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ORFEO (L') - regia Andrea Cigni

"L'Orfeo", regia Andrea Cigni "L'Orfeo", regia Andrea Cigni

Favola pastorale di Alessandro Striggio
Musica di Claudio Monteverdi
Con Emiliano Gonzalez Toro (Orfeo), Anna Maria Sarra (Euridice/La Musica), Anna Bessi (Messaggera/Speranza), Luigi de Donato (Caronte), Federico Benetti (Plutone/ Pastore IV), Gaia Petrone (Proserpina/Ninfa), Giacomo Schiavo (Apollo / Pastore I), Daniele Palma (Pastore II), Maximiliano Baños (Pastore III) Daniele Palma, Renato Cadel (Spiriti infernali)
regia di Andrea Cigni
scene e costumi di Lorenzo Cutùli
light designer Fiammetta Baldiserri
movimenti coreografici di Isa Traversi
assistente ai costumi Veronica Pattuelli
Accademia Bizantina, diretta da Ottavio Dantone
Coro Costanzo Porta, diretto da Antonio Greco e Diego Maccagnola
produzione Fondazione Teatro Amilcare Ponchielli
a Cremona, al teatro Ponchielli, 5 maggio 2017

www.Sipario.it, 7 maggio 2017

Bello sarebbe che L'Orfeo di Monteverdi diventasse un appuntamento annuale per il festival dedicato al 'divin Claudio' e si dirà di più: che la versione del regista Andrea Cigni e dell'Accademia Bizantina di Ottavio Dantone diventasse quello che Arlecchino servitore di due padroni è per il Piccolo Teatro di Milano: uno spettacolo fondante e fondamento per una riflessione su Monteverdi e il melodramma. A dire il vero L'Orfeo allestito per i 450 anni della nascita di Monteverdi è stata una ripresa dell'edizione dei 400 anni della messinscena della prima opera monteverdiana, ma una ripresa che ha dimostrato una maturità scenico/registica e interpretativo/orchestrale che non dovrebbe essere accantonata e anzi dovrebbe farsi repertorio. L'Orfeo di Cigni/Dantone vive infatti di una sua stratificata lettura registico/musicale che ne fa un libro da sfogliare e su cui riflettere, un piacere per l'udito e per l'intelletto. Non è un caso che la Musica nel prologo non entri con la lira ma con un libro, un libro di fiabe che sfoglia e legge insieme agli spettatori in proscenio. Quel libro è favola del racconto di Orfeo ed Euridice e del loro amore oltre la morte, ma è anche storia che s'innerva nella tradizione del teatro musicale e del melodramma che dalla corte dei Gonzaga parte per diffondersi in tutta Europa. Ed è questa doppia chiave di lettura: storica e metastorica che caratterizza la regia di Cigni e la direzione di Dantone. Andrea Cigni – complici le bellissime scene e i ricchi costumi di Lorenzo Cutùli – costruisce un racconto che procede su due binari: da un lato l'evocazione del contesto festivo e fabulistico dell'Orfeo monteverdiano e dall'altro le conseguenze che quell'invenzione teatrale ebbe. Così se pure si ritrovano gli elementi della favola, i pastori, la discesa nell'Ade dal sapore dantesco, l'ascesa al paradiso/Olimpo di un Orfeo assurto al cielo da Apollo, come Dante con Beatrice, tutto ciò è 'disturbato' dal metalinguaggio operistico, da continui richiami alla storia dell'opera che si ritrovano nei costumi di alcuni personaggi per cui basta un vistoso collo a raggera per richiamare alla mente la Regina della Notte di Mozart, o ancora un ombrellino di foggia giapponese per far pensare alla Madama Butterfly, o ancora una certa oscurità degna del Macbeth di Verdi, per non dire di un'Euridice che nell'addio al suo Orfeo è una citazione di Francesca da Rimini di Sarah Bernhardt, ma anche a una ottocentesca Violetta. In realtà i richiami visivi sono molteplici e si spazia dal Dracula di Bram Stoker nella versione di Francis Ford Coppola a Eyes Wide Shut di Stanley Kubrick. Così Proserpina che sgrana una corona di coralli rossi come i chicchi di melograno ricorda il conte Vlad barocco del regista italoamericano, oppure nella processione degli incappucciati come non leggere l'orgia del Doppio sogno riletto da Kubrick. In questa sovrabbondanza di scene e di segni si rischia l'overdose – soprattutto nella prima parte pastorale – ma il gioco dei rimandi è colto e interessante, sollecita l'occhio e la memoria dello spettatore, mantenendo un fil rouge lungo la 'storia del melodramma'. Ed è quanto fa – di tutta risposta – la direzione di Ottavio Dantone che in una restituzione mai eccessiva e a tratti intimista della partitura monteverdiana a tratti sembra mettere in luce ciò che c'è in nuce nell'Orfeo: la storia gloriosa e unica del melodramma italiano, prima europeo poi. In questo senso la prassi barocca si sposa con accenti e tonalità più romantiche – soprattutto nei duetti finali – ma si evidenzia con misura e gusto anche una cantabilità della partitura monteverdiana che in certi punti la fa sembrare addirittura pop. In tutto questo il cast di cantanti appare non solo ben assortito, ma in completa sintonia con una lettura registico/musicale non banale, ricca e pensata che soddisfa gli amanti della prassi filologica come i melomani tout cour, ma anche chi crede forte e gravida si sviluppi la contemporaneità ossimorica insita nella musica antica. Anche per queste ragioni si crede sarebbe un peccato dover aspettare altri dieci anni per rivedere Orfeo nella città natale di Monteverdi e si dirà di più: questo Orfeo potrebbe divenire il manifesto di una professione di fede e di intelligenza che vuole il 'divin Claudio nostro contemporaneo'. Insomma il Ponchielli osi e metta in repertorio il suo Orfeo, facendone un appuntamento fisso ogni anno, magari nel giorno della nascita di Monteverdi: il 9 maggio 1567.... Che Orfeo diventi per Cremona come il cambio della guardia a Buckingham Palace.

Nicola Arrigoni

Ultima modifica il Domenica, 07 Maggio 2017 22:45

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