tratto da Appunti per un naufragio
spettacolo di e con Davide Enia
musiche composte ed eseguite da Giulio Barocchieri,
produzione Teatro di Roma, Teatro Biondo di Palermo, Accademia Perduta/Romagna Teatri
in collaborazione con il Festival Internazionale di Narrazione di Arzo
visto al Teatro di Ragazzola, Parma, 31 ottobre 2019
Al Piccolo Teatro Grassi di Milano, fino al 24 novembre 2019
Senza fiato. Inabissati nell'orrore del Mediterraneo trasformato in cimitero. Gettati nel buio, naufraghi strappati alle onde nere del mare. La luce abbagliante di Lampedusa, lo zio Beppe malato di tumore, il rapporto col padre, siciliano di poche, pochissime parole. Frammenti di un racconto che toglie il respiro, L'abisso di e con Davide Enia, affiancato dalle musiche e dalla chitarra di Giulio Barocchieri è uno di quegli spettacoli che dovrebbe essere visto dal maggior numero di spettatori possibili, dovrebbe essere programmato ovunque perché ha la forza di un duro j'accuse, è un pungolo alla nostra coscienza, ma è anche e soprattutto teatro d'autore in cui parola e corpo sono un tutt'uno nel segno di un fare poetico che vorrebbe costruire nuovi mondi, nuove sensibilità, spingere ad agire chi partecipa alla parola incarnata del teatro. In tempi come questi un lavoro come L'abisso ha la potenza dell'imperativo categorico kantiano. Davide Enia con L'abisso — tratto dal suo romanzo Appunti per un naufragio — ci sbatte in faccia la disumanità della strage dei migranti, trasforma la cronaca di una tragedia umanitaria nell'epica di un dolore che annichilisce e che è tutto nella voce, nel cunto che l'attore utilizza con grande intensità ritmica. Le parole sono un tutt'uno con una gestualità che sa essere secca, tagliente, incisiva e potente. Davide Enia è corpo attraversato dalle parole, è racconto agito. La corporeità è nel dire di quei corpi irriconoscibili, tumefatti di acqua, è nel dolore d'ospedale dello zio Beppe, è nei bambini/cadaveri e nell'inafferrabilità di quei morti galleggianti e di quei sopravvissuti che scivolano dalle mani e possono essere salvati solo prendendoli dalla maglietta, mettendo loro in bocca le mani per sollevarli dalla tomba d'acqua. Davide Enia si fa testimone, lo è nel suo presentarsi a Lampedusa per vedere e raccontare, lo è nel tessere intrecci fra la tragedia dei migranti e il suo vivere quotidiano, lo fa nella consapevolezza che l'Europa è figlia di un'attraversata del Mediterraneo, quella del Ratto d'Europa, il mito che s'invera nella traversata del Mediterraneo dei migranti. Una connessione che non può lasciarci indifferenti, noi migranti tanto quanto loro.
Nicola Arrigoni