Musica Christoph Willibald Gluck
Azione teatrale in tre atti
Libretto di Ranieri de' Calzabigi
Direttore Gianluca Capuano
Regia Robert Carsen
MAESTRO DEL CORO Roberto Gabbiani
SCENE E COSTUMI Tobias Hoheisel
LUCI Robert Carsen e Peter Van Praet
PRINCIPALI INTERPRETI
ORFEO Carlo Vistoli
EURIDICE Mariangela Sicilia
AMORE Emőke Baráth
Orchestra e Coro del Teatro dell'Opera di Roma
Nuovo allestimento
in coproduzione con Théâtre des Champs-Elysées, Château de Versailles Spectacles, Canadian Opera Company
Teatro dell'Opera di Roma dal 15 al 22 Marzo 2019; anteprima giovani: 13 Marzo 2019
Fortunato quel poeta che per una vita insegue un'idea, un'immagine di cui il suo animo si nutre, e che trascorre tutta l'esistenza a precisare sensazioni o intuizioni da tradurre in versi immagini o musica, approssimandosi via via a quell'unico ma grande pensiero che popola la sua mente così come il suo cuore. Di che altro, dopo tutto, parla il mito di Orfeo?
Questo personaggio straordinariamente dotato nel suonare la lira, la cui musica è in grado di irretire gli animi più riottosi e quelli più crudeli; quest'eroe che nell'arte trova gli aspetti migliori del suo coraggio, un giorno s'innamora follemente di Euridice. Solo gli spiriti più ingenui e trivi possono credere che ciò significhi la perdita d'un grande talento. Per Orfeo volle dire affinare le sue doti creative. Anche quando, morta Euridice, egli scenderà agli inferi per riprenderla, sarà sempre la musica la sua più fedele e coraggiosa compagna. E tornando al mondo dei vivi, ma tradendo il giuramento di non voltarsi mai a guardare la sua amata durante la anabasi così perdendola per sempre, sarà ancora la musica a consolare e colorare i suoi giorni sino alla fine.
Da questo mito, Gluck ha tratto materia per la sua Orfeo ed Euridice. Qui vi è la figura del poeta nella sua accezione più autentica di creatore a governare la scena. Vi è la donna amata: certo! Ma essa assurge ad ideale, un archetipo che solo l'arte è in grado di mettere in vita così dandole un corpo entro cui lo spirito può incarnarsi. La sostanza mitica si tramuta in una potente meditazione su cosa significhi creare: dar vita ad opere in uno stato di pura ebetudine? Essere rapiti da quella che i più chiamano ispirazione? Trasporre in termini diretti i propri sentimenti? Nulla di tutto ciò. Semmai, ci dice implicitamente Gluck, è guardare nel più profondo del proprio animo – dove luce ed oscurità si confondono rimanendo distinti – con disincanto, senza nutrire false illusioni, senza che mai il poeta inganni se stesso.
Nella regia di Robert Carsen, dell'opera di Gluck emerge la dinamica degli affetti che definiscono la vita: amore e morte, su cui tutto si anima. La scena dei vivi: una landa brulla dove si celebrano le esequie di Euridice. Il regno di Ade: un emiciclo di fiaccole entro cui stanno le anime in riposo. In entrambe le ricostruzioni, è il gioco di tormenti e gioie fra Orfeo e la sua amata il vero protagonista.
Su una direzione serrata, secca, rapida e precisa affidata a Gianluca Capuano, s'innestano le buone interpretazioni di Carlo Vistoli (Orfeo) e Mariangela Sicilia (Euridice): entrambi dalla voce potente, ben modulata e sostenuta, hanno saputo cambiare registro dai bassi agli acuti in modo graduale, senza scatti repentini privi di colore ed armonici. Tanto Vistoli quanto Marianna Sicilia han saputo essere passionali mai cedendo al melenso. Ed è questa distanza dalle forti passioni, osservate più che patite, a recuperare quel senso mitico che nella lettura di Carsen, ad esser sinceri, è stato un po' messo da parte.
Pierluigi Pietricola