mercoledì, 02 ottobre, 2024
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MACBETH - regia Pierre Audi

"Macbeth", regia Pierre Audi. Foto Roberto Ricci "Macbeth", regia Pierre Audi. Foto Roberto Ricci

Versione francese del 1865
Musica di Giuseppe Verdi
melodramma in quattro parti su libretto di Francesco Maria Piave, da Shakespeare.
Traduzione in francese di Charles Louis Étienne Nuitter e Alexandre Beaumont
Revisione a cura di Candida Mantica sull’edizione critica a cura di David Lawton
The University of Chicago Press, Chicago e Casa Ricordi, Milano.
Direttore Roberto Abbado - Regia Pierre Audi
Scene Michele Taborelli - Costumi Robby Duiveman
Luci Jean Kalman e Marco Filibeck - Coreografie Pim Veulings
Filarmonica Arturo Toscanini - Coro del Teatro Regio di Parma 
Maestro del coro Martino Faggiani
Nuovo allestimento del Teatro Regio di Parma per il Festival Verdi 2024
Macbeth: Ernesto Petti - Lady Macbeth: Lidia Fridman
Banquo: Riccardo Fassi - Macduff: Luciano  Ganci 
Malcom: David Astorga - La Comtesse: Natalia Gavrilan 
Un Médecin:  Rocco Cavalluzzi 
Un  serviteur/ Un sicaire/ Premiere fantôme: Eugenio Maria Degiacomi 
Deuxième fantôme: Agata Pelosi - Troisième  fantôme:  Alice Pellegrini 
Teatro Regio di Parma, 21 settembre 2024

www.Sipario.it, 29 settembre 2024

Parma - un magnifico “Macbeth” ha aperto la XXIV edizione del Festival Verdi 
Eccellenti gli interpreti, formidabile la direzione d’orchestra, densa di pensiero la regia.
Di rara perfezione questo allestimento della versione francese del 1865 

Sulla scena lo stesso teatro come specchio - e Macbeth e Banquo si aggirano tra le sedie abitate dalle streghe come se fossero tra il pubblico del Teatro Regio, che accoglie dunque anche gli strati più profondi dell’inconscio, il buio mistero del male che sa gustare il piacere della vendetta: la donna di un nocchiero ha infastidito una di loro? entro un’ora il marinaio morirà! L’odio, come l’ambizione sfrenata, appartengono dunque indistintamente a tutti, anche al bel pubblico composto che assiste alla grande cerimonia del Festival Verdi? Basta un varco - la visione della possibilità reale che il male si possa compiere - per poter agire? Ambiguità dell’animo umano, miscuglio di bello e di brutto, come ben sanno quelle oscure creature del mistero. Per tutta la prima parte di questo magnifico “Macbeth”, direzione di Roberto Abbado, regia di Pierre Audi, che unisce il primo e secondo atto, torna più volte l’immagine a specchio, tutto il mondo come la Scozia, terra di delitti, di sopraffazioni e violenza, con una seconda parte invece più astratta con una sorta di grata mobile a più strati e livelli. 

E pare correre più veloce il tempo dell’azione. Tutto accade in fretta: la lettera viene recitata dallo stesso Macbeth alla moglie che ne termina la lettura. Un’andatura spasmodica per il conflitto se uccidere o no colui che è re, parente e ospite. Del resto si fermerà presso la loro dimora solo una notte. E se anche la seconda parte sembra susseguirsi a ritmi incalzanti, un carattere già dell’opera shakespeariana, quasi che gli anni non siano che pochi giorni (meglio: notti - e insonni), pare che la sofferenza psicologica, la dannazione ormai certa sulla terra e oltre, dilati musicalmente le ore, impossibile il riposo, ossessivo il bisogno di uccidere. Conquistato il potere bisogna conservarlo. E senza più alcuna remora: perché, immaginario e realtà, cresce il numero di chi lo considera nemico da abbattere, lui dentro quell’incubo che crea spavento e orrore a lui stesso. 

Di grande rilievo, per cogliere sfumature sonore che nascono però anche da precisi contesti politici, le differenze tra la versione del 1847 al debutto alla Pergola di Firenze, ancora carica di tensioni patriottiche, a quella francese, parigina, 1865,  al Thèatree Lyrique, tante anche di piccoli ritocchi - ha spiegato il direttore Roberto Abbado - ma alcune più ampie, d’immediato impatto, specie per il coro che apre il quarto atto: interessante che, pur mantenendo la versione definitiva le parole del debutto italiano (anche la parola “oppressa”, svanita in Francia) conservi invece le scelte musicali del ’65. C’è una nuova ricerca, di esecuzione e di ascolto, il canto “sussurrato”; tra le modifiche più rilevanti l’aria “la luce langue”, con slittamento emotivo da Macbeth alla Lady, e il finale, quella “fuga in do maggiore che indica - sottolinea ancora Abbado - il trionfo della ragione sull’oscurità, la vittoria della luce”. Il ritmo sempre incalzante. 

Nel dialogo guidato da Carla Moreni, il regista Pierre Audi e Roberto Abbado hanno messo in rilievo l’importanza del tempo di lavoro insieme, grati alla direzione artistica del Regio di Parma per aver permesso questo: troppo spesso si tende a lavorare nell’urgenza con assemblaggi di soluzioni raggiunte separatamente. Il grande Michele Pertusi, che avrebbe quindi fatto suo il ruolo di Banquo (ma molti applausi ha meritato anche Riccardo Fassi) sottolinea la differenza della lingua: “il francese dà un colore completamente diverso, anche la scansione tra le consonanti tende a essere più morbida”. Affascinanti questi confronti che permettono di cogliere slittamenti nella poetica di Verdi, ma anche la tenacia nel difendere il suo pensiero, specie per il valore delle parole, che in “Macbeth” devono essere poche e ricche di significato, da esprimere in scena  “col canto e con l’azione”. Così in questo spettacolo straordinario per le interpretazioni, la regia, il coro, la direzione d’orchestra, una perfezione davvero rara per cultura, efficacia espressiva e forza coinvolgente. 

Al centro una botola quadrata, con precise funzioni (salgono e scendono per esempio le sedie delle streghe ma anche per il banchetto con apparizione di Banquo), ma anche emotivo: lì avverranno, “omaggio alla tragedia greca” (Audi) le azioni principali. Fondamentale il contributo delle luci, tagli straordinari d’atmosfera e guida ai personaggi, più livide nella seconda parte, anche nella tonalità del verde, nella crescita di quello sgomento insonne mentre si stratificano i morti. E anche la Lady, alta, imponente, capace di guidare con durezza il suo sposo, sarà colta da allucinazioni: è con una semplice tunica bianca che si muove scivolando nella notte, nella fine, mentre tenta di lavare quelle macchie di sangue dalle mani. 

Non hanno figli Macbeth e la moglie, o sono morti. Audi la considera una scelta: non ne hanno voluti. Pure vorrebbero annullare ogni discendenza: con Banquo deve morire anche il figlio, a chi è stato predetta una discendenza regale. Con l’immaginazione li vedono catturati e uccisi. Ma il ragazzo si salverà. E la scena si riempirà di bambini, che sfilano tranquilli a ricordare quel futuro negato a Macbeth - ma anche di piccole creature uccise, un ampio mucchio, avvolte ciascuna in panni chiari, i figli di Macduff e i tanti, tanti altri. Come accade in ogni guerra. Non c’è amore in “Macbeth”, nessuna forma  di tenerezza. A tratti il protagonista si piega a terra, quasi trascinando le gambe come fossero passive, inabili al cammino. Anche il corpo vive nella coscienza del male, che trasforma radicalmente chi lo compie. 

Nella prima parte si alternano il doppio a specchio del teatro e i velluti rossi sul fondo. Comunque finzione? Tutto è incerto, instabile. Il bello è brutto: un ossimoro, sfida ironica alle prime battute delle streghe. Ma: possono anche risorgere i morti? “Torna sottoterra/ nel buio cimitero”, ordina invano Macbeth allo spettro di Banquo. Nella seconda parte il conflitto interiore di Macbeth  si traduce in immagini con tre figure rosse che danzano con il suo doppio: le streghe sono intime figure d’ambizione, d’ansia di potere, che vivono nascoste nell’animo umano. Ha visto apparire la stirpe di Banquo? Tutti, tutti dovranno morire, “la loro intera razza”.

Nella versione francese la patria non è più oppressa ma “nobile”, soccombe “tenera madre”. C’era stato un diverso Macbeth un tempo, leale verso il suo re, pronto a combattere per lui. E ne ha nostalgia. Mai più un amico sincero. Da nessuno sulla sua “fredda pietra” lacrime e rimpianti.

Si perde nella struttura incalzante, l’indimenticabile battuta shakespeariana del “domani e domani”, l’attore sul palcoscenico della vita costretto alla sua parte, ma resta il “vano rumore portato da un soffio leggero”. E se è vero che l’azione finale appare come vittoria della razionalità sull’incubo del subconscio e del sangue, qui pare di avvertire un attimo di incertezza in Macduff prima di consegnare la corona a Malcom, figlio di Duncan, che aveva comunque conquistato il potere con l’esercito, ben schierato alle sue spalle. Presto sarebbe cominciata una nuova guerra di conquista? Così ci dice Shakespeare: un insegnamento della Storia? “Potere e politica” è il titolo di questa  XXIV edizione del Festival Verdi al Regio  di Parma. 

Analisi critiche più che positive per questo “Macbeth”. E non poteva essere diversamente. Si coglie in particolare il piacere del confronto tra versione italiana e francese, ricordando come, sempre a Parma e per il Festival Verdi, durante la pandemia, 2020, lo stesso Roberto Abbado avesse diretto quest’opera all’aperto, al Parco Ducale, ma nella sola forma di concerto. Un atto di coraggio la decisione di non fermarsi. Bello ora ritrovarsi in sala, con antichi riti: sempre folto il pubblico, tantissimi gli applausi, grande la soddisfazione per la città ma anche per i numerosi ospiti stranieri. 

Valeria Ottolenghi

Ultima modifica il Lunedì, 30 Settembre 2024 10:45

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