di Giacomo Puccini
direttore: Pinchas Steinberg
regia, scene e costumi: Denis Krief
con Giovanna Casolla, Max René Casotti, Marco Spotti, Antonello Palombi
Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo
Napoli, Teatro di San Carlo, dal 20 al 28 giugno 2008
Per l'arrivederci una «Turandot» trasgressiva
In una «Turandot» di inizio estate, diversa nell'allestimento e nei protagonisti da quella annunciata mesi fa, decisamente ortodossa sotto il profilo musicale (con finale filologico, sulla morte di Liù), l'unico sussulto viene dalla messinscena di Denis Krief (già premiata con l'«Abbiati»), felicemente fuori dagli schemi, apparentemente trasgressiva, semplice negli esiti ed invece assai densa di riferimenti pittorici, letterari, teatrali, persino cinematografici. Non è un caso che alla prima di venerdì scorso la platea del San Carlo abbia riservato solo al regista il proprio dissenso, cauto ma tangibile tra i tanti applausi cordiali e gli ululati gioiosi di rari claqueurs. Che una certa pigrizia intellettuale, infatti, serpeggi tra il pubblico sancarliano è un dato di fatto; e che la stessa porti ad arroccarsi a difesa del déjà vu, specie in un ambito di consolidata tradizione, è elemento non meno evidente. Parliamo di musica, allora, e di una serata, in questo senso, di ordinario successo. Limpido e condivisibile quello ottenuto da Giovanna Casolla, che gestisce il ruolo del titolo con la stessa disinvoltura esibita in molte altre occasioni, disegnando una principessa capricciosa («viperina», avrebbe detto Puccini) e non per questo meno solida sul piano vocale. Norah Amsellem sortisce l'inossidabile effetto Liù (quello che fa leva sul patetismo lirico del personaggio e sulla bellezza delle arie), trovando applausi a scena aperta: musicalità fuori discussione, ma la ricordavamo più aerea nell'edizione di qualche anno fa. Non molto da dire sul Calaf di Antonello Palombi, ordinato e qualche volta ordinario, spesso enfatico sul piano espressivo. Ben caratterizzata la triade Ping (Giorgio Caoduro), Pong (Stefano Pisani), Pang (Luca Casalin), con il primo - voce giovane e autorevole - in buona evidenza. A completare un cast tutto, comunque, molto applaudito citiamo Marco Spotti (Timur), Max René Cosotti (Altoum) e Andrea Porta (Mandarino). A tutti, il direttore Pinchas Steinberg offre la garanzia di un mestiere rigoroso, tanto più efficace nella gestione del rapporto tra la buca e la scena, assolta senza impacci né in termini di tempi né di equilibri di volume. Oltre questo, però, Steinberg si concede il lusso - complice un'orchestra sancarliana in ottima forma - di cercare sonorità interessanti e soluzioni moderne (pensiamo all'inizio del terzo atto), rivelando le affinità tutt'altro che casuali della scrittura pucciniana con la produzione europea del primo Novecento. Sarebbe ovvio, se non fosse che in genere si privilegia un più generico e suadente esotismo di maniera. Sulla stessa lunghezza d'onda, la messinscena di Krief (regia, scene, costumi e luci) mette da parte cineserie d'importazione per costruire, invece, un universo fiabesco tanto essenziale ed allusivo da sottrarsi a qualsiasi connotazione univoca. Sceglie gli anni Venti del secolo scorso non per un gioco compiaciuto di citazioni quanto per rimarcare la densità di istanze e suggestioni (dall'astrattismo al cabaret tedesco) non estranee a Puccini, musicista e uomo di cultura europeo. Il tutto sul filo di un'ironia che ammette persino l'omaggio velato a Totò o al grande dittatore Chaplin. La posizione del coro, incorniciato sulla scena, risulta suggestiva per l'occhio e non sempre ideale per l'orecchio: ma il lavoro di Marco Ozbic produce comunque ottimi frutti, e la performance dell'ensemble vocale stavolta convince anche più che in occasioni recenti. Un cenno anche per le Voci Bianche, puntuali sotto la guida di Stefania Rinaldi. Era l'ultimo titolo del 2008 al San Carlo: tra due settimane cominciano i lavori, e l'opera si sposta tra Arena Flegrea e Auditorium Rai. Si torna in teatro a gennaio 2009, col «Peter Grimes» diretto da Tate.
Stefano Valanzuolo