Da Verdi e Shakespeare
Commissione speciale Festival Verdi 2018
Drammaturgia e imagoturgia | Francesco Pititto
Regia, installazione, costumi | Maria Federica Maestri
Rielaborazioni musicali ed esecuzione live electronics | Andrea Azzali
Cantanti | Roxana Herrera Diaz (soprano), Hyunwoo Cesare Kwon (baritono), Eugenio Maria Degiacomi (basso)
Interpreti | Sandra Soncini, Valentina Barbarini
Coro live | Coro Giovanile Ars Canto Giuseppe Verdi diretto da Eugenio Maria Degiacomi
Coro in video | Coro del Teatro Regio di Parma
Maestro del coro | Martino Faggiani
Altro Maestro del coro | Massimo Fiocchi Malaspina
Performer in video | Germano Baschieri, Mattia Sivieri, Ivan Fraschini, Daniele Benvenuti
Shooting fotografico | Fiorella Iacono
Produzione | LENZ FONDAZIONE
in collaborazione con:
Teatro Regio – Festival Verdi
Ausl Parma Dipartimento Assistenziale Integrato di Salute Mentale Dipendenze Patologiche e REMS
e con il sostegno di:
MiBAC – Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Regione Emilia-Romagna
Comune di Parma
nell'ambito di
Parma 2020 Capitale Italiana della Cultura
EnERgie Diffuse Emilia-Romagna
Anno europeo del patrimonio culturale 2018
XIV Giornata del Contemporaneo a cura di AMACI – Associazione Musei d'Arte Contemporanea Italiani
Dal 12 al 20 ottobre. Visto il 16 ottobre 2018 a Parma, Lenz Teatro, nell'ambito del Festival Verdi
Odore. Odore di animali. Quella volta che il figlio volle comprare un canarino. Entrammo in un negozio di animali. La prima cosa che ci colpì fu l'odore. Lo stesso di qui. Quasi. Perché non è così forte e tuttavia caratterizza da subito una tonalità dello spettacolo cui stiamo per assistere. E, immediatamente dopo, il suono. Il frinire. Odore di grilli, suono di grilli. Sono dodicimila, ci hanno detto. Dodicimila grilli che cantano. Che stridulano. E' per la femmina che lo fanno. Per attirarla. Dalla tonalità del canto la femmina capisce quant'è grosso il maschio. E' Macbeth che canta, istruito dalle streghe; canta la profezia regale che lo vuole sul trono al posto di Duncan e la Lady valuta, da questo, la grandezza del proprio duce, e lo scopre piccolo, esitante; così si fa maschio lei, si ingobba sulla schiena l'apparato canterino, stridulatore, e stride, di collera e di odio. Gli insetti occupano 24 terrari che torreggiano disegnando un rettangolo, intorno a tre lati del quale si dispongono gli spettatori. Sono teche coperte da una rete sottile, poggiate su basi che le rendono alte più di un uomo e formano il perimetro di un luogo sacro dentro al quale avviene la non-azione, la tragedia che ancora non si è prodotta e tuttavia è già conclusa. L'angosciosa attesa del fatto, dell'atto, è già il fatto, l'atto, che si scompone in fantasmatiche repliche, in incessanti immaginazioni. Davanti a noi, sul lato frontale del rettangolo formato dai terrari, c'è una teca speciale, dentro la quale un grande camaleonte femmina verde brillante sta immobile su un ramo. Il camalonte ama i grilli, se ne ciba. Di fianco al camaleonte, il piano di un piedistallo più basso è cosparso di creaturine bruno-dorate e morte. Sono grilli deceduti, naturalmente, nel corso delle prove. La vita del grillo è breve, due mesi circa, e per alcuni di loro il termine della vita è coinciso con il periodo delle prove. Giacciono croccanti e dorati, odoranti e odorati – forse adorati dal camaelonte. E' da loro che proviene l'aroma di grillo morto, il requiem per olfatto che ci colpisce entrando. Il camaleonte è la terza incarnazione di Lady Macbeth, le prime due sono la soprano Roxana Herrera Diaz, e la sempre potente Sandra Soncini. A un certo punto quest'ultima salirà in ginocchio sul piano che accoglie i grilli morti e ci si innalzerà sopra, prendendone a manciate, nel suo delirio; quantissimi cadaveri che le scivolano dalle dita, ci aspetteremo quasi che ne mangi qualcuno – femmina umana-camaleonte. "Ho sentito gridare la civetta e cantare il grillo" è quanto Lady Macbeth ha sentito nel momento dell'uccisione di re Duncan. Ecco dunque che il canto delle migliaia di grilli è come la replica ossessivamente ripetuta del momento dell'atto omicida. Siamo tutti fermi lì. Sull'orlo dell'abisso, e l'atto risuona interminabilmente come eco dell'abisso.
Lungo i lati lunghi del perimetro scenico sta il coro giovanile Ars Canto Giuseppe Verdi. Mentre il coro del Regio, con le rielaborazioni musicali di Andrea Azzali, lo sentiamo e lo vediamo sullo schermo di fondo, in intensi primi piani in bianco e nero dei volti dei singoli cantanti. E' il luogo dove si srotola l'imagoturgia di Pititto, che vede anche una sequenza dove il lavaggio delle mani ripetuto e ossessivo di un gruppo di attori, già ospiti della REMS di Parma, si affianca al celebre monologo della sonnambula Lady.
Su alti tacchi e vestita di una tunica nera e lugubre sta la Soncini. Nel suo delirio di potenza la nudità improvvisa del torso, dei seni, sembrerà preludere a un rituale apparecchiato per le forze oscure. E poi una danza sabbatica della schiena nuda, percorsa da fremiti, da inarcamenti, da contrazioni intro ed estroverse delle spalle e delle braccia, in una convocazione di forze infernali. Intanto Macbeth mastica incubi; irresolutezza e caparbia volontà di dominio si alternano. Il cantante coreano Hyunwoo Cesare Kwon, si piega, ride sarcastico, interagisce fisicamente con la Lady, le si inchina davanti, la supplica, lei gli tormenta le labbra con le dita: "E' troppo piena di bianco latte la tua bocca/ perché tu prenda la via più vicina". Ma tutto questo noi vediamo dal di fuori. Spettatori-testimoni convocati intorno al santuario di Ecate, in uno spazio scenico che ne "riproduce la struttura architettonica". Siamo convocati ed estranei. Stiamo sulla soglia di un mysterium tremendum, e possiamo coglierne dei frammenti. Solo in un momento la Soncini verrà in proscenio a recitare il celebre monologo finale di Macbeth (V, 5).
E' un rituale che non ci consente spostamenti. Alte volte le installazioni-spettacolo di Lenz ci avevano concesso una mobilità che consentiva di crearsi il proprio percorso, ora no, dobbiamo stare fermi sulla nostra sedia. Le torri di grilli creano un mondo sonoro che ci esclude. E il castello di Macbeth sembra fatto del materiale stesso della notte. Sono i grilli, cantori generalmente invisibili, ma che noi qui scorgiamo, intenti alla cattività del terrario, e altresì moltiplicati in riflessi dalle luci sulle pareti, che la notte ispessiscono e architettano con le loro monocordi pareti di canto.
La drammaturgia dello spettacolo è un'interazione, uno scambio di energia, tra due testi: il libretto dell'opera verdiana e il testo orginale tradotto da Pititto, in un gioco di rispecchiamento tra frammenti incrociati e paralleli. Il suono monocrode dell'ossessione si contrappone alla polifonia dei cori verdiani e ai nudi canti, spogliati dell'orchestra come un guerriero della corazza, dei due cantanti. Cantanti inermi, a mani nude, a sostenere i recitativi di Verdi; come guerriero senza più corazza è Macbeth, disossato del carapace guerresco.
Franco Acquaviva