di Charles Gounod
Opera in cinque atti, su libretto di Jules Barbier e Michel Carré, tratto dalla tragedia “Romeo e Giulietta” di William Shakespeare, del 1596
direttore Jordi Bernàcer
regia e scene Éric Ruf
regia ripresa da Céline Gaudier
costumi Christian Lacroix
disegno luci Bertrand Couderc
coreografie Glyslein Lefever
collaborazione artistica Léonidas Strapatsakis
maestro del coro Fabrizio Cassi
ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO PETRUZZELLI
Produzione | Opéra Comique de Paris
In coproduzione | Opéra de Rouen Normandie, Rouen | Le Bühnen Bern, Berne | Fondazione Teatro Petruzzelli
Juliette Claudia Pavone / Ani Yorentz
Roméo Ivan Magrì / Mario Rojas
Frère Laurent Byung Gil Kim / Ugo Guagliardo
Mercutio Christian Senn / Gustavo Castillo
Stéphano José Maria Lo Monaco
Capulet Rocco Cavalluzzi
Tybalt Valerio Borgioni
Gertrude Antonella Colaianni
Le Duc de Vérone Jungmin Kim
Benvolio Murat Can Guvem
Gregorio Marcello Rosiello
Le Comte Pâris Carmine Giordano
Frère Jean Carlo Sgura
Bari, Teatro Petruzzelli 14-18 settembre 2022
Che fosse un innovatore probabilmente Charles Gounod non lo sapeva, ma la sua musica è stata necessaria per aprire al futuro e a quel cosiddetto rinnovamento del linguaggio che porterà all’impressionismo. Eppure Gounod con la sua estrema gentilezza nella scrittura è stato talmente capace di anticipare i tempi che molti futuri compositori lo hanno studiato e hanno compreso le sue intuizioni. In particolare Giacomo Puccini e Maurice Ravel. Entrambi su strade più o meno simili, tracciano da Gounod quella linea necessaria per comprendere che la scrittura lirica, la scrittura sinfonica avesse bisogno di respiro. Uscire quindi dagli stilemi compositivi per vedere il futuro. Ed è capace Gounod di sentire questo vento che cambia? Certamente, anzi è grazie a lui che anche il suo collega Jules Massenet saprà dipanare la matassa della narrazione lirica per aprirsi ad un nuovo teatro, fatto soprattutto di sentimenti e di affondamenti psichici. E’ vero che Caikovskij aveva aperto la strada a tutti con le sue opere liriche di un immenso senso del dramma e della ricerca interiore. Ma Caikovskij era Caikovskij. I francesi sono sempre stati musicalmente più cauti, più attenti alle forme. Tant’è che il grande creatore del grand-operà sarà il tedesco Giacomo Mejerbeer che rivoluzionerà l’opera lirica e sarà talmente attento a traghettare i francesi verso il futuro wagneriano che i suoi lavori rimangono emblematici. Ma tornando a Gounod, ribadendo che la sua scrittura rimane gentile, delicata e di assoluta bellezza, possiamo ben dire che è grazie a lui che il teatro lirico francese prende una forma interessante, attenta appunto alla narrazione psicologica e quindi sentimentale dei protagonisti. E’ vero che la sua opera più famosa è il Faust ma è anche vero che Roméo et Juliette rimane un vero capolavoro di descrizione narrativa della psiche umana. Per certi versi la sua dimensione è vicina a quella di Caikovskij ed è sovente ritrovare dei temi di quest’opera che ricalcano proprio l’ambiente interiore dei protagonisti. Considerando poi l’argomento ciò che muove Gounod è soprattutto l’umana pietà, la narrazione di uno dei riferimenti più importanti della vita umana, l’amore. Rappresentare quest’opera in Italia non è cosa facile, ci vuole un cast capace di interpretare la difficile tessitura. Pertanto, mentre tanti enti lirici fanno a gara nel riproporre più o meno gli stessi titoli, al Petruzzelli di Bari la scelta è quella di rappresentare questa bellissima opera di Gounod. A ragion veduta. Pertanto il cast è di prim’ordine, in particolare Ani Yorentz è stata immensa nel riportare in sé la disperata passione d’amore. In questa sua interpretazione è facile ravvedere la scuola lirica che prediligeva il trasporto da parte del cantante. Non di meno è stato Mario Rojas che sa far comprendere quell’umana passione che si chiama vita. L’orchestra del Petruzzelli si presenta sempre più attenta ad interpretare partiture difficili come questa di Gounod. Grazie anche alla direzione, precisa, impressionante e amabile di Jordi Bernacer, un veterano del sinfonismo lirico. La regia di Eric Ruf spinge lo spettatore a vivere in una dimensione sopra la passione; con sfondi di pietra e con colori fra il grigio e il bianco la sua regia è volta all’essenza della narrazione degli interpreti. E’ curioso come la scena in cui Juliette decide di accettare la pozione che le da Frére Laurent porti a pensare alla desolazione appassionata dell’ultimo atto della Manon Lescaut di Puccini. Segno dei tempi, probabilmente. Marco Ranaldi