da “La vita è sogno” di Pedro Calderón de la Barca
Traduzione, drammaturgia, imagoturgia: Francesco Pititto
Installazione, regia, costumi: Maria Federica Maestri
Interprete: Barbara Voghera
Musica: Claudio Rocchetti
Cura tecnica: Alice Scartapacchio
Produzione: Lenz Fondazione
Visto a Parma, presso l’APE Museo/ Fondazione Monteparma, 9 marzo 2024
In una piccola sala del prezioso spazio di APE Museo/ Fondazione Monteparma Un lettino di ferro, oggetti sparsi e stoffe a terra con in mezzo una corona: è stato in una sala raccolta dell’elegante spazio espositivo di APE Museo di Fondazione Monteparma, nel cuore della città, che è stato possibile incontrare “Altro stato” da un testo più volte affrontato da Lenz, “La vita è sogno” di Pedro Calderón de la Barca, sempre con l’intelligenza e il coraggio di creare condizioni materiali, di spazi, relazioni di corpi, oggetti, speciali itinerari per gli spettatori tra cui far risuonare le dolenti parole di Sigismondo, “poiché il più gran delitto/ dell’uomo è d’esser nato”: ma qui Barbara Voghera è sola e raccoglie in sé molteplici rispecchiamenti di voci, personaggi, anche da altri testi, riflessi moltiplicati, anche se con brevi tratti. Valeria Ottolenghi
Molto brava Barbara Voghera in più ruoli in “Altro stato” di Lenz da “La vita è sogno”
La sala dove si svolge “Altro stato” è piccola, pochi gli spettatori alla volta, diverse le repliche. Barbara Voghera “attrice sensibile” ha partecipato a molte creazioni di Lenz, anche in monologhi complessi: qui mostra una sicurezza commovente, anche perché - questa è l’impressione - con Sigismondo e Clarino è in gioco la sua stessa persona in azioni misurate e precise, evocando anche l’amatissima figura del “buon soldato Sc’vèik” di Hašek, ripensata anche da Brecht. Video e berretto, marionetta guidata da ordini superiori. Sempre struggente il monologo di Sigismondo che non riesce a comprendere il perché di tanto dolore. Altri assaporano il piacere della libertà, anche gli animali e i fiumi: perché lui no? “Fame, fame - ripete Clarino - pietà tengo de mi”. Si toglie la divisa l’attrice, si trova vicino al pubblico, diverse le “stazioni” del suo recitare. Butta il cuscino, indossa la gorgera, se la toglie, sotto la tuta nera quella dorata. Sillaba il suo nome Clarino, più volte, ripensando al momento in cui aveva deciso di andarsene: “non voglio più essere un servo, voglio diventare soldato!”. Questa l’alternativa?: sperimentare la vita come Sc’vèik? Ancora obbedire, soffrire, sottostare agli ordini? Un doppio in ugual destino?
Diverso per Sigismondo che, al risveglio in un palazzo sontuoso tra sete e broccati, sente il suo io diviso, turbato tra sogno e realtà, fino ad arrivare a chiedersi “chi sono? Non lo so. Non so chi sono?” Sigismondo? Ma ora deve pensarsi diverso. Cerca di ritrovare se stesso bambino, con la madre che vorrebbe abbracciarlo: “sembri triste, arrabbiato”. In quel fragile stato d’identità può immaginarsi anche altro, tanto grande è il bisogno di tenerezza. Così: “altro stato”. Difficile perdonare quel padre che l’ha chiuso in prigione, “sporco, abbandonato, incatenato come un cane”. Solo perché le stelle avevano predetto la sua cattiveria! Come Laio con Edipo? Cade la corona e si spezza in quattro parti. Torna Sc’vèik - e anche Clarino invoca libertà. Per Sigismondo una nuova consapevolezza: ciascuno non può che sognare la propria vita, che è sempre, comunque, illusione, ombra, finzione. Siamo dentro alla gran metafora barocca della vita come teatro? Forse, anche. Clarino ha intanto scoperto che non si sfugge alla morte, vano ogni gesto di fuga, di ricerca della salvezza. Anche Sigismondo ha perso ogni illusione, impossibile fingere a se stessi. Sì: la vita è sogno…Davvero molto brava Barbara Voghera, tanti gli applausi, lei in più ruoli, lasciando che tutti emanassero una speciale commozione, arrivata densa, forte, al pubblico.