di Claude Debussy
direttore: Gianluigi Gelmetti
regia: Pierre Audi, scene: Anish Kapoor, costumi: Patrick Kinmonth, disegno luci: Jean Kalman
con Jean-François Lapointe / Massimiliano Gagliardo, Monica Bacelli / Nathalie Manfrino
Orchestra e Coro del Teatro dell'Opera Roma
Teatro dell'Opera, Roma dal 2 al 9 ottobre 2009
Ci sarebbe rimasto male Debussy nel vedere la sua Mélisande trascinarsi più calva dell’albitro Collina sul palcoscenico del Teatro dell’Opera, dove il suo capolavoro stava appagando un’attesa (fino a un certo punto: la sala in realtà era mezza vuota) che qui s’era protratta per un quarto di secolo dopo la sua ultima messa in scena (1984). La chioma della protagonista del «Pélleas et Mélisande» è irrinunciabile: forse l’unico appiglio delicato e un po’ fiabesco nella cupa e tragica vicenda di un amore alla Paolo e Francesca. Ricorre in continuazione nel testo, e la musica la dipinge anche in assenza di melodia, con gli impasti flautati e gli arpeggi, quasi replicando la fanciulla dai capelli di lino che lo stesso Debussy descrisse nei «Preludi». Ma qui la si è sacrificata in nome di una delle tante forzature simbologiche offerte dalla regia del franco-libanese Pierre Audi, ed è difficile da spiegare come del resto la scenografia dello scultore anglo-indiano Anish Kapoor, celebre per come stravolge e trasforma gli spazi e che in questo caso sostituisce foreste e castelli con una massa enorme e sinuosa che incorpora una scala di ferro degna di una rampa di lancio spaziale e che ruota dall’inizio alla fine dell’opera. Per fortuna ha funzionato quasi alla perfezione la componente musicale dell’allestimento, comprendendo nel giudizio positivo sia l’orchestra che il cast vocale. Sul podio, Gelmetti si è dimostrato un attento interprete debussiano, esponendo con grande chiarezza una partitura complessa, che si realizza solo cogliendo ispirati e con precisione le magie timbriche e le sfumature espressive. Lodevoli il colore e lo slancio appassionato di un equilibratissimo cast vocale: Jean François Lapointe (Pélleas), Monica Bacelli (Mèlisande), Laurent Naouri (Galaud), Elena Cassian (Geneviève) e Jean-Philippe Lafont (Arkel). P.S. - Nel finale Mélisande ritrova la sua chioma. E non si capisce se si tratti di un pentimento del regista, o di un ulteriore (e per noi incomprensibile) apporto simbolico. Comunque ha forse un po’ incoraggiato l’applauso degli spettatori.
Virgilio Celletti
Mélisande non dà fremiti
Se il ritorno di Pelléas et Mélisande dopo 25 anni all'Opera di Roma segna un esito noioso la causa prima è dell'allestimento di Pierre Audi, che utilizza lo scultore Anish Kapoor in veste di scenografo. Troviamo un fungo rosso sdraiato e rotante, convesso da una parte e concavo dall'altra: i connotati sessuali dei protagonisti. E' l'eccezione alla regola di Audi, che non ama i simboli: e perciò mette in scena un'opera che di simboli è intrisa. Nessuno dunque si aspetti un omaggio alla "chevelure" di Mélisande perché è calva. Non un fremito viene dalla gelida costruzione. Gelmetti dirige come se avesse davanti la scena più inquietante, e giù con le nuances necessarie, che la scena non riflette. Affidare la parte di Pelléas a un baritono è possibile, ma quando si hanno due baritoni-chiave (Jean-Francois Lapointe e Laurent Naouri) addio alla differenza tra i ruoli. Non basta Monica Bacelli (al limite del sussurro) a rendere l'incubo di Maeterlink-Debussy. Pubblico scarso e propenso alla fuga.
Michelangelo Zurletti
La scena è dominata da una grande scultura rossa rotante, dalle forme tondeggianti, sezionata: ventre di donna, fiore, occhio? È un oggetto dalla forte connotazione simbolica, che si può prestare a diverse interpretazioni. Dentro e fuori di lei si muovono i personaggi, che la possono percorrere in alto, su una pedana praticabile raggiunta da una scala a vista. Realizzata dallo scultore anglo-indiano Anish Kapoor, al quale Londra sta rendendo omaggio in queste settimane con una mostra, questa struttura è l’elemento scenico sul quale Pierre Audi ha costruito la sua regia di Pelléas et Mélisande di Claude Debussy, andato in scena ieri sera al Teatro dell’Opera, diretto da Gianluigi Gelmetti. Lo spettacolo, realizzato in coproduzione col Teatro La Monnaie di Bruxelles, vedeva il debutto a Roma del regista franco - libanese, autore d’importanti allestimenti, tra i quali il coloratissimo Flauto magico di Mozart visto a Salisburgo nel 2006 con la direzione di Riccardo Muti.
Audy aveva dichiarato di aver costruito la sua regia anche dal testo di Maurice Maeterlink, che s’ispirò al mito di Barbablù per il suo dramma Ariane et Barbe-Bleu per il personaggio di Goulaud, che si comporta in modo violento, e in generale per la “tinta” dello spettacolo, anche se il personaggio chiave dell’opera è Mélisande, desiderata da tutti, sogno irraggiungibile. Lo spazio scenico è diviso in due: la zona esterna è usata per le scene realistiche, quella interna per quelli onirici e misteriosi. Una soluzione che funziona, anche grazie all’efficacia delle luci, firmate da Jean Kalman, in piena sintonia con il clima espressivo dell’opera.
Pelléas et Mélisande costituisce una tappa di fondamentale importanza nella storia dell’opera per le sue innovazioni stilistiche e linguistiche. Debussy scelse di mettere in musica un testo in prosa: una novità assoluta, che lo spinse a realizzare una declamazione continuamente cangiante, scorrevole e libera da costrizioni metriche. Per raggiungere tale scopo il compositore utilizzò scelte armoniche e timbriche del tutto nuove. Il flusso sonoro costruito su armonie continuamente cangianti ridisegna magnificamente il tempo sospeso e onirico di questo lavoro, nel quale è nuovo anche il rapporto tra i cantanti e l’orchestra.
Pelléas, tornato finalmente a Roma dopo venticinque anni, era affidato, come nel 1984, alla responsabilità musicale di Gianluigi Gelmetti. Il direttore romano ha posto l’accento sull’aspetto esoterico della partitura, privilegiandone i tratti intimi piuttosto che quelli esteriori, ben coadiuvato da un’Orchestra, sempre pronta e reattiva alle sue sollecitazioni, in ottima forma in tutti i suoi comparti, restituendo bene le atmosfere oniriche della partitura.
Ottima la prova dei tre personaggi principali, sia dal punto di vista vocale, sia da quello scenico: Jean-Francois Lapointe (Pelleas), Monica Bacelli (Melisande), Laurent Naouri (Golaud). Buono il resto del cast. Teatro non esaurito. Successo convinto per tutti.
Luca Della Libera