i cantanti. Che dire? Siamo ai vertici. La più impressionante è stata Ortrud: Wagner voleva in lei un personaggio teatralmente totale, corposa, astuta, senza sfumature né compromessi, implacabilmente intensa come la sua musica. E la Stemme, soprano svedese, è stata all’altezza quanto a voce, e monumentale quanto a presenza. Il tenore polacco Piotr Bezcala è stato un buon Lohengrin, voce possente senza narcisismi, sempre ben piantato in scena, un pò aria da gigolo latino che però non guastava. Elsa era Johanni Van Oostrum, giovane soprano sudafricana al suo debutto all’Opéra de Paris, a pieni voti: voce morbida, plastica, capace di improvvisi soprassalti, portamento fiero ed elegante. Il re aveva voce e portamento del ruolo, e Terlamund-Koch, baritono sperimentato, aveva i toni giusti - anche se a momenti è parso un po’ affaticato. Gli applausi del pubblico hanno decretato il trionfo.

Attilio Moro     

Ultima modifica il Sabato, 30 Settembre 2023 11:22

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